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Festival di Sanremo 2020

Sanremo 2020, nelle canzoni in gara al Festival poco amore e tanto smarrimento

Se la domanda fosse: cosa è finalmente cambiato al 70esimo Sanremo? Probabilmente la risposta sarebbe un italico gattopardesco tutto e niente: va definitivamente in crisi l’amore romantico ed emerge lo smarrimento. Sarà “amore” solo diciassette volte, sarà “mondo” per quaranta. Pretenderemo solo una decina di “baci”, ma per ben settanta volte la risposta sarà “dove”.
A cura di Andrea Melis
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Finite le vorticose polemiche che hanno avvolto Amadeus, artisti e soubrette, parte stasera la lunga maratona del Festival di Sanremo 2020. Dopo le difese dei vari Fiorello, Junior Cally e gli attacchi del mondo politico, sarà finalmente la musica a parlare. O meglio i testi. E se tutto il mondo parla di Sanremo, si può dire che tutto Sanremo parla del mondo, che l'amore romantico è stato seppellito, e che l'era dello smarrimento ha invaso anche le canzoni. Almeno così sembrano annunciare le statistiche. Diciamo gli "exit poll" della musica. Ma ci azzeccheranno?

Certo giudicare dei brani solo dal testo può sembrare una forzatura, ma nell'insieme si possono comunque cogliere delle tendenze molto interessanti sulle parole del nostro tempo, oltre che sui singoli brani. Complessivamente infatti sarà "Amore" solo 17 volte, e sarò "Mondo" per ben 40 volte. Uno dei termini più utilizzati in assoluto. A dimostrare che viviamo un'epoca di enorme smarrimento, soprattutto in amore.  Si chiederà solo una decina di volte "Baciami" e per ben settanta volte "Dove?". La parola "Cuore" compare solo 9 volte, la parola "Sole" viene detta 8 volte appena, così come "Paura". Ci sono stati Sanremo in cui un solo ritornello avrebbe stracciato questa bassissima presenza di luoghi comuni, mentre al settantesimo tentativo forse qualcosa è davvero cambiato. Almeno nella forma.

Sanremo 2020: l'analisi dei testi delle canzoni in gara

Anche se la "Paura", sembra comunque vincere sul "Coraggio", che compare solo 2 volte. A consolarci però, sarà "Tutto" per ben 34 volte e "Niente" per 24. Avremo 2 soli "Addio" e 3 "Ciao". C'è qualcuno che "Resta" per  35 volte, e qualcuno che "Scompare" o va "Via" per altrettante volte. La parola "Vita" compare una ventina di volte, e a voler essere manichei il "Bene" vincerà sul "Male" 18 volte a 15. Ma in sostanza qual è la parola vincitrice di questo Settantesimo Festival della canzone italiana? A dirla tutta sembra assisteremo a un compendio di limiti da superare, o di consigli di cose proibite da non sfidare, dato che in assoluto il termine che appare più volte è la negazione "Non" che svetta per ben 213 volte mentre si "Spera" solo 2 volte e altrettante volte (appena 2) si va "Contro".

Certamente non mancheranno le metafore, dato che si usa per 55 volte il termine "Come", e si risponde 30 volte "Così",  e infatti per vedere lo stato poetico di un testo è proprio lì che bisogna andare: a vedere la salute delle metafore, delle immagini, dei contrasti. Così come, appunto, sono usate. Se sono formule banali, innovative, immaginifiche, sterili, stupefacenti, banali, ricercate o raccogliticce. Così ora facciamo una piccola cavalcata, metaforicamente parlando appunto, pizzicando qua e là nei testi con piccole e arbitrarie segnalazioni delle migliori (o peggiori) immagini e soluzioni poetiche che ci aspettano da stasera. Poi certo, le parole non sono tutto. Conta anche la "Musica", che infatti compare come termine per ben 21 volte, mentre la parola "Rumore" solo 8. E anche questo lascia ben sperare!

