Spaccio, omicidi, violenza: alla scoperta della musica “Trap” in terra di camorra
Non c’era dubbio che il sincretismo musicale di Napoli fosse in grado di portare nuova linfa al rap italiano. Mi riferisco alla Trap music: un’evoluzione/congiunzione di dubstep e hip-hop contaminata, immancabilmente, dall’anima della melodia autoctona che si modella attorno alla voce del rapper anche grazie agli espedienti dell’auto-tune. Chi se ne intende ha scritto: «un’ultima, ulteriore sponda della sperimentazione hip-hop che calca la mano sulla sporcizia del ghetto». Wikipedia suggerisce: «gli argomenti sono molto simili a quelli del Gangsta rap degli anni Novanta» e aggiunge che tra i suoi sottogeneri è annoverabile «la Chill Trap… sviluppata quasi solo a Chicago, che ha quasi solo argomenti come spaccio, omicidi e violenza». Come vedremo la Chill Trap non riguarda solo la capitale dell’Illinois ma anche la sua omologa europea.
Da Napoli è partita la scalata dei trapper alla scena nazionale dell’hip-hop. Una musica giovane per i giovani, forse una moda passeggera. I suoi protagonisti hanno poco più di vent’anni e hanno esordito direttamente con questo genere facendo il boom di ascolti e visualizzazioni su Spotify e Youtube. Sfruttano il gergo della Google generation criminale per descrivere l’anarchia dei quartieri-stato in modo brutale e senza filtro. Il Trap de “Le Scimmie”, Vale Lambo, Lele Blade e Yung Snap, grazie alle storie dei guaglioni ‘e miezza ‘a via dell’area nord, ha fatto irruzione nell’universo del rap newpolitano. I ragazzi di Secondigliano scrivono versi di piombo in cui mescolano dispute tra rapper e momenti reali di vissuto criminale.
Si muovono con disinvoltura tra il passato remoto dei Di Lauro e degli scissionisti e il passato prossimo dei girati della Vanella Grassi nel presente delle paranze e delle stese che sovvertono le regole de ‘O Sistema. I testi espongono il “punto di vista di Caino” spingendo l’ascoltatore ad entrare in un insidioso processo di identificazione: guardare la realtà nel corpo, nelle emozioni, nella psicologia, nelle motivazioni e nei piaceri di una generazione deviante che vive il lato oscuro come la realizzazione del proprio essere, senza nessuna falsa ideologia di riscatto sociale. Gli ambienti, le vie, le atmosfere, le vite vissute mostrano quanto in realtà la Napoli che conosciamo sia solo apparenza, una narrazione accomodante per quelli non appartenenti, dentro e fuori la città, alla marginalità criminale, divenuta fattore autoreferenziale di riconoscimento culturale.
Nelle canzoni riferimenti criminali e messaggi per ‘iniziati': dal clan Mallardo ai Di Lauro
Tuttavia, non bisogna dare nulla per scontato soprattutto quando si passa all’analisi dei testi perché alcuni versi, che sembrano descrivere atteggiamenti, situazioni e personaggi criminali, potrebbero in realtà avere un sotto-significato – per iniziati – di sfida/messaggio indirizzato all’arena hip-hop; allo stesso tempo le circostanze riguardanti il contesto criminale sono talmente interne o gergali da risultare criptiche per chi non è nato e cresciuto a Secondigliano e dintorni.
Nei testi ci sono riferimenti al clan Mallardo di Giugliano, sono citati Vincenzo e Raffaele Di Lauro, figli del boss Paolo, anche lui presente con lo pseudonimo di ‘O milionario. Appaiono anche gli scissionisti con ‘O Le, ovvero Raffaele Amato, e Cesare Pagano. Tra gli oggetti di culto ci sono le Kawasaki Ninja (le motociclette degli scissionisti durante la faida), le Transalp (gli enduro usati per scortare le auto dei boss), i Typhoon (gli scooter usati per scippi e rapine), l’Aston Martin Vanquish, l’Audi A4 RS, gli occhiali Yves Saint Laurent, le macchinette cilindrata 50, i locali notturni a Margellina, i tatuaggi in petto, le catene d’oro e fiumi di champagne (Moet, Clicquot, Cristal, Dom Perignon).
