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La denuncia dello scrittore Piedimonte: “Napoli mi ha espulso, Milano mi ha accolto”

Lo scrittore napoletano annuncia la sua intenzione di trasferirsi a Milano, riaccendendo il dibattito sulla città partenopea e i talenti in fuga: “Ho sperato per anni di poter vivere in una città fra le più belle del mondo e di coltivare una vita professionale che poggiava le proprie basi in un’altra città, che è appunto Milano. Volevo entrambe le cose, e mi illudevo di poterle avere. Non è così”.
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Stefano Piedimonte
Stefano Piedimonte

"Dopo aver scritto quel post sulla bacheca, mi sono arrivate decine di messaggi di amici che vivono a Milano, ho avvertito attorno a me un affetto incredibile. Purtroppo devo confermare ciò che ho scritto: Napoli mi ha espulso, Milano mi ha accolto".

Ha la voce resa un po' roca dal dispiacere, Stefano Piedimonte, scrittore partenopeo classe 1980, alle spalle diversi romanzi di successo e da qualche mese in libreria con "L'innamoratore" (Rizzoli), storia di Ivan Sciarrino, un "killer" molto particolare, perché alle sue vittime non toglie la vita ma l'amore. Qualche giorno fa ha pubblicato un messaggio sulla sua bacheca Facebook in cui ha annunciato di lasciare la città in cui è nato e ha vissuto, per trasferirsi a Milano, metropoli in cui c'è il suo editore e le testate giornalistiche per cui collabora.

Niente di anormale, in apparenza, visto che è caratteristica umana quella di spostarsi per trovare migliori condizioni di vita altrove, a maggior ragione per uno scrittore e per chiunque viva di creatività. Eppure quando si parla di Napoli, si sa, spesso la questione assume una coloritura più intensa, se non addirittura straziante. Che si parta o si resti, la frattura è sempre lacerante. D'altro canto, la stessa letteratura italiana abbonda di ottimi romanzi che affrontano il nodo. Anzi. si può quasi affermare che ogni napoletano, scrittore o meno, è eternamente costretto a dover rispondere alla domanda: "Perché resto? Perché me ne sono andato?".

Stefano Piedimonte ha deciso di andarsene. E lo ha comunicato alla sua cerchia di amici e lettori così:

Nel dicembre 2011, senza alcuna speranza inviai il mio primo romanzo, Nel nome dello Zio, ad alcune case editrici. Fui cosi sfacciatamente fortunato che cinque editori – tutti e cinque di Milano – fecero un'asta per comprarne i diritti di pubblicazione. In quello stesso mese il giornale per cui lavoravo, un quotidiano napoletano, mi licenziò.
Dal 2012, le aziende che mi hanno offerto lavoro come scrittore, come consulente per libri scritti da altri, come articolista per settimanali e quotidiani, hanno avuto un'unica nota comune: erano (e sono) tutte milanesi. Da Napoli, mai avuta una proposta di lavoro, né c'è mai stato un ravvedimento da parte del giornale per cui avevo dato l'anima e che mi aveva lasciato per strada dopo otto anni di precariato (il direttore era molto furbo, bisogna dirlo: aveva la possibilità di pagare quindici euro gli articoli che altri quotidiani hanno poi pagato dai cento ai cinquecento). Da napoletano continuo ad amare la mia città, ma un dato è evidente: Napoli mi ha espulso e Milano mi ha accolto.

Da dove nasce quest'amarezza nei confronti della tua città?

Se dovessi cominciare il racconto della mia partenza da Napoli, inizierei raccontando come ho conosciuto il mio amico Roberto Saviano, napoletano come me, che ho incontrato per la prima volta a Milano e non a Napoli. E questo non è un caso. Perché la città è così, divide i percorsi delle persone, non li unisce. All'epoca lavoravo per una testata giornalistica molto importante e avevo pubblicato il mio primo romanzo "Nel nome dello zio", che stava ottenendo un ottimo riconoscimento di pubblico e di critica. Un giorno mi presentai nell'ufficio dell'editore reggendo il faldone con la rassegna stampa che contava diversi pezzi scritti dai maggiori critici italiani. Lo feci con la speranza di ottenere qualcosa: ero un precario, speravo che mi facesse un complimento, che mi offrisse un contrattino da due lire, una cena, che ne so. Fui completamente ignorato. Anzi. Ebbi la sensazione che i miei riconoscimenti, in qualche modo, lo infastidissero.

