Subsonica: “Per la prima volta abbiamo pensato che la band potesse non esistere più”
Che mondo sarebbe senza i Subsonica? Se lo sono chiesti Samuel, Max Casacci, Boosta, Ninja e Vicio quando dopo un periodo buio si sono ritrovati di nuovo assieme. Per un periodo si sono persi, come hanno candidamente ammesso, pensando, per la prima volta, che i Subsonica potessero definitivamente sciogliersi, quindi vedendo il futuro senza la band che ha scritto alcune delle pagine più importanti della musica italiana dagli anni '90 a oggi. I progetti solisti avevano preso il sopravvento, gli impegni e le responsabilità come band e pure gli ego, si erano fatti troppo ingombranti e avevano fatto scoppiare la band. Poi piano piano le cose cambiano, ci si riavvicina, si cresce, si provano a mettere da parte certe incomprensioni, si pensa, perché no, a un ritorno asieme sul palco e si tenta di tornare a divertirsi come durante i primi anni. La raccontano così e noi gli creadiamo, anche perché l'ultimo album della band, Realtà aumentata, tutto sembra fuorché un album buono solo per tornare in tour, una scusa, insomma. L'ultimo lavoro della band è un album che preme sull'accelleratore delle caratteristiche della band e lo fa senza mai perdere di vista l'idea che la musica oltre a essere divertimenti – punto sempre importante quando si parla della band torinese – è anche un atto politico e i testi stanno lì a ricordarcelo. Abbiamo intervistato Max Casacci e Samuel.
In Africa su Marte specificate: “La realtà è aumentata quando l’utopia si è arresa”. Ovvero?
Max Casacci: La realtà aumentata a cui facciamo riferimento, giocando con l'immaginario tecnologico, è la realtà vera per come nei suoi effetti è aumentata negli ultimi anni: da quando siamo rimasti chiusi in casa per mesi alla realtà degli stravolgimenti climatici, fino a quella degli orrori delle guerre che stiamo vivendo in questi mesi. Il contesto, lo sfondo di questo album, è un incremento di realtà a cui non corrisponde una percezione reale, ci sono una fioritura di negazionismi, di teorie parallele, di modalità per cercare di razionalizzare cose che sono degli urti del caos, che evidenziano una fragilità nel momento in cui smettiamo di agire collettivamente. Qui c'è il riferimento a un'utopia, a un episodio di un'utopia africana degli anni '60 che però ci fa riflettere sul suo significato come meccanismo di innesco di sogni e azioni collettive di cui avremmo bisogno oggi più che mai.
Samuel Romano: Laddove c'è da raccontare qualcosa che non trova la sua sede e non riesce a incastrarsi perfettamente, quello è un terreno fertilissimo per noi, per raccontare e percepire delle stimolazioni, delle energie.
A livello musicale questa realtà aumentata come l'avete trasferita?
MC: Più che trasferirla l'abbiamo creata tornando a dei meccanismi ispirativi di composizione che erano più simili a quelli dei primi album. Prima di Realtà aumentata ci siamo chiesti se valesse la pena, se volevamo veramente lavorarci.
Come mai?
MC: Ormai le nostre attività parallele hanno preso una certa consistenza, quindi per la prima volta è esistita, per noi, una reale prospettiva di vita senza i Subsonica. A quel punto abbiamo deciso di sceglierci.
SR: Quando abbiamo iniziato a fare musica insieme eravamo esattamente come in questo album, poi nel tempo il mondo esterno tende a entrare nelle trame della struttura emotiva del gruppo e quindi, inevitabilmente, si arriva a pensare di più al fatto che hai una struttura da mantenere, al posizionamento discografico e la musica ne risente. Quello che diceva prima Max ci ha portato a scegliere di tornare a fare quello che sapevamo fare, esclusivamente musica. Durante la fase di scrittura eravamo tutti e cinque nella stessa stanza e questo automaticamente trasforma ogni singola parola, nota o colpo di batteria di tutti e cinque. In un disco come questo, che è di fatto creata da un'equipe, si percepisce quanto è importante l'essenza totale dei Subsonica. Forse una colpa che abbiamo è stata di non renderci conto di questa cosa qua, ma credo che ogni progetto abbia i propri tempi e i propri sviluppi, è già una fortuna essere qui, oggi.
Cominciate l'album con un pezzo su una relazione tossica dal punto di vista di lei, Mattino di luce è sulla disforia di genere e transizione, quindi tutta la questione di genere è molto forte.
MC: Quando hai vent'anni, parlando di te stesso testimoni una fase di cambiamento, il tuo racconto è universale, ma quando non hai più quell'età cominci a diventare un'antenna. Cerchi di calarti, come fanno gli scrittori, in personaggi, protagonisti di tutta una serie di attriti che leggiamo nel contemporaneo, nel mezzo di necessità, sofferenze, di cose che succedono e un ambiente che, soprattutto nella realtà italiana di oggi, può essere anche ostile, ancorato al passato, governato da tradizionalismi e da tutta una serie di dogmi, dalla morale patriarcale nel caso di Cani umani oppure di una crescente omotransfobia, per esempio, per quanto riguarda il protagonista di Mattino di luce. Abbiamo cantato anche degli italiani di seconda generazione, ci sembra che leggere la realtà di oggi, attraverso quegli sguardi dia dei punti di vista particolarmente significativi.