Chi vive a Secondigliano riesce persino a riconoscere alcuni luoghi: Viale delle Galassie e i biplani; il mercato di via del Cassano, via Monterosa, Cupa dell’Arco, Vanella Grassi, i vicoli adiacenti a via Dante. Poi c’è la mitica Dubai dove è stata trovata la “cassaforte” degli scissionisti. Insomma, siamo proiettati in un mondo claustrofobico di spazi angusti («aret ‘o vico») in cui ci si «spara le dosi», «si comprano le “bombe”», «si parla delle cosche», «non si usa il casco», «si raccontano le storie dei pali che hanno fatto la notte». Ci sono inoltre frasi idiomatiche intraducibili, come «stai chin ‘e giall» che è una paura da insufficienza epatica, e termini “tecnici” dello spaccio, quali la «pietra» (il pezzo di fumo) e lo «zucchero» (i soldi o la cocaina a seconda dei casi).
Vale Lambo (il cui nome forse è un’abbreviazione di Valentino Rossi + Lamborghini), prima di unirsi agli altri due compagni di viaggio, si era fatto notare con “Aro stat ‘e casa” (“Dove abitate) che nella metafora del dialetto è “da dove venite”, “a quale ambiente appartenete”, ma è anche un monito a non parlare di cose che non si conoscono. Nel caso in questione si riferisce, a mio avviso, alla divisione del territorio: a secondo della strada in cui si abita si appartiene all’una o all’altra fazione. Tanto è vero che nel linguaggio comune quando si indica una via di Secondigliano si dice “lato Di Lauro”, “lato Scissionisti”. Quando il clan perdente perde porzioni di territorio gli affiliati o i gregari sono costretti a lasciare le case che altrimenti si troverebbero in zona ostile. Ecco come sintetizza Lambo: «se muore il capo dove vanno ad abitare?».
Lo slogan della nuova camorra: "Non è cosa nostra, è cosa mia"
La prima frase è un cazzotto in faccia della nuova generazione che se ne fotte delle vecchie logiche della camorra: «Non è Cosa nostra, è cosa mia». Un rovesciamento interpretativo in cui non contano l’omertà, l’uomo d’onore, il giuramento e tutte le metafore stereotipate (a cui peraltro nessuno crede) de ‘O Sistema. Conta l’individuo, la sua capacità di gettarsi nella mischia e di sopravvivere in mezzo alla guerra asimmetrica delle gang di spacciatori e narcotrafficanti.
Così il testo passa dalla reminiscenza del contrabbando anni Settanta al potere di chi detiene il controllo del mercato della droga («Nelle tasche dei Mallardo entrano sacchi pieni di 100 euro»). Poi si scaglia contro gli pseudo boss, «guappi di cartone», che con le faide hanno determinato il declino criminale di Secondogliano/Scampia. Un declino che suscita rabbia nelle nuove generazioni («negli occhi la rabbia di chi prova a fottere i declino») agognanti un nuovo protagonismo criminale e la fine di un vecchio modo di fare («Questi bastardi li vedo vecchi dietro le mie Saint Laurent»). Ma è nella strofa successiva che si raggiunge l’acme: «Nel mio quartiere non si fanno nomi; mio cugino ha dieci anni e sembra un uomo; le Transalp scortano i boss, come se fossero poliziotti a sirene spiegate». Una generazione condannata a morire presto: «A 100 anni sei un centenario a 20 anni una leggenda».
Il progetto de “Le Scimmie”, sostenuto da Don Joe della Dogzilla, è molto ambizioso: l’album “Eldorado” viene presentato come l’evoluzione dell’hip-hop italiano verso la Trap music. Vale e Lele affermano, infatti, che il nome le Scimmie è nato negli studi di produzione: «Discendiamo dalle scimmie, ci siamo evoluti e ci evolveremo ancora, almeno musicalmente parlando». Eppure il fatto che i componenti de “Le Scimmie” siano tre mi fa pensare alle tre “Scimmie mistiche” (non vedo, non parlo e non sento) erette a simbolo dell’omertà mafiosa. Ma le scimmie nel gergo criminale della camorra anni Ottanta erano anche i ragazzi che si mettevano in mostra nel clan per ricevere la “nocciolina” dal boss. Per i tossicodipendenti, invece, le scimmie sono le crisi d’astinenza.
