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Roberta de Monticelli a FestivalFilosofia: “Conflitto di valori è origine della politica”

Roberta de Monticelli ci ha spiegato il significato che assumono parole come “agonismo” e “conflitto” nella politica e nella democrazia: questo il tema al centro del suo intervento al FestivalFilosofia 2016.
A cura di Federica D'Alfonso
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Roberta de Monticelli (foto E. Baracchi, S. Campanini)
Roberta de Monticelli (foto E. Baracchi, S. Campanini)

Il FestivalFilosofia sta per concludersi, ma il programma è ancora ricco: domenica 18 settembre a Modena parleranno Marc Augé, con una lezione magistrale sul tema della “Rivincita”, e Stefano Rodotà, che discuterà di “Lotta per i diritti”. Insieme a loro, ci sarà anche Roberta de Monticelli, che nel pomeriggio, a Piazza Grande, indagherà il “Conflitto di valori”. E di quest'ultimo tema abbiamo parlato proprio con lei, professoressa di Filosofia della Persona all'università “Vita-Salute” San Raffaele di Milano.

In che modo la parola “conflitto” si relaziona al tema dell'agonismo?

Più che di agonismo, parlerò di antagonismo. Anzi di “antilogia”: la parola che gli antichi greci usavano per designare “l’urto dei discorsi”, cioè le tesi contrapposte degli oratori sulla pubblica piazza. Come scrisse Isaiah Berlin, la teoria politica non sarebbe mai stata concepita “se gli uomini non fossero mai entrati in disaccordo sui fini della vita, se i nostri antenati fossero rimasti nel Giardino dell’Eden”. Non solo la teoria politica, possiamo aggiungere. La politica è uno dei modi che le civiltà hanno inventato per arginare il conflitto, ma non c’è ambito della vita umana che non sia attraversato da conflitto, disaccordo e dissenso: questo è dunque uno dei fenomeni più importanti della storia umana. Si è addirittura parlato di conflitti di civiltà, riportando le guerre che insanguinano il mondo ai conflitti di valore. Io mi interrogherò sulla natura di questi ultimi.

Penso ad una frase di George Orwell, che affermava che “lo sport serio non ha nulla a che fare col fair play. È colmo di odio, gelosie, millanterie, indifferenza per ogni regola e piacere sadico nel vedere la violenza: in altre parole, è la guerra senza le sparatorie”. Oltre quale limite l'agonismo diviene violenza, lotta, barbarie?

Una competizione senza regole perde la natura di gara e diventa semplice lotta, anche se non sempre le regole riescono a preservare la natura di una competizione, come sappiamo bene in Italia dove troppo spesso le regole degli appalti pubblici ci sono, solo che non fanno gare, ma accordi consortili, mafie. Le regole che mantengono la natura competitiva di un agone sono in generale fatte perché “vinca il migliore”, dunque la risposta indotta dal contesto della citazione orwelliana sarebbe che il limite oltre cui l’agonismo diviene violenza e barbarie è quello dell’infrazione del giusto tipo di regole, quelle competitive appunto.

Questo è vero anche al di fuori dell’agone sportivo, come di quello economico. Anzi, il caso più interessante è proprio quello in cui l’agone è una battaglia di idee: gli antagonisti, prima di essere degli individui, sono delle concezioni del mondo, delle scale di valori, o, come si dice nel linguaggio della teoria politica moderna, delle concezioni comprensive del bene che sono alternative. Qui le regole della competizione sono quelle della più grande invenzione greca: e cioè le regole della filosofia. Così come l’intendeva Socrate, almeno, le regole della filosofia sono quelle dell’argomentazione razionale: se sostengo che la decisione buona da prendere è questa, devo dimostrare perché. Sembra una tesi estrema: eppure, che cos’è lo spazio della ragione, l’agorà, il luogo dei discorsi pubblici, dei confronti fra cittadini, se non il risultato (sempre minacciato, anche nelle nostre democrazie di cui il dibattito pubblico è uno dei due pilastri accanto a quello della forma di Stato) di questo processo? Che cos’è, se non l’esito ultimo della grande rivoluzione di Socrate, che girava nelle strade e poneva le domande più sconcertanti, chiedendo ragione e giustificazione di tutto ciò che era prima semplice consuetudine, tradizione o gioco dei potenti?

Lei insegna Filosofia della Persona, quindi uno dei suoi ambiti di ricerca è legato proprio alla sfera individuale, del soggetto: parliamo dell'agonismo individuale.

