In Italia, ovunque andasse, Rubens scopriva meraviglie. Tra gli anfratti delle colline, nei borghi più sperduti come nelle città frementi. Fermo lo sorprese con un fascino severo e splendido, con la dolcezza del paesaggio e la meraviglia delle sue mura, dei suoi vicoli ritorti. Amava la gente semplice e laboriosa di questi luoghi.
Spesso faceva passeggiate solitarie, e scambiava qualche parola, nel suo povero italiano, con la gente del luogo. Lo colpì, nella campagna di Fermo, la storia di una donna anziana. Una contadina che viveva nella miseria e odiava il mondo da quando aveva perduto il suo unico figlio. Nel suo guardo si addensava un'ombra scura, una nuvola che sembrava non potesse essere dissolta o allontanata da nessun vento, da nessuna luce. Un dolore irredimibile sembrava averla consumata. Il pittore pensò a lei per qualche giorno, poi se ne dimenticò. Perché a Fermo aveva un importante compito da portare a termine.
Rubens, magnifico pittore al quale molti ascrivono la paternità stessa del genere barocco, ebbe nel suo quasi decennale soggiorno italiano un momento fondamentale della propria formazione. Fu in Italia, nel primo decennio del XVII secolo, che egli apprese, dall'osservazione dei capolavori veneziani di Tiziano, Tintoretto, Veronese, e dallo studio dell'opera di Michelangelo e Raffaello, una tecnica straordinaria e unica, che fondeva nel suo talento il retroterra anversano e la maestrìa italiana.
Nella sua permanenza italica, Rubens fu legato in modo importante anche alla Marca e, in particolare, alla città di Fermo, per la cui chiesa di San Filippo Neri realizzò, nel 1606, l'opera oggi nota come "Adorazione dei pastori". L'opera, nel narrare l'episodio evangelico della nascita del Nazzareno, tradisce come Rubens dovette subire in modo decisivo l'influenza della pittura di un suo contemporaneo, Michelangelo Merisi, meglio noto come "Caravaggio".
Numerosi nel dipinto – tutto giocato in un delizioso chiaroscuro tra la luce del nuovo nato e il buio del mondo, che Egli viene a redimere – sono i motivi caravaggeschi, che contribuiscono a creare un suggestivo impianto narrativo devozionale. Il quadro si struttura in un respiro teatrale tipicamente barocco, evidenziato dal drappello di angeli che fa da cornice alla vicenda.
Il dipinto ritrae l'istante in cui i pastori sopraggiungono alla capanna della Natività. Maria di Nazareth è immortalata nel momento in cui disvela il Bimbo a coloro che stavano giungendo – un gesto carico di simbolismo: è infatti al mondo, rappresentato dagli spettatori del quadro, che la nascita salvifica del Nazzareno viene così annunciata. L'incredulità e la meraviglia dei pastori attorno al corpo di Gesù bambino sono le medesime del genere umano di fronte al miracolo dell'Incarnazione.
"Ubi est qui natus est Rex Iudaeorum?", si chiedevano i Re Magi in cerca del Salvatore la cui venuta era stata profetizzata. Ora quella venuta è divenuta realtà, e si mostra, nella sua meravigliante ricchezza, alle genti semplici: all'umanità intera.
Alle spalle della Vergine, come se venissero creati veramente solo tramite la nascita miracolosa di quel nuovo nato, emergono dal buio figure di uomini e donne; tra costoro, San Giuseppe. Il turbinio di angeli, nell'alto, sorregge un cartiglio su cui è impresso l'annunzio dell'inconcepibile, buona Novella.
E poi, lei. Lei nel cui sguardo si addensava un'ombra scura, una nuvola che sembrava non potesse essere dissolta o allontanata da nessun vento, da nessuna luce. Un dolore irredimibile sembrava averla consumata. Di lei si parla nel protovangelo di Giacomo, testo apocrifo in cui la vicenda di Maria di Nazareth si intreccia a quella di un'anziana donna. La vita le aveva mostrato il suo aspetto più terribile, ogni tipo di miseria e sofferenza. Era una levatrice, e sapeva perfettamente come gli uomini vengono al mondo. Non credeva possibile alcun miracolo. Nessuna immacolata concezione. Nessuna speranza la abitava.
Quando, alcuni mesi prima del parto, la vecchia levatrice visitò Maria per la prima volta, le mani con le quale aveva voluto indagare il ventre della madre di Dio per verificarne la purezza le furono bruciate dal sesso della Vergine, divenuto incandescente. Ma il dolore fisico di perdere i suoi arti fu dall'anziana donna quasi non avvertito, tale era la gioia di sapere che nella vita qualcosa di divino e straordinario fosse possibile.
Allora tornò alla grotta il giorno del parto, e pregò piena di speranza, adorando la venuta del Salvatore insieme a Magi e pastori. Vide l'inconcepibile fine del proprio dolore, nell'infinito fattosi carne. A lei, Rubens donò il volto di quella vecchia contadina senza famiglia, disperata, che aveva incontrato nella campagna fermana, come volesse infondere in lei una medesima speranza.
Quando finì di posare per l'artista, che la pagò come nessuno aveva mai fatto prima, quella donna affranta se ne tornò alla sua capanna con nel cuore una strana serenità.