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Scandalo fondi teatro in Campania: hanno tutti ragione!

I teatranti napoletani fanno cartello contro la Regione per la gestione dei fondi europei del comparto cultura. Quali sono le alternative? Quali le responsabilità dell’intera classe dirigente?
A cura di Andrea Esposito
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La materia è complicatissima, pertanto, con quest’articolo, non intendiamo certo stabilire chi abbia ragione e chi torto, prendere posizione pro o contro qualcuno, e nemmeno tediarvi con astrusità tecnico-legislative: Programmi Operativi Regionali, Piano di azione e Coesione, Legge Regionale n.6/2007, Obiettivo operativo 1.10, Fondi Fas, Fesr, ecc. ecc.  Tanto più che, di questi tempi, occorre prudenza e sangue freddo.

Diamo, piuttosto, “copertura” e un pizzico di approfondimento all’incontro svoltosi martedì 25 giugno al Teatro Nuovo, il cui tema si può riassumere pressappoco così: “Finanziamenti al mondo dello spettacolo, no agli oligopoli pubblici”. In realtà, si tratta dell’ennesimo raduno di una parte consistente degli operatori teatrali napoletani, uniti nel protestare contro lo scandalo (o presunto tale) dell’assegnazione continuativa di fondi europei, per mezzo di emendamenti, alle Fondazioni che fanno capo alla Regione, siano esse “in house” o meno (Teatro di San Carlo, Fondazione Campania dei Festival…). Va detto, però, che gli attori di questa protesta sono in buona parte espressione di quel coacervo d’identità formatosi sotto l’ombrello del cosiddetto “Rinascimento napoletano” o più volgarmente, del ventennio bassoliniano. Questo per dire che il discorso non prescinde da logiche e posizionamenti squisitamente politici.

Tuttavia, all’incontro in mezzo a tanti “apocalittici” c’era pure qualche “integrato”: nello specifico, uno dei responsabili della Fondazione Campania dei Festival (leggete pure, Napoli Teatro Festival Italia). L’istituzione contro cui, negli ultimi due anni, si sono compattati tutti quelli che hanno ricoperto posizioni di potere o hanno goduto rendite di posizione sotto la precedente giunta. Oggi, strappati dalle loro poltrone attraverso lo spoil system, che è pratica aberrante e incivile (specialmente quando colpisce i lavoratori non politicizzati) ma pur sempre modus operandi della classe politica nel suo complesso, protestano vivacemente sventolando scandali e anomalie. È, ahinoi, una regola del gioco: nelle istituzioni pubbliche vale l’antico motto: “Hodie mihi, cras tibi” (Oggi a me, domani a te!). È quindi, sempre difficile, quando si parla di tali materie, mantenere dritta la barra del timone e districarsi in questa matassa informe. Quindi, touché o come scriverebbe Paolo Sorrentino, “Hanno tutti ragione”, nel senso che ciascuno ha dalla propria delle colpe (scandali) che l’altro utilizza, prontamente, come argomento per giustificare il proprio agire politico. In più, a rincarare la dose, c’è la crisi che rende tutto più stringente e acuto. Qualche esempio? Le piccole associazioni, le compagnie, i teatri di ricerca accusano la Regione di aver veicolato fondi europei (Pac) solo verso le grandi Fondazioni pubbliche, peraltro trasformate in enti in house (quindi direttamente collegate), trascurando la progettualità che 365 giorni l’anno tali attori mettono in campo sul territorio (questo è il mantra del convegno, i famosi 66 milioni di euro). Il tutto scavalcando la legge di sistema (la famosa L.R. n. 6/2007) che garantisce grandi e piccoli con un meccanismo perequativo. Metteteci pure che la Legge Regionale, non ha copertura finanziaria adeguata o nel migliore dei casi quei fondi vengono erogati con anni di ritardo, bloccando qualsiasi possibilità di programmare stagioni, laboratori, attività in generale. Chi non è d’accordo?

