Si può ridere di tutto? La satira ai tempi di guerre e femminicidi
Cos’è che ci fa ridere? E di cosa si può ridere? Cosa esattamente scatena la risata? E fino dove possiamo spingerci per far ridere? In questi giorni in cui si fa un gran parlare di libertà di espressione dopo la notte degli Oscar, o la “battuta” orribile di un comico sul femminicidio di Carol Maltesi e soprattutto in queste settimane di guerra mi sono domandato più volte se si può davvero ridere di tutto.
Centinaia sono i filosofi, critici, teorici, comici e scrittori che si sono interrogati su tale questione, senza tuttavia riuscire a dare una risposta univoca, che metta d’accordo chiunque, perché una risposta non c’è, non può esserci. Nessuno può dire cosa faccia ridere e cosa no, perché è una questione assolutamente personale: a me personalmente (la reiterazione è voluta se no poi pensate che non so scrivere i sinonimi) fa morir dal ridere vedere le persone che urlano molto forte senza alcun motivo preciso, oppure le frasi assolutamente fuori luogo o ancora rido spesso nei momenti o luoghi in cui assolutamente non si potrebbe e non si dovrebbe ridere, come i funerali ad esempio. Ma so bene che non è così per tutte e tutti e altresì accade che molte delle cose che fan ridere tanta gente a me lascino completamente indifferente.
E in questi giorni più che mai viene quindi lecito chiedersi: si può o si deve davvero ridere di tutto? Si può ridere della guerra?
Ricky Gervais, forse uno dei più grandi comedian e autori di satira della storia, risponde facile: "Non c'è nulla su cui non si possa scherzare, il punto è come lo fai", sosteneva in un podcast di qualche tempo fa, "le persone dovrebbero smetterla di definire una battuta offensiva e iniziare a dire ‘io la trovo offensiva', perché niente è intrinsecamente offensivo e si tratta solo di una questione emotiva personale, niente più".
E a questo punto la domanda potrebbe essere posta ribaltando il punto di vista: perché non si dovrebbe poter ridere di tutto? Della guerra? Perché no? Certo c’è un discorso di empatia, di sentimenti che popolano i social in questi giorni e che rende molto difficile scherzare sulla morte e sulla vita di persone che la perdono ogni giorno loro malgrado. Ma qual è la differenza fra oggi e un anno fa? Ovvero spiegando meglio la domanda cosa c’è di diverso fra la guerra russo-ucraina e la guerra in Siria o in Afghanistan o in Messico o in Libia o in Burkina Faso o in Nigeria etc? Guerre che c’erano anche un anno fa, anche prima che ne scoppiasse una nel cuore dell’Europa pacifista e soprattutto nel cuore pulsante dell’occidente tranquillo e lontano da scene di morte e missili che solitamente vediamo nelle immagini importate da chilometri di distanza e da paesi a noi culturalmente lontani. Ecco quel è la differenza: la percezione, il punto di vista, proprio come diceva Gervais, è solo una questione emotiva personale, una questione di prospettive.
“Sarà una risata che ci seppellirà” credo che sia proprio lì il senso del tutto: la risata, la satira da sempre serve ad esorcizzare la paura del vivere o addirittura la paura di morire. Ridendo anche delle cose più drammatiche riusciamo ad allontanare anche per un piccolo istante tutte le nostre paure più profonde. E così anche per la guerra.
Però attenzione, il black humor non può essere una scusa per dire un po' quel cazzo che ci pare e quando ci pare, proprio come un comico in questi giorni (qui un approfondimento) ha dato dimostrazione di inadeguatezza e incapacità: allontanata dal suo contesto e dalla sua cornice, la battuta rischia di essere fine a se stessa oltre che inutilmente violenta e i social non fanno altro che amplificare tutto questo, tagliuzzando, estrapolando o lasciando spazi a chi scrive per una frase senza alcun approfondimento, ed è per questo, invece, che un vero spettacolo di satira, degno di questo nome, è, a mio modo di vedere, il sacrificio del comico. “Io offro il mio corpo in sacrificio per voi”: il comico si fa carico sulle sue spalle di tutta la merda dell’umanità, di tutta la cattiveria, degli istinti più bassi, e nel rappresentarli attraverso se stesso, attraverso il proprio corpo, ne stigmatizza l’essenza stessa, e diventa prova dell’origine del male, della banalità del male. Perché, come diceva il signor G, “non è tanto Berlusconi in sé a farmi paura ma è il Berlusconi che è in me a farmi veramente tanta paura”. Basta sostituire il cavaliere con il capitano o con il personaggio a noi più inviso e il risultato non cambia. C’è del male in ognuno e ognuna di noi, per questo abbiamo tutto il diritto di riderne. Sempre. Perché in definitiva prendiamo in giro noi stessi e noi stesse sempre e comunque.
La risata allevia il dolore di vivere, sospende il tempo e quando riesce ad essere un fine e non solo un mezzo allora si fa strumento, diventa sberleffo per denunciare i luridi meccanismi del potere e così facendo diventa pugno in faccia (metaforicamente parlando ovviamente, se no poi arriva Will Smith e siam punto e a capo) al pensiero comune, diventa via di fuga dalla polarizzazione delle opinioni di massa perché ha il potere di poter approfondire. Ed è anche assolutamente per questo che non la si può decontestualizzare, perché privata del suo contesto, del suo spessore e della sua profondità rischia di diventare mera, infima, volgare battutaccia da osteria o protagonista di un meme.
E i meme oggi sono uno strumento potentissimo: oramai è consuetudine valutare la popolarità di un personaggio politico e dello spettacolo in base a quanti sono i meme su di lui o di lei e stiamo osservando che in queste settimane una delle armi della resistenza ucraina è proprio la comicità, la satira attraverso i social. L'account Twitter verificato, creato nel 2016 da un addetto stampa dell'allora governo di Kiev e tuttora collegato all'esecutivo, ha iniziato a postare immagini sarcastiche riguardanti il conflitto, continuando a postare meme ironici contro il governo russo: un’opera continua di sensibilizzazione del popolo russo per allontanarlo sempre più dalla propaganda di regime unilaterale. Uno su tutti, per me il più bello: un'immagine del cartone animato dei Simpson modificata in “Non chiamatela più crisi ucraina. Non c'è nessuna crisi. C'è un cattivo vicino”. "Alla fine, la comicità – come dice Jacopo Cirillo – è in tutto e per tutto un esorcismo e adesso che stiamo avendo a che fare con dei veri demoni, sembra proprio la cosa più naturale, e più umana, che possiamo mettere in atto per (fingere di) soffrire un poco di meno."
Zelensky era un comico che in una nota gag televisiva, suonava un pianoforte con il cazzo, che detta così suona un po’ fortina ma è esattamente quello che faceva: e allora come si può non ridere al pensiero che l’attuale simbolo della resistenza mondiale contro i cattivi cattivi in questo momento sia incarnato da un uomo che suonava il pianoforte con il cazzo? Perché sì, come diceva Jannacci, il comico è tragico altrimenti non sarebbe comico, e la guerra è un enorme cazzata, appunto.