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Paola Taverna sui vaccini: ma siamo sicuri che “similabile” non esista?

Sì. Siamo sicuri. Non è attestato. Però questo irriso errore della cittadina Paola Taverna (“similabile” per “assimilabile”) pronunciato nella dignità della Camera è un errore interessante e piuttosto fertile, che ci permette qualche pensiero specifico e generale su com’è che si fanno certi errori di un certo genere, e su come evitarli.
A cura di Giorgio Moretti
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Oggi i centri vaccinali sono similabili a quelli che vengono paragonati i marchi per le bestie.

Questa è la frase che in particolare ha destato scalpore. Sia per il suo aspro contenuto politico, che con un po' d'intuito si può rimettere insieme (anche perché abbastanza a buon mercato), sia soprattutto per la sua forma linguistica. Sorvoliamo sul fatto non dappoco che ci sia un doppio anacoluto, e che quindi la frase sia costituita da proposizioni inconseguenti (così è l'intero intervento). Concentriamoci su quel "similabile". Non è una parola che si trova sul dizionario, e questo è un errore peculiare.

Un'infilata di anacoluti, nel pieno di un discorso pronunciato a voce, è comprensibile: l'emozione, l'enfasi spira sulla frase come un vento di tempesta, e chi parla così emozionato può doversi produrre in virate acrobatiche per portare a termine la frase. Specie ai meno padroni capita. Anche errori di coniugazione, di concordanza dei tempi sono comprensibili: il dinamismo della frase mette alla prova il susseguirsi atletico delle forme verbali e la loro armonia, e senza allenamento qualche ostacolo lo tocchiamo. Invece toppare una parola singola è un errore statico, non un errore di composizione della frase, e ha implicazioni diverse.

Quando pronunciamo o scriviamo una parola in modo erroneo (caso diverso dallo sbaglio o dal refuso: si ha la convinzione che sia giusta così) è perché l'abbiamo imparata male, perché l'abbiamo archiviata male. E com'è che nella mente si assesta e stabilizza un errore del genere? I fattori sono molti, proviamo a vederne alcuni che riguardano questo caso particolare.

"Assimilabile", udito in un discorso, può dare l'impressione che la ‘a' iniziale appartenga alla parola precedente. Diciamo forte "un'idea assimilabile", "una categoria assimilabile", o nutrizionalmente "una sostanza assimilabile". Specie se abbiamo qualche sbavatura nella pronuncia delle doppie (come l'Onorevole Taverna) è difficile discernere "assimilabile" da "similabile", e quindi è plausibile registrarlo male.

Inoltre esistono parole simili, che hanno anche una certa aura tecnica e alla moda: pensiamo a "similare", preferito all'imperfetto sinonimo "simile" perché pare più colto e ricercato. Se c'è "similare" è plausibile che ci sia "similabile". Anche perché "similare" pare un verbo, e se da "assimilare" viene "assimilabile", da "similare"… No?

Problemi da nulla, sarebbero. Piccoli errori. Se uno ha un confronto continuo con letture buone e persone che non parlano in maniera eccessivamente sbracata, è possibile compiere un'igiene continua del proprio vocabolario. È possibile correggere gli errori di archiviazione. Ma a un'età non più tenera, ciò che un errore del genere rivela è soprattutto una mancanza cronica di igiene linguistica.

Come evitare incrostazioni del genere? Leggendo abbastanza e parlando con chi parla meglio di noi. Si suppone che i parlamentari lo facciano. Ma evidentemente non tutti: era forse dai tempi di Eraldo Isidori che non si sentiva qualcuno parlare così male in Parlamento.

(Va senza che vada detto: se la frase è grottesca, il pensiero politico che vi sta dietro, quello che vuole comunicare, può non esserlo?)

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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