Siete sempre stati una di quelle band in grado di far ballare tutti, com'è essere Subsonica oggi?
SR: La nostra grande fortuna è proprio questa, che da sempre abbiamo avuto un riscontro immediato con l'attitudine fisica del nostro gruppo. Ci siamo sempre confrontati con una sorta di realtà e verità che anche nei momenti più bui e ombrosi della nostra vita ci salvava, perché male che andava comunque pensavamo al pubblico e a vederlo sotto al palco che aveva la necessità di muoversi ballare e confrontarsi fisicamente. Questa cosa è una parte fondamentale e salvifica della band ed è la cosa che ancora oggi ci rende subsonici, chi veramente vuol capire i Subsonica deve ascoltare la nostra musica ma deve poi venire a un concerto e vedere come si chiude un cerchio.
MC: Il palco è sempre rimasta la dimensione che ci ha compattati, gli ego rimangono appesi due centimetri fuori dal palco, da cinque individui che eravamo diventavamo un organismo unico ed è anche uno dei motivi per cui avevamo voglia di tornare a fare dei dischi per poter tornare sul palco.
La questione dell'immigrazione e della seconde generazioni, come dicevate, è un altro dei temi importanti del disco.
MC: Sì, la questione delle morti in mare, dei migranti, la affrontiamo in un brano che si chiama Nessuna Colpa, mentre Pugno di sabbia ha più a che fare proprio con due elementi: il vivere in un luogo ancorato al passato che sembra non passare mai, una società che invecchia, un inverno demografico che avrebbe bisogno di nuova linfa, di nuova cittadinanza e che nega ad almeno un milione di ragazzi che parlano italiano, che si identificano e che si sentono italiani, di una cittadinanza e di un'identità. Questo è uno dei paradossi dell'essere italiani oggi, un ancoraggio ideologico per pura speculazione, di presa di potere politico, lo sappiamo tutti, che ci differenzia da qualsiasi altro Paese europeo e da molti Paesi nel mondo.
Per una band come la vostra, oggi, la classifica ha ancora un senso?
MC: Da quando siamo nati, il mondo, da questo punto di vista, è cambiato mille volte. C'è stato addirittura un momento in cui le televisioni musicali ci hanno fatto fare un'accellerazione incredibile facendoci diventare, praticamente, il mainstream. Oggi è tutto cambiato nuovamente e i numeri corrispondono a volte a un meccanismo compulsivo di un gesto su un cellulare che ha poco a che fare con la liturgia, non dico di quando si scartava il vinile, ma anche di quando ci si prendeva la briga di mettere un cd. In un mondo così stravolto, cambiato, abbiamo pensato che solo le nostre specificità potevano permetterci di essere ancora significativi. Però, considerando anche le trasformazioni del mondo e delle modalità di fruizione della musica, per la prima volta abbiamo pensato a un'architettura di pezzi e di album, prima ancora che i pezzi fossero finiti, collocando le canzoni in un ordine di posizionamento energetica, fondamentalmente. Ascoltando il disco, oggi, mi sento di poter dire che è in grado di catturare l'attenzione dall'inizio alla fine, senza mai dare l'impressione che ci sia anche solo un riempitivo.
Oggi cos'ha il valore della classifica?
MC: Io non so neanche quali siano i criteri delle classifiche, ma so che per noi il significato è andare a vedere quanto le persone, dopo aver ascoltato un pezzo in radio, dopo aver compulsato un telefono, si prendono la briga di prendere la macchina, farsi 100 km nella nebbia e pagare un biglietto per sentirti dal vivo. Quello ci sembra sempre un riscontro molto, molto oggettivo e ci sembra che da questo punto di vista quest'album ci abbia rimesso nella giusta direzione.
Quindi, concludendo, come sarà il tour dei Subsonica nel 2024?
SR: Abbiamo avuto la fortuna, già da subito, di costruirci una famiglia di tecnici e ingegneri che da sempre ci dà la possibilità di organizzare degli spettacoli di altissimo livello, riuscendo a tenere sotto controllo il prezzo del biglietto. Il nostro prossimo concerto appartiene a questa mentalità e sarà un concerto in cui si racconta la nostra realtà aumentata, tramite un palco che si muove insieme a noi e con degli schermi che ci avvolgeranno di realtà aumentata, utilizzando anche giovanissimi artisti digitali provenienti dalla nostra città, Torino, che sono molto giovani e pochi conoscono in Italia ma si sono fatti conoscere in tutto il mondo. sarà uno spettacolo di grande impatto, potenza, molto avvolgente, che racconterà molto bene i Subsonica di Realtà aumentata ma anche la storia dei Subsonica.