Festival di Sanremo 2020: le canzoni sulla contestazione

Tra le soluzioni interessanti sul tema del "siamo contro" vanno citati per alcuni passaggi, anche se non particolarmente creativi ma certamente provocatori per la media sanremese,  Bugo e Morgan con "Sincero": "Trovati un bar che sarà la tua chiesa / E un figlio di puttana chiamalo fratello / Mangia bio nei piatti in piombo/ Vivi al paese col passaporto" che sembra confermare molto bene il livello di contraddizione e smarrimento dei nostri tempi. Paradossalmente in modo molto più riuscito di "No grazie" di Junior Cally al centro di tante polemiche della vigilia. A prescindere da cosa abbia cantato nella sua carriera a Sanremo porta un testo di contestazione costruito a tavolino, senza infamia né gloria, con un colpo a destra "Spero si capisca che odio il razzista /Che pensa al Paese ma è meglio il mojito" e un colpo a sinistra "E pure il liberista di centro sinistra che perde partite e rifonda il partito", che certo con un gioco di parole come partite/partito non fa saltare sulla sedia. Il resto è il classico egocentrismo che aspira al nichilismo e crolla nel romanticismo: "Dovrei puntare il dito contro / E fare il populista / Non fare niente tutto il giorno /E proclamarmi artista" per poi concludere "Giuro la smetto con sta storia del rap / Voglio scrivere canzoni d’amore per la mia ex / Trovarmi un lavoro serio e diventare yes man / Insultare tutti sì ma solamente sul web" insomma così tanti occhiolini ammiccanti che ne viene fuori una visione piuttosto miope del mondo.

Un discorso simile mi viene da fare per la vera novità, considerati outsider di lusso, rappresentata dai Pinguini Tattici Nucleari con "Ringo Starr". Di loro ho un'altissima opinione e aspettativa, amandoli e avendone amato molti testi, eppure questo esordio sanremese pare sia levigato al ribasso per far passare il pinguino dalla cruna dell'ago dell'Ariston. I Pinguini giocano certamente in casa sul tema generazionale: "A volte penso che a quelli come me il mondo non abbia mai voluto bene / Il cerchio della vita impone che per un re leone vivano almeno tre iene / Gli amici ormai si sposano alla mia età ed io mi incazzo se non indovino all’eredità" eh si, insomma, il concetto è sempre il non riconoscersi nel mainstream ma parrebbe senza disturbare troppo, cantando dietro le quinte della rivolta: "Ma questa sera ho solo voglia di ballare, di perdere la testa e non pensare più / Che la mia vita non è niente di speciale e forse alla fine c’hai ragione tu / In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr". Un po' poco per ragazzi che il provincialismo lo hanno cantato in modo ben più spietato in canzoni come Lake Washington Boulevard ( "E invece qui in questa fottuta pianura, ci vuole del coraggio anche per aver paura"). Confidiamo nella musica tormentone.

Sembra deludente anche Anastasio, che ci ha abituato a liriche sempre potenti, ma alla lunga la potenza senza controllo, come recitava una vecchia pubblicità di pneumatici, non sembra giungere a destinazione. "Non volevo sprecare così la mia rabbia", canta Anastasio nel suo brano "Rosso di rabbia" ma dopo versi così l'impressione è che l'abbia sprecata eccome, sembra in questo frangente uno che viene condotto dalla rima baciata più che condurla:

Ma ciò che mi rattrista è il terrorista
Esposto al pubblico ludibrio
La sua bomba era una farsa dal principio
Amico, non ti invidio
Dispiace, ma è la prassi
Il sabotatore sai che deve sabotarsi
E allora, allora giù le mani
La condanna è la mia
Nessuno di voi umani può portarmela via
Voi scrocconi di emozioni
Sempre in cerca di attenzioni
Prosciugate le canzoni della loro magia
Perfetto, sono un rivoluzionario provetto, corretto
Ma se davvero hai capito cos’ho detto
Allora hai visto un paralitico che si alza dal letto

Immagini meno nitide che in passato, concetti un poco confusi. Ma anche togliere la musica a un rap è roba criminale per cui stop giudizi sino alla finale (ops… scusate la rima)
Simile la parabola di Achille Lauro, altro enfant terrible della scena giovane, con l'impressione che la contestazione si fermi al titolo provocatorio di mussoliniana memoria "Me ne frego", per poi viaggiare un po' come Junior Cally sul piangersi addosso e giocare al duro, salvo poi tirare fuori il mazzo di fiori all'improvviso. Un trucco che inizia a mostrare stanchezza:

Dimmi una bugia me la bevo
Sì sono ubriaco ed annego
O sì me ne frego davvero
Sì me ne frego
Prenditi gioco di me che ci credo
St’amore è panna montata al veleno

Dispiace un po' dover ammettere che tra tutti questi giovanotti Rita Pavone, a 74 anni, con la sua "Niente (Resilienza 74)" risulta più credibile di molti altri, a partire dall'originalità del titolo. E bisogna riconoscere che sul gioco di parole la signora Pavone da più filo da torcere oggi che allora:

Qui non succede proprio niente
Pensavo
Che ad ogni seme piantato corrispondesse un frutto
Dopo ogni fiato spezzato ricominciasse tutto
Che la parola di un uomo valesse oro e invece
Trova un amico ma non toccargli il tesoro

Festival di Sanremo 2020: le canzoni sull'amore

Non sta tanto meglio l'altro fronte principale dei testi sanremesi: l'amore. Se è vero che sono cambiate le parole portanti, questo non sempre ha comportato una svolta creativa nell'universo dei sentimenti. Anzi. Giusto un po' più amore famigliare e meno amore romantico, ma ben poco altro. Non c'è traccia di amori omossessuali, o di poliamore, o di alcuna trapelazione di realtà che giunga sul palco dell'Ariston da quel folle mondo là fuori in cui i divorzi hanno praticamente superato ormai i matrimoni.

Si va così dalla canzone di Albero Urso, che copre la casella talent in quota De Filippi in quanto ex vincitore di Amici, con un brano "Il sole ad Est" che è una canzona d'amore e ispirata dalla nonna, il che non basta a far digerire alcuni versi puerili come "Guardi nel blu mentre vola un pensiero Per te / Ho nel cuore il sole ad est / E nel mondo ovunque vada / Mi ricorderà la strada/ Che porta fino a te" al quale sembra rispondere la vecchia coda di volpe Piero Pelù con il brano dedicato a suo nipotino "Gigante" : e anche qui i cantanti di lungo corso sembrano cavarsela meglio nello sfruttare il mood sanremese, tanto da essere passato dalla contestazione di "Proibito" al saggio  "niente è proibito" dei bambini:

Niente di proibito tu sei benvenuto al mondo mondo
È come una giostra la mente
Tu sei il re di tutto e di niente gigante
Niente di proibito sei pronto a cavalcare il mondo? Mondo
Fatti il tuo castello volante
Con la fantasia di un bambino… gigante

A concludere questa ampia rappresentanza dell'amore familiare c'è la giovane Giordana Angi con "Come mia madre" una canzone dedicata al suo rapporto speciale con la mamma che va da immagini piacevoli e promettenti premesse "Dammi la borsa che è troppo pesante / Non puoi fare sempre tutto da sola " a conclusioni un po' meno appassionanti dall'altissimo grado zuccherino "Che di persone ce ne sono tante /Ma col tuo cuore c’è n’è una sola".

In mezzo bisogna ammetterlo sta un mare immenso di amore romantico piuttosto banale e vetusto. Qualsiasi poeta sa che non c'è nulla di più difficile da cantare dell'amore. Un autore di canzoni lo sa ancora meglio. Ci si domanda allora perché lo si continui a fare. Evidentemente ciò conferma che gli amori impossibili sono quelli a cui davvero non riusciamo a rinunciare. O forse perché chi raramente ci riesce fa bingo (vedere il successo fuori Sanremo di "per due che come noi" di Brunori sas)

Ed è una musica che va
In un istante è primavera
Che ritorna
E come un pesce che non può più respirare
Come un palazzo intero che sta per cadere

Canta Tosca con "Ho amato tutto" che purtroppo rischia di suonare come un "non ho inventato niente". Le Vibrazioni tornano con un testo introspettivo che parla di amor proprio, altra forma d'amore, e contribuiscono da soli alla vetta dello smarrimento ripetendo decine di volte la parola "Dov'è", un testo che si annuncia tutto al servizio della musica, sincopato e con poche costruzioni letterarie:

Il cielo rosso, l’orizzonte
E l’odio arreso al bene
Dov’è
Mi chiedo dov’è.
Cerco di capire quello
Che non so capire
Fuori vola polline
Eppure sembra neve.

Senza dilungarsi oltre, in amore sfondano in pochi. Non sfonda Marco Masini con "Il confronto" "Hai un cuore diesel che ci vai piano /La vita è un flipper e infatti ci giochiamo" non convince la giovane Elodie, con "Andromeda" nonostante il testo scritto dal vincitore della scorsa edizione Mahmood  "Non sarai mio marito mio marito no/Me ne vado a Paris vado a Paris però/Ti prego giurami tu giurami che non/Mi dirai mon ami mon ami ti prego", che sembra puntare tutto sulla sonorità da potenziale tormentone della parole, esattamente come Levante, in bilico tra canzone d'amore e di protesta, che tocca il tema cocente della diversità ma pare anestetizzarlo a uso e consumo di sanremo sin dal titolo "Tikibombom" che certo non pare annunciare un saggio di sociologia: "Ciao tu, animale stanco/ Sei rimasto da solo / Non segui il branco / Balli il tango mentre tutto il mondo / Muove il fianco sopra un tempo che fa Tikibombombom" e continua con metafore tutt'altro che esplosive come "siamo il vento non la bandiera/ Noi siamo l'ancora e non la vela". Raphael Gualazzi con "Carioca" sta sulla stessa lunghezza d'onda, tra il bacio perugina e la filastrocca di Pasqua: "L’ultimo bacio è un apostrofo / Che mi hai lasciato / Non ci sei più e sono in un angolo / Tirando il fiato / Io che con te ho sorriso e pianto / Fino a non vedere / La nostra storia è stata un salto / E io non so cadere".

Concludiamo, non potendo citare tutti, con chi forse mi ha sorpreso almeno un poco, tal Enrico Nigiotti,  anch'esso in quota talent,  considerando che esce da Xfactor ma non da vincitore, e nonostante l'immagine tra il Grignani maledetto e il "piacione" strappacuori, almeno si scrive le canzoni da solo e ha tirato fuori più di un verso interessante nella sua "Baciami adesso" a cui va il coraggio di aver scelto il titolo meno attraente del Festival. Eppure restano frasi come: "Ci ringhiamo da lontano come i cani" e un finale, se non altro, onesto, che mantiene il taglio romantico che promette:

Sei l’unica stanza che mi salva dal disordine
Baciami, baciami… baciami adesso
Fermarmi qui, in mezzo a tutta questa gente
E senza dire niente baciami adesso
Baciami, baciami… baciami adesso
…Che poi fa buio presto…

alla fine, una delle canzoni più sanremesi insomma. Ma la parola onnipotente ora passa al contenitore più nazional popolare d'Europa, che in quasi un secolo di esistenza ha di fatto ormai raggiunto una forma di vita praticamente autonoma, al punto che influenza il contenuto di chiunque calpesti il suo palco, dal quale ben pochi riescono a scendere senza essere cambiati.
A meno che non siano gli anni Settanta, non ti chiami Vasco Rossi, e non ti sia presentato ubriaco riuscendo ad arrivare ultimo con "Vita Spericolata". Tutto il resto, a parte il raro spuntare di qualche attempata e improbabile nonnina che balla acrobaticamente sul palco, è noia.

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Andrea Melis (Cagliari, 1979), grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura, interviste, inchieste e racconti per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. Tra i membri fondatori del Collettivo Sabot, ha firmato romanzi insieme ad autori come Massimo Carlotto e Francesco Abate, tra cui Perdas de Fogu (E/O, 2008). La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese. Il suo ultimo libro è edito da Feltrinelli, Piccole tracce di vita. Poesie urgenti (2018). Collabora come autore di testi con artisti, illustratori, fotografi, musicisti e compagnie teatrali di tutta Italia. Scrive editoriali poetici per FanPage.it
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