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Ritratto di Vittorio Sereni, il poeta lirico della vita collettiva

Ritratto di Vittorio Sereni, per chi volesse conoscere la sua opera, in occasione del trentennale della sua morte. Le poesie di Sereni rappresentano un unicum nel Novecento e contemporaneamente raccontano meglio di altre la storia italiana.
A cura di Luca Marangolo
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Sereni

Questo Febbraio ricorre l’anniversario della morte di Vittorio Sereni (10 Febbraio 1983) e nel Luglio prossimo ricorrerà il centenario della sua nascita ( 27  Settembre del 1913). Nel nostro breve spazio vorremmo ricordare la sua voce poetica, assoluta e centrale nel Novecento italiano.

Vittorio Sereni ebbe un'esistenza singolare. Dal 1936 al 1952 lavorò come professore di liceo, partendo per la guerra in Africa Nel ’41, dove fu prigioniero, in Algeria.  Fu addetto stampa presso Pirelli per intraprendere, solo in seguito, carriera nel mondo dell’editoria letteraria, morendo nel 1983. Un autore parco sia nello scrivere che nell’invadere le immagini scritte di un colore o di un senso assoluto, ma al contrario attento a far vivere la realtà che raccontava, con la consapevolezza che, in qualche modo, fosse giusto così: che vi fosse un ancestrale nesso lirico fra la poesia visiva e l’espressione dell’io. La sua poesia è una sorta di testamento spirituale di questa intensa relazione con le immagini, un sensazione che testimonia l’atto di vivere (e scrivere