“Se questo è un uomo”, il capolavoro letterario di Primo Levi in memoria di Auschwitz
Primo Levi è lo scrittore e poeta italiano, che visse sulla propria pelle gli orrori del Nazismo, fu catturato il 13 dicembre 1943 dai nazifascisti in Valle d'Aosta per esser deportato nel febbraio dell'anno successivo nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Riuscì a scampare alla tragedia del lager e da quel momento la sua missione narrativa fu quella di raccontare le atrocità a cui aveva assistito. "Se questo è un uomo", romanzo d'esordio, divenne poi capolavoro, un classico della letteratura mondiale, documentario di terribili esperienze nel campo di sterminio nazista, collocandosi fra le opere più emblematiche della memorialistica autobiografica e nel cosiddetto neorealismo.
Il realismo è così forte ed emotivo da creare nel lettore un'immedesimazione nel protagonista da avere l'impressione di accompagnarlo nel suo triste viaggio. Primo Levi teneva a precisare l'esattezza degli episodi narrati, nessuno dei quali è frutto di fantasia. Una lettura che smuove ogni angolo della coscienza, che solleva riflessioni e domande a cui l'autore cerca di dare delle risposte stemperandole nel corso della narrazione.
"Se questo è un uomo" traccia un excursus descrittivo nell'individuazione di dinamiche sociologiche. Levi è particolarmente determinato a riportare la psicologia dei detenuti, la cui consueta civiltà viene a crollare totalmente, divenendo un'altra cosa, amara scaltrezza per riuscire ad ambire, attraverso ingegnosi sotterfugi, all'appartenenza del gruppo dei privilegiati che sopravvivranno, magari non all'intera durata della detenzione, ma almeno al prossimo e imminente orrore.
Levi inquadra inoltre l'antisemitismo come un fenomeno più ampio, il disprezzo nei confronti dei diversi. Il lager non è altro che una metonimia di un odio più vasto qualcosa che può arrivare a toccare il mondo intero, la vastità della natura umana, di cui i campi di concentramento cercano di governare le sorti in un mostruoso e irripetibile esperimento.
La narrazione è volutamente agghiacciante e lineare, non ci sarà mai spazio per alcun cedimento emotivo, Levi vuol conservare sempre il suo approccio razionale, potendosi come testimone, lasciando a chi leggerà il privilegio di farsi un'opinione, mai manipolata, mai corrotta da accenti di forzato patetismo. Questo rende ancora più dura la partecipazione al romanzo che non ha bisogno di nessun contorsionismo di penna per suscitare indignazione e pietàs, quella del profondo senso ‘latino' di partecipazione al sentire dell'altro.
La detenzione in un lager è come trovarsi un Inferno dantesco, un viaggio nell'Oltretomba, in cui si cerca un modo per tornare a rivedere la luce e l'ebrezza di un'aria cristallina, ma l'incubo è realtà, una realtà che supera la fantasia, più di qualsiasi opera filmica. Le anime vengono così traghettate verso l'inferno attraversando il fiume Acheronte della deportazione, guidate da un soldato cortese come Caronte che gentilmente si farà consegnare gli oggetti di valore dai detenuti per poi condurli fino ad Auschwitz.