Sofia Gubajdulina, Leone d’Oro per la musica nel segno della resistenza (INTERVISTA)
Tra fede, ricerca musicale, scienza e tensione verso la perfetta conciliazione di queste sfere si è svolta la parabola umana e artistica di Sofia Gubajdulina, un percorso lineare, ideologicamente coerente, in cui l'arte è riconquista spirituale dell'unità nel molteplice. Una visione sacra e allo stesso tempo fortemente terrena, una coniunctio oppositorum di umano e divino, passione ed ascesi, di orizzontale e verticale; linee guida, queste ultime, dell'intera sua poetica, direzioni ideali totalizzanti, perfettamente sintetizzate nel simbolo ricorrente in molte delle sue partiture: la Croce.
Se Sofia Gubajdulina, un compositore donna, di madre slava e padre tartaro, ortodossa, nata in un paesino periferico dell'Unione Sovietica, riceve quest'anno il più prestigioso e ambìto premio alla carriera musicale, ovvero il Leone d'Oro del Festival Internazionale di Musica Contemporanea di Venezia, a un anno di distanza dal conferimento dello stesso a Pierre Boulez, intransigente e cosmopolita caposcuola della corrente più rigorosa del Novecento musicale, le ragioni sono molteplici e da ricercare su più fronti: senz'altro nella sua preziosa produzione musicale, oramai eseguitissima ed estremamente apprezzata in tutto il mondo, e però anche nella sua tenace resistenza ideologica al regime sovietico e ai dettami del realismo socialista, che per lungo tempo la censurò, tenendola ai margini della vita musicale russa e boicottando le sue partiture dal 1979 (anno in cui fu inserita nella lista nera dei "Sette di Khrennikov") fino all'arrivo di Gorbaciov.
Penso che la spaccatura fosse di carattere soprattutto ideologico e non puramente musicale. Perché io suscitavo tanto odio da parte di queste persone che magari non avevano nemmeno ascoltato la mia musica? Come fanno a proibire quello che forse nemmeno conoscono? Ci sono casi in cui l'uomo è disposto a essere lo schiavo del sistema che ritiene immorale, antiestetico, e loro stessi si piegavano e diventavano schiavi di quel sistema. Ai loro occhi il mio atteggiamento era insopportabile.
Sofia Gubajdulina, conferenza di consegna del Leone d'Oro
Per molti anni, dunque, Sofia fu costretta a scrivere soltanto musica per il cinema. Molte, però, furono le voci autorevoli che si levarono in sua difesa. Da Alfred Schnittke che per primo scrisse di lei su una rivista, a Dimitri Shostakovich che, suo commissario d'esame al Conservatorio di Mosca, sostenne il suo talento e la invogliò a continuare nelle sue ricerche, fino Gidon Kremer che eseguì per la prima volta il suo ormai celebre "Offertorium" sui palcoscenici internazionali.
Aspetti fondamentali del suo approccio musicale sono la passione per strumenti inusuali rispetto alla composizione dell'orchestra tradizionale e la ricerca sull'improvvisazione quale richiamo alla tradizione orale arcaica e popolare. Instancabile collezionista di strumenti etnici ed orientali (cembali cinesi, cheng e pien-chung, tam tam, sleigh bells, darabuka, nagara, jarar), molti dei quali le sono stati donati di volta in volta da esecutori speranzosi nella scrittura di una nuova partitura, ha un rapporto strettissimo con essi, di amore, di rispetto, come con degli essere viventi. A comprova di questa passione, insieme a Viktor Suslin e Vyacheslav Artyomov, nel 1975 l’Ensemble Astreya, fonda un gruppo d'improvvisazione su strumenti popolari russi, caucasici, dell’Asia centrale e orientale. Episodico, se non trascurabile, invece, il suo interesse per la musica elettronica ed elettroacustica, con la quale si è confrontata in una sola occasione.
Addentrandoci nella sua opera possiamo definire la sua una poetica delle antinomie, dei contrari, delle contrapposizioni. Tali opposti devono necessariamente essere conciliati, per Gubajdulina, in linea con una concezione del mondo e dell'uomo come entità frammentate e in attesa di ricomposizione. In ciò si esprime il portato mistico e fortemente religioso della composizione musicale stessa, come restituzione dell'integrità spirituale degli esseri e delle cose. La sua drammaturgia musicale mette perciò insieme est e ovest, maschile e femminile, antico e moderno, colto e popolare, suono e silenzio, e ciò naturalmente si riflette anche nell'approccio compositivo, che sullo strumento contrappone ‘staccato' e ‘legato', ‘con l'arco' e ‘pizzicato', ‘sulla tastiera' e ‘sul ponticello', ‘con sordina' e ‘senza sordina'. Per mezzo dei suoi ‘simboli' (Croce, Sezione Aurea e Successione di Fibonacci) la musicista russa innesca poi il processo di ideale fusione sonora, che attiene molto più spesso al ritmo che non alla scelta delle note, perché, dice, «il ritmo è legato alla naturalità del nostro respiro» e dunque è reale, immanente, rinvenibile in Natura, mentre le successioni armoniche e melodiche sono il frutto di sistemi via via arbitrari; le altezze dei suoni nelle sue composizioni possono, perciò, risentire di scelte più libere, modali o microtonali, a seconda dei casi.
Nella visione di Sofia Gubajdulina non c'è partitura nella storia musicale che non possa essere letta e interpretata come sacra, comprese quelle composizioni nate nel segno di una volontà espressamente profana. Questo atteggiamento religioso estremamente inclusivo, coniugato con una grande libertà di pensiero a dispetto di qualsiasi costrizione politica, porta l'autrice ad avere una visione assai aperta ed entusiastica del progresso musicale, tollerante e magnanima verso ogni singola espressione della creatività rivolta al suono, di qualsiasi segno, scuola o provenienza.
Resta però aperta una questione scottante per le generazioni a venire, che nasceranno sotto il segno di una estrema libertà linguistica ed espressiva, lontani dalla scure della censura e senza più dogmi da sconfessare: nella totale assenza di una Musica di Stato, a cui uniformarsi o aspramente criticare, con le sole leggi di mercato a governare il senso comune del gusto, e senza più alcun padre da assassinare… chi potrà mai comporre la nuova Musica del futuro?