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Il punto è che tali fondi europei (Pac come gli ultimi o Por come i precedenti), non possono essere messi per legge a copertura di L.R. e quindi se da un lato si protesta con giusta impazienza perché vengano sbloccate risorse ordinarie, dall’altro la Regione va avanti con equilibrismi tecnico-giuridici per sostenere quelli che vengono considerati gli asset strategici del comparto cultura, a rischio fallimento, tipo: San Carlo, Mercadante, Teatro Festival, di cui nessuno vuole intestarsi la chiusura e che sono gli unici sul piano normativo a poter accedere a tali fondi. In particolare il Teatro Festival che, pur essendo stato trasformato in un carrozzone politico, è l’unica istituzione capace (non sempre) di assorbire quelle risorse che vengono dall’Europa per poi distribuirle, almeno in parte, sul territorio. Infatti, bisogna pur dirlo per onestà intellettuale, la stragrande maggioranza di coloro che martedì protestavano al Nuovo, motivando le loro ragioni come il video documenta, sono gli stessi che ogni anno partecipano al Teatro Festival con progetti che spesso durano molto di più dei venti giorni di “grande evento”. Eccezion fatta per Carlo Cerciello che ha intrapreso da anni una sua battaglia, quasi personalistica, contro Luca De Fusco e la Regione. Per quel che riguarda, invece, il discorso del ritardo nei pagamenti è una questione a parte ma anche lì, ancora una volta, il danno che impedisce di fatto l'erogazione dei compensi è stato fatto da entrambe le gestioni.

La domanda che qui si pone, piuttosto, è perché si è creato questo meccanismo di parassitismo, dove i “piccoli”, loro malgrado, reclamano ogni anno soldi alla Fondazione (nell’ambiente ha assunto il nome di “tassa napoletana”) presentando progetti in alcuni casi improponibili in qualsiasi altro festival internazionale o comunque smaccatamente pretestuosi? Perché la grande istituzione, che ha la forza, la struttura e la legittimità giuridica per accedere ai fondi europei, tiene buoni tutti i “locali” affinché protestino (come martedì) ma non più di tanto. È, evidente, che qui c’è più di una cosa che non funziona, che siamo in presenza dell’ennesima gimkana frastornante di una politica inadeguata che ricorre, per dolo ma anche per necessità, a mezzucci e stratagemmi, per ovviare alla totale mancanza di funzionalità degli organi legislativi. Niente di diverso da ciò che accade sul piano nazionale, con l’unica differenza che lì, ormai, qualcosa si sta muovendo (niente di rivoluzionario, figurarsi) ma almeno si ha la netta impressione che i responsabili di questa indecenza siano stati ridotti al rango di “sopravvissuti”.

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Il discorso sui fondi europei, tra Fas, Pac e Por, che sono la vera e grande risorsa di questo territorio, purtroppo non può prescindere dalle grandi strutture (tipo la Fondazione) che hanno il compito e la legittimità di sussidiare la Regione e viceversa. Una piccola compagnia, un teatro stabile d’innovazione non può in nessun modo, per legge, accedere direttamente a fondi come i Por o i Pac che necessitano, per essere utilizzati, di competenze amministrative che tuttora, anche ai massimi livelli isittuzionali, sono in formazione (per usare un eufemismo). Il problema in questo senso è tanto locale quanto europeo poiché la legislazione in materia è all’anno zero anche a Bruxelles (regolamenti di “rendicontazione” palesemente insensati e ultra burocratizzati che rendono difficilissimo l’utilizzo di quelle risorse). Ma più di tutto il problema è delle classi dirigenti locali totalmente prive di esperienza in questo senso. Per di più, le “nostre” migliori professionalità in questi ambiti sono state costrette alla diaspora in mezzo mondo. Parliamo di trentenni e quarantenni ricchi di competenze e talento formati qui e ceduti a parametro zero ai vivai di tutta Europa e che rimpiangono la propria patria come i loro bisnonni emigranti.

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Ciò detto, quali sono le responsabilità della politica di fronte a tutto questo? L’Europa per erogare fondi (la Campania usufruisce di circa il 9% del totale a disposizione secondo la Ragioneria Generale dello Stato) pretende, anche al netto di una burocrazia folle, efficienza e capacità di funzionamento ma soprattutto esige di relazionarsi con un'unica grande istituzione che deve fare da hub verso tutto il sistema. I fatti dicono che siamo al disastro (pensiamo, per fare un solo esempio, al Forum delle Culture) e che siamo ancora fermi alle “occasioni mancate” (La Capria, cinquant’anni dopo!). Il cancro di questo sistema riguarda la formazione e l’accesso alle professioni e alle posizioni di dirigenza, veicolato dal clientelismo e non dalle capacità individuali, dal merito. I professionisti e i dirigenti del presente e del futuro, di questo paese come di questa città, sono stati svenduti alle imprese straniere (siano esse multinazionali o Ong). No, non si tratta di frustrazione generazionale, ma di un palese spreco di “bellezza” per dirla ancora una volta con Sorrentino, che è sotto gli occhi di tutti.

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