Il singolo di lancio è il brano “M.O.E.T.” in cui si racconta la vita notturna dei ragazzi delle paranze. Basta leggere alcuni passi dell’ultimo libro di Saviano per ritrovarsi nella stessa atmosfera di glamour plebeo descritta nella canzone: «Sanno che non siamo figli di famiglia, ci guardano e cambiano strada; siamo sempre eleganti e abbiamo le conoscenze giuste. Se la notte porta consiglio, a noi porta denari con la pala. Spendiamo come se fosse l’ultima nottata prima di finire in galera».
Il linguaggio delle giovani paranze e le "stese"
In “Salutam e gaugliun” ascoltiamo i pensieri dei protagonisti della nuova stagione delle “stese”: «Puoi tenere pure il paradiso in petto (i tatuaggi con santi e Madonne), il Volto Santo al collo (la catena d’oro), ma quando arriva il tuo momento di devi prendere i confetti (i proiettili)… Nel vicolo dove viviamo c’è una tribù di ragazzi che muoiono uno dopo l’altro. Siamo i leoni (immagine molto popolare nell’immaginario camorrista; il primo ad usarla fu Ferdinando Russo) della savana. Pieni di forza anche nei momenti bui. Con il sangue agli occhi, prendiamo la vita a morsi perché non vogliamo rimanere a digiuno… Camicie blu (poliziotti) non ho niente da darvi, e non ho nulla da spartire con voi. Sembra che il mondo ci sia contro, tocchiamo il fondo senza mai cadere… la mia gente ha subito e ora vuole una soluzione a tutti i costi». Subito cosa? La miseria? La violenza? Le faide? Il declino del potere criminale? In ogni caso la risposta è: «Baciami le palle, siamo i migliori». L’italiano non ha la stessa forza del napoletano la cui espressività esplosiva è simile al «baciami il culo negro» del gangsta rap.
Il brano “We We” è il richiamo tipico dei ragazzi dei quartieri quando si salutano o si cercano. L’inizio è tutto un programma: «Muore un capo dove vai (dove ti nascondi)», cerchi di vivere in pace ma in strada si spara, la gente scappa e anche i bambini sono a rischio. Un conflitto infinito in cui «si sbatte» chi «vuole sempre vincere». Ragazzini boss che vivono spacciando fumo e cocaina («Prova questa pietra, fammi sapere com’è») e che guardano con diffidenza sia il lato degli scissionisti (definiti falliti dopo la dissociazione di Cesare Pagano e la sconfitta del clan Cesarano al rione Kennedy: «Fa Giulio Cesare [Pagano] ma è un fallito insieme ai Cesarano»), sia il lato dei Di Lauro dove «i guaglioni aspettano ancora Raffaele [figlio del boss] per fare la guerra».
Questi, invece, vogliono approfittare del vuoto di potere e bruciare le tappe per «cominciare la carriera» andando a tutta velocità «contromano». Ventenni affetti dalla sindrome di Spartaco: non vogliono essere schiavi di nessuno ma combattono con metodi che rafforzano il sistema di cui sono prigionieri: spacciano droga e la consumano in grande quantità; praticano la violenza e la subiscono come un evento naturale; sparano e sono a loro volta bersagli; vogliono la libertà e finiscono in galera; desiderano il potere e sono schiacciati dalle logiche dei clan; vogliono vivere senza limiti ma muoiono ammazzati come cani.
Questo è il Chill Trap della Google generation criminale, non coincidente con il pubblico dei neomelodici anche se con questo è intersecato, come intersecati sono i generi. Del resto Vale Lambo ha dichiarato di ispirarsi a Mario Merola, «pioniere del dramma napoletano», perché le realtà raccontate sono simili. Un dato è certo la musica che racconta la vita di camorra sta cambiando, così come cambiano i gusti musicali dei ragazzi delle paranze che sempre più spesso postano selfie in tenuta da rapper.