Come insegnano i campioni sportivi, l’agonismo è in primo luogo una battaglia con se stessi, per superare i propri limiti, anche se in questa dimensione individuale e personale ogni lotta in ultima analisi sarà una sconfitta: infatti l’agone è anche “agonia”, l’ultima battaglia di ciascuno, che necessariamente prima o poi si perde. È il cristianesimo, soprattutto quello paolino, che ha impresso all’intera vita personale una dimensione “agonica”, in due sensi: agone come battaglia che l’individuo conduce con se stesso, con la parte di nulla, morte o male che ha in sé, parte di cui è addirittura complice la legge (perché la legge insieme reprime il male e non esisterebbe senza il male, insieme dà forma alla vita ed è per l’uomo religioso spina mortale, tentazione e perdita di innocenza, e continua “morte” dell’uomo vecchio, del peccatore). E dimensione “agonica” perché, in ultima analisi, la vita che è semplicemente nella legge è impossibile all’uomo, ed è sua morte senza l’amore che toglie schiavitù e dona liberà e grazia. Che peccato che nei paesi cattolici ma in particolare nel nostro solo la prima parte della dialettica paolina sia rimasta buonsenso e costume, e il rispetto per la mano che dona o che salva abbia finito per togliere quello per la legge, soprattutto quella prosaica dello Stato! La modernità mette invece l’accento sull’agone come competizione con gli altri, a partire dalla constatazione che la volontà di arricchirsi e primeggiare non porta affatto danno, ma vantaggio all’insieme della società, attraverso lo scambio e il mercato. Qui si aprirebbe una questione filosofica profonda, che non si può affrontare in due righe.

Proviamo a riassumerla…

Siamo propensi a moraleggiare sull’”individualismo”, che viene opposto alla solidarietà e identificato con l’avidità illimitata del singolo. Erroneamente. L’avidità di alcuni è sempre esistita, mentre la caratteristica della competizione “mercatistica” è che possa essere sfruttata a vantaggio non solo del suo portatore. Ma la questione filosofica più profonda cui accennavo è un’altra: è nell’abisso fra le intenzioni e le azioni dei singoli e il loro risultato (le dinamiche dei collettivi) che si apre lo spazio per le scienze sociali. Il punto di vista della prima persona, che è il nostro di agenti morali e razionali, non può che essere definito dalla scala di priorità di valore che è costitutiva dell’identità di ciascuno, la quale deve commisurarsi alla regola universale che tutela le diverse identità di tutti. Guai dunque a demolire la responsabilità degli individui, come cittadini, come elettori, come politici, con la scusa di entità misteriose e sovra-personali cui si attribuiscono volentieri le nequizie del mondo: “la finanza”, “la tecnica”, i “poteri forti”. In compenso quando si parla di regolazione dei conflitti, economici o ideali, bisognerà fare i conti con gli aspetti di sistema delle società umane, piuttosto che predicare agli individui: ad esempio, senza regole di competizione e promozione per la leadership di un partito, la bella formula “uno vale uno” si rovescia nell’abbraccio fra la massa e il capo.

A cosa serve la filosofia, oggi?

Oggi come sempre serve a respirare, ossia a dare soffio di pensiero e parola alla sofferenza ingiustamente inflitta, a concettualizzarla come male : dunque a pensare la giustizia. Serve a dare parola alla gioia delle fioriture, ossia a concettualizzarla come cosa buona: serve a pensare la dignità, la libertà, la creatività e i beni che le alimentano. Serve a dar luce a tutta la nostra esperienza di valore, morale, civile, politica, religiosa, estetica, a correggere le illusioni di questa esperienza nell’esplorazione ulteriore e nel confronto delle ragioni, fra le quali rientrano anche i sentimenti e le emozioni per cui mezzo godiamo e soffriamo. C’è una frase di Simone Weil che spero di poter discutere a Modena:

La nozione di valore è al centro della filosofia. Ogni riflessione che verta sulla nozione di valore, su una gerarchia di valori, è filosofica; ogni sforzo di pensiero attinente a un oggetto altro dal valore è, se lo si esamina da presso, estraneo alla filosofia. Onde, il valore della filosofia stessa è fuori discussione. Poiché, in realtà, la nozione di valore è sempre presente allo spirito di tutti gli uomini; ogni uomo orienta sempre i suoi pensieri e le sue azioni verso qualche bene, e non può fare altrimenti.

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