Ma questo non accade solo a Napoli.

È vero. Il meccanismo è comune a gran parte dell'Italia e al mondo culturale in generale. Eppure, dalla mia esperienza, posso dire che a Napoli tutto è più esasperato. Credo ciò dipenda, in larga parte, dal fatto che "il posto al sole" a cui ciascuno di noi può ambire sia molto ristretto. Dove gli spazi sono meno larghi si fa più ferocemente a spallate per emergere. A Napoli arrivano solo le briciole del sistema culturale.

Questione antica, mai risolta.

Già. A Napoli, per esempio, non esistono più editori, così come spesso i pochi imprenditori brillanti vengono osteggiati in tutti i modi. E poi ci sono quelli che rimpiangono il passato e che trovo insopportabili. C'è chi, dopo trenta o quarant'anni, si vanta ancora di aver pubblicato per primo questo o quel titolo di narrativa straniera. Per carità, grande merito per quanto hanno saputo fare in passato. Ma oggi? Cosa hanno fatto, oltre piangersi addosso, per rinnovarsi e proporre nuove strategie ed evitare così la chiusura delle librerie storiche e delle case editrici? Invece pontificano sui giornali e ovunque lamentandosi di essere discriminati in quanto meridionali o di essere fuori dal dibattito pubblico. A questi signori vorrei ricordare che Sellerio nasce a Palermo e che Laterza è di Bari, eppure non mi pare che non riescano a tirare avanti.

Hai pensato a come cambieranno le tue storie vivendo a Milano? Voglio dire, i tuoi romanzi hanno sempre avuto una forte impronta del tuo essere, in qualche modo, etichettabile come scrittore napoletano.

Dai primi libri a oggi la mia scrittura si è progressivamente allontanata dall'idea di poter essere considerata quella di uno "scrittore napoletano" (per quel che può significare, ovviamente). L'ultimo romanzo, per esempio, è ambientato tra Napoli, Roma e Milano. Il prossimo che sto scrivendo sarà tutto ambientato a Milano. E' come se inconsciamente, senza rendermene conto, avessi un po' alla volta maturato l'idea di dover rinunciare alla mia città come luogo da abitare, e questa rinuncia sia filtrata anche nei miei testi. Ci sto riflettendo adesso per la prima volta.

C'è qualcosa che ti rimproveri?

L'ingordigia. Ho sperato per anni di poter vivere in una città fra le più belle del mondo, la mia città, e di coltivare una vita professionale che poggiava le proprie basi in un'altra città, che è appunto Milano. Volevo entrambe le cose, e mi illudevo di poterle avere. Non è così. Avrei dovuto capirlo prima, fare una scelta netta, essere più coraggioso. Quando ho scritto quel post ci sono stati diversi commenti di persone che mi attaccavano: "Stai facendo la scelta più facile". Cioè, capisci? Tu lasci qui affetti, cose, radici, sali su un treno con una piccola valigia, provando a ricacciarti – letteralmente – le lacrime negli occhi, e devi anche leggere gli attacchi di chi dice che hai fatto la scelta più facile. Be', è esattamente il contrario. È adesso che sto facendo la scelta più difficile. Avrei dovuto farla prima.

Come vedi il tuo futuro? Pensi che un giorno potresti ritornare?

Non lo so. Di certo so che, se dovessi avere un figlio, credo che vorrei farlo crescere altrove. Milano non è il paradiso e non mi illudo, ma è anche vero che è una città viva, dinamica, che presenta maggiori opportunità.

A quando la partenza?

Ormai ci siamo. In questi giorni sto preparando i bagagli e mi sto preparando alla partenza definitiva.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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