Salgado in mostra a Venezia: (sc)atti d’amore per salvare il mondo
Un viaggio fotografico nei cinque continenti per documentare la rara bellezza del nostro pianeta: questa è Genesi, la mostra di Sebastião Salgado allestita da oggi fino all’11 maggio presso la Casa dei Tre Oci a Venezia.
Circa 240 fotografie che sono atti d’amore verso il nostro pianeta o, come dichiara l’autore, “una lettera d'amore alla terra scritta con la macchina fotografica”. Così il fotografo brasiliano, classe 1944, definisce il progetto Genesi che, iniziato nel 2003, lo ha portato per 8 anni in giro per il mondo a scovare e immortalare gli angoli più reconditi della Terra. Dalle foreste tropicali dell’Amazzonia, del Congo, dell’Indonesia ai ghiacciai dell’Antartide, dalla taiga dell’Alaska ai deserti dell’America e dell’Africa fino ad arrivare alle montagne del Cile e della Siberia, Sebastião Salgado è andato alla ricerca di luoghi incontaminati attraverso i quali raccontare il vero mondo, quelle delle origini, quello dove natura, uomini e animali vivono in una perfetta e primitiva armonia. È lì che, secondo Salgado, il nostro pianeta appare in tutta la sua grandiosa bellezza.
Paesaggi mozzafiato, foreste, deserti, ghiacciai, animali selvatici, uomini e donne di tribù indigene mai toccate dalla cultura occidentalizzata e globalizzata. I miracoli della natura e quelli dell’uomo, anzi: i miracoli dell’originaria sintonia tra uomo e natura. Con questi termini, c’è il rischio che vengano in mente le vivaci fotografie in stile National Geographic, ma con Salgado siamo estremamente lontani da quei colori accesi, perché lui usa solo il bianco e nero, un bianco e nero lirico e delicato, luminosissimo, che è anche una scelta riguardante la fruizione dell’opera: essendo di fatto un’astrazione, “una foto in bianco e nero è come un'illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda, deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola a poco a poco. C'è quindi un'interazione molto forte tra immagine e osservatore”.
L’effetto è di poetico fascino. Il linguaggio fotografico di Salgado è molto raffinato, il suo stile innegabilmente estetizzante. Questo, tuttavia, non svaluta il contenuto principalmente etico dei suoi scatti e di tutto il suo lavoro: “Personalmente vedo questo progetto come un percorso potenziale verso la riscoperta del ruolo dell’uomo in natura. L’ho chiamato Genesi perché, per quanto possibile, desidero tornare alle origini del pianeta: all’aria, all’acqua e al fuoco da cui è scaturita la vita; alle specie animali che hanno resistito all’addomesticamento; alle remote tribù dagli stili di vita cosiddetti primitivi e ancora incontaminati”. Una carriera dedicata all’esplorazione antropologica, basata su una formazione da economista e espressa nella fotografia; una carriera unica. Attivista per l’ambiente, Salgado fonda le sue teorie su ricerche accuratissime di ecologia, demografia, socio-economia, e trasforma studi e statistiche in immagini poetiche e potenti.
Preoccupato per il collasso della Terra e per il drammatico decadimento del rapporto dell’uomo con la natura, l’artista afferma: “Lo scopo di questo progetto è di ricongiungerci con il mondo com’era prima che l’uomo lo modificasse fino quasi a sfigurarlo”. Così ha girato la Terra in lungo e in largo per regalarci, come gli esploratori di una volta, fotografie di luoghi in cui quasi nessuno è stato e di cui esistono poche immagini; luoghi isolati, ancora ‘salvi’, le cui immagini suscitano stupore e meraviglia come in una ri-scoperta del pianeta. Sono immagini di armonia tra uomo e natura, è qui la bellezza; sono immagini d’amore, quello che il fotografo prova per la Terra e che intende trasmettere attraverso la sua opera.
Nello splendore degli scatti di Salgado, c’è però anche un monito: è un invito a salvare quel mondo incontaminato, a tutelarlo, magari a ricrearlo. Attraverso il piacere della visione, questa fotografia d’istinto e d’emozione intende ricordare all’uomo di oggi che bisogna assumere nuovi comportamenti verso la natura, ritrovare le radici, “salvaguardare le forme di vita e di cultura originarie, perché quelle costituiscono l’unico modo possibile di sapere com’eravamo prima dell’assalto della civiltà moderna”.
Immagine principale: Brasile, 2005 © Sebastião Salgado/Amazonas Images