Si dice spremuta o premuta? Un dubbio lungo secoli, dal latino all’italiano
È più corretto dire “spremuta” o “premuta”? Il dilemma, ancora molto frequente fra i parlanti, vanta origini antichissime e non è di semplice risoluzione. Il termine “premuta” con il significato di “bevanda a base di succo di frutta, soprattutto agrumi, estratto per pressione con appositi utensili” non è attestato nei dizionari di lingua italiana, tuttavia esso è largamente utilizzato in molte regioni italiane come alternativa più frequente a quella tradizionale. Non è cosa rara girare per le strade di Napoli ed imbattersi in cartelli pubblicitari e insegne di bar che invitano a consumare una fresca e dissetante “premuta” di arancia: il termine è però percepito come sbagliato e la sua presenza desta sempre qualche dubbio circa il suo corretto utilizzo.
Non molti sanno però che inizialmente, anche in quei dialetti che oggi bevono la “premuta”, era la parola “spremmuta” ad essere la più diffusa: in molti testi di medicina napoletani di inizio Ottocento il termine compare addirittura con il significato di “partorire”, nel senso di tirare fuori qualcosa. Perché allora oggi si utilizza il termine “premuta” nel dialetto e quello di “spremuta” in italiano? È possibile che in un certo momento della storia della lingua, anche a causa della mescolanza di parlate che hanno via via formato l’italiano, l’antica sinonimia fra i due termini si sia perduta in favore di una progressiva differenziazione d’uso.
La “premuta” latina e la “spremuta” di Svevo
Tutti i maggiori vocabolari riportano la parola priva della “s” iniziale come un regionalismo, ma l’Accademia della Crusca, sempre pronta a fornirci accurate e dettagliate spiegazioni in fatto di lingua, ha ricostruito la lunga e complessa storia dei due termini, che affonda le radici addirittura nella lingua latina. Scopriamo così che i verbo “spremere” deriva da “exprimere” che vuol dire appunto “tirare fuori”: ma già gli antichi conoscevano l’alternativo “premere” per indicare una pressione esercitata al fine di estrarre un liquido, benché il suo significato sia semplicemente “schiacciare”, non necessariamente per tirarne fuori qualcosa.
La differenza semantica dei due verbi si perde dunque nell’antica lingua latina, passando poi nei vari dialetti volgari prima di iniziare a comparire anche nelle prime forme di italiano letterario: nel 1602 la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca riporta già il verbo “premere” come “strignere una cosa tanto, ch'e' n'esca il sugo". Addirittura Boccaccio utilizza questo verbo impropriamente, dimenticandone l’originario significato di “schiacciare”. Numerosi autori del Cinquecento continuano nell’uso di “premere”, fino a quando, alla fine del XVII, il suo uso si arresta.
L'antica sovrapposizione di significato tra i due verbi, almeno a livello di lingua standard, va progressivamente perdendosi a favore di una divaricazione per cui oggi si “premono” i pulsanti e si “spremono” gli agrumi anche a causa del suo uso letterario attestato per la prima volta nel romanzo di Italo Svevo “La coscienza di Zeno”, nel 1923: intorno allo stesso periodo il termine viene inserito nello storico dizionario Zingarelli.