“Shoot Me!” in memoria della strage di Orlando. L’arte basta contro questa violenza?
Il 12 giugno 49 persone hanno perso la vita all’interno del gay club Pulse, ad Orlando, negli Stati Uniti. Una strage violenta, senza possibilità di redenzione. Così una settimana dopo, nella notte di sabato 19 giugno, nelle città di Firenze, Milano e Roma sono comparse delle immagini: 49 coppie omosessuali che si baciano, tutte diverse, tutte con una propria storia al di là dell’immagine in bianco e nero. Un’iniziativa che presto si è diffusa anche nelle altre città italiane: ora è la volta di Bologna, che accoglie quest’azione di guerrilla art anonima, grazie all’impegno di CHEAP-Streetposter Art Festival. 49 fotografie “per ricordare la strage e rivendicare con orgoglio il diritto ad autodeterminarsi, coinvolgendo spontaneamente l’aggregazione di tutti coloro che hanno sentito l’urgenza di condividere una reazione, mettendosi a disposizione del progetto, offrendosi allo sguardo pubblico, organizzando e auto finanziando le successive affissioni”.
Colpiscimi, uccidimi, sparami…fotografami. Il progetto “Shoot Me!”, questo il titolo delle centinaia di immagini sparse in giro per le città italiane, per ogni persona uccisa nel massacro di Orlando affigge una fotografia: 49 persone uccise, e 49 ritratti di baci omosessuali, raccolti dal fotografo Gianluca Vassallo. Un bacio per ogni vittima, una fotografia per ogni colpo. Ma cosa può voler dire un gesto del genere? “Come essere umano e come artista ho deciso, con la complicità di moltissime persone, di attivare una guerrilla art che celebri la gioia d’amarsi in libertà e che, al contempo, porti un messaggio a chiunque creda che l’amore e l’identità di genere rispondano a codici univoci anziché alla sola dimensione della scelta e della condizione individuale”, ha spiegato Vassallo.
Un progetto interessante, soprattutto per la rapidità con la quale ha saputo rielaborare una violenza come quella di Orlando e trasformarla in arte. Arte, come in questo caso, è ciò che trascende l’individuo e la sua solitudine e riesce a parlare alla collettività. Ma in un mondo distratto, accelerato, occupato a fare i conti con migliaia di Orlando ogni giorno, in che modo può incidere l'arte? Le città sono grandi animali che respirano, corrono e cambiano continuamente: i muri dei palazzi, quelli che circondano le strade affollate da passanti, sono come la pelle di questo gigantesco organismo: anch’essa cambia continuamente. Quanti di noi si soffermano a guardare l’infinità di immagini che ci colpiscono come una raffica di proiettili ogni giorno? Quanti guarderanno quelle immagini e penseranno effettivamente ad Orlando? E dopo? Diventeranno delle persone migliori o consumeranno quel contenuto culturale e tireranno dritto per la loro strada?
Reagire, e comunicare la propria reazione a chi ci circonda, è essenziale per costruire la consapevolezza collettiva di fatti come questo: ma quanto la sola voce dell’arte, che sembra in questo particolare caso rimanere profondamente isolata, quando quel 12 giugno sembra già lontano e passato, può servire una causa come quella di Orlando? Un messaggio simbolico, certo, molto forte; ma da solo, il simbolo, ci salverà? Il filosofo tedesco Ernst Cassirer affermava che un popolo che produce arte, lo fa quando ha già compreso profondamente se stesso: ma oggi, dopo Orlando, dopo Nizza, dopo Parigi, abbiamo ancora il tempo di soffermarci a comprendere noi stessi, e ciò che ci accade attorno?