Scosse elettriche d’artista: Daniele Puppi a Magazzino
Si scorge una continua sfida nel lavoro di Daniele Puppi: sfidare se stesso, i limiti della propria tolleranza fisica, lo spazio e la sua presunta staticità, il pubblico, le sue aspettative, le sue percezioni. Senza mezze misure, Puppi sembra puntare, in tutti i sensi, all’esasperazione, a quell’intensità massima che, superata la soglia dello stupore e della paura, affascina e coinvolge.
Con Blast, la mostra ‘esplosiva’ allestita nelle sale della galleria Magazzino fino al 18 maggio, la provocazione di Puppi raggiunge nuovi e inattesi livelli, dove la violenta sollecitazione multisensoriale, ottenuta con un uso aggressivo di suoni e luci, è associata per la prima volta ad immagini oscene o un po’ inquietanti – primissimi piani di vulve e una cavia da laboratorio sottoposta a scariche elettriche – che tuttavia, manipolate dall’autore, risultano poi svuotate di ogni tratto scabroso. La novità delle opere di Blast sta anche nel formato dei lavori (composti da due monitor da regia), un formato piuttosto contenuto se paragonato alle più note installazioni ambientali in cui l’artista si sottopone a singolarissime fatiche.
Dalla metà degli anni ’90, infatti, Daniele Puppi (1970) si è presentato al pubblico italiano e internazionale con una serie di lavori dall’impronta assolutamente originale, cui ha assegnato il titolo unico di Fatica. Fine ultimo di queste opere è quello di “alzare il livello percettivo”, generando una nuova configurazione spaziale dove stimoli visivi e acustici alterino le strutture architettoniche e lo stato d’animo del visitatore. In una fase preliminare, l’artista realizza dei “corpo a corpo” con l’architettura, sottoponendosi a sforzi fisici con azioni energiche ed essenziali, come dar colpi vigorosi alla parete saltandovi contro, battere violentemente il piede sul pavimento, cercare affannosamente di aprire una porta scorrevole bloccata. In quella che è stata definita “un’ode alla frustrazione”, i gesti vengono ripetuti ossessivamente, dando vita a un atto che, se per un verso è una modalità di conoscenza dello spazio, evidentemente pone sotto stress il corpo e la mente non solo del performer ma anche dello spettatore, ancor più se si considera che le Fatiche di Puppi inglobano e travolgono il visitatore nell’evento, perché i video delle performance sono proiettati sulle strutture architettoniche del luogo espositivo. Nelle Fatiche, opere elaborate, composite e dagli effetti multisensoriali, convergono indagine spaziale, lavoro sul corpo, sperimentazione acustica e ricerca visiva, con l’intento finale di potenziare lo spazio tramite suoni, immagini e vibrazioni, per amplificare la percezione, e quindi la conoscenza, di chi lo vive.
La ripetizione ossessiva di gesti tanto vani quanto rumorosi crea un ritmo sonoro che è elemento trainante dell’intera installazione. Esso accompagna le proiezioni delle immagini in movimento, e così i diversi elementi insieme esplorano lo spazio, lo fanno vibrare fino a “farlo esplodere”, mettendo alla prova, con estrema immediatezza, la resistenza del pubblico ipereccitato e al contempo atterrito dalle tante sollecitazioni sensoriali. Nel suo voler “osare sempre”, producendo “un’opera che sia immediatamente visibile, udibile e tangibile” e subordinando “pensieri e concetti alle condizioni sensibili dell’intuizione”, Daniele Puppi conduce quella che lui stesso definisce “una lotta contro il pensiero associativo che cerca di conformarti e trascinarti nelle abitudini del fare o del pensare”.
Si è catapultati al di fuori di ogni abitudine visiva e percettiva anche con gli esaltanti esperimenti di cinema rianimato, evoluzione piuttosto recente della produzione di Daniele. Affascinato dalle possibilità ritmiche offerte dal montaggio, l’artista intende superare i limiti fisici dello schermo ed espandere l’immagine cinematografica oltre il formato consueto, ovvero farla letteralmente uscire dai confini prestabiliti, attuando così, nuovamente, una ricerca sperimentale sullo spazio in dialogo con le immagini in movimento e il suono. Puppi sceglie quindi brani di film in cui intravede un ‘potenziale tridimensionale e dinamico’ inespresso, li decostruisce e li rimonta con scansioni, deformazioni, contrazioni dell’immagine e amplificazioni sonore, all’interno di dinamiche di moto e spazio ormai più reali che virtuali, per poi proiettare il tutto su un sistema articolato di maxischermi. In What Goes Around Comes Around (2011) l’artista ha rianimato la celebre scena del combattimento tra Bruce Lee e Chuck Norris del film L'urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente (The Way of the Dragon), mentre nello straordinario esempio di cinema rianimato progettato per un’enorme sala dell’Ex-Gil di Roma e presentato per la terza edizione della rassegna Digitalife (2012), Puppi ha lavorato sul film L’australiano (The Shout) restituendo un’opera di intensità estrema che per la potenza degli effetti visivi e sonori sembrava divorare lo spettatore.
Come nelle Fatiche così nel cinema espanso, è evidente il tentativo, sempre riuscitissimo, di animare o ri-animare, di ritmare, di far esplodere lo spazio, la visione e, definitivamente, la percezione.
Le opere di Blast ideate per le sale di via dei Prefetti rientrano nella linea di ricerca tracciata sin qui, che parte dalle Fatiche, passa per il Cinema rianimato ed evolve, più sorprendentemente che mai, in quelli che l’artista definisce “dispositivi minimi di rianimazione sensoriale”: non più grandi pareti o maxischermi a fare da supporto al video, ma vecchi monitor di controllo disposti a coppie a formare due installazioni in due spazi distinti della galleria. Di fronte agli assemblaggi di monitor, un proiettore è indizio dell’inganno della visione: ciò che vediamo sugli schermi non è trasmesso da quei televisori, ma proiettato sulle loro superfici, toccando talvolta anche le parti laterali del monitor stesso, che così, da apparecchio emittente, risulta snaturato e trasformato in supporto ricevente. Nei lavori di Daniele Puppi l’immagine è sempre proiettata: la scelta di proiettare – da proicere (gettare avanti) – sembrerebbe dimostrazione quasi etimologica di come quella di Puppi sia innanzitutto una ricerca sullo spazio e sulla percezione di esso.
Ulteriore novità delle opere in mostra a Magazzino consiste nel fatto che l’artista non lavora con sequenze filmiche ma con immagini fisse, tratte da video preesistenti: destrutturando, vivisezionando e rielaborando il fotogramma, Daniele dà vita all’inerte e produce una vera e propria immagine rianimata. Nell’installazione intitolata Flesh si susseguono rapidamente diversi close-up di vulve che, con effetti speciali e esilaranti, vibrano, si dilatano, si contraggono, accompagnate dal rumore del caricamento di una pistola e del colpo esploso; in El Topo gli effetti speciali hanno come oggetto una cavia da laboratorio che, sottoposta a scariche elettriche, cambia colore, si scheletrisce, sparisce e riappare, scomposta e ricomposta sui due monitor. Qui il sonoro non è altro che l’inquietante rumore delle scosse elettriche, rumore intermittente più o meno prolungato fino all’atto terminale di un’esplosione così potente da far vibrare le pareti della sala. Ruolo cruciale in tutta la mostra è giocato dall’elemento luminoso: Puppi, manomettendo l’intero sistema di illuminazione della galleria, ha coordinato la luce al suono delle scariche elettriche e generato un’intermittenza visiva e acustica, che scandisce il tempo dell'evento: è il ritmo perturbante che intensifica la percezione e che fa da elemento unificatore dei diversi spazi della galleria.
In un’atmosfera stridente, dove ludici rimandi visivi e sonori alla morte sono mescolati a pornografici riferimenti archetipici di nascita e vita, una volta affrontata e vinta l’aggressività del primo impatto, quello che rimane è una nuova esperienza sensoriale colorata dell’ironia delle ‘immagini rianimate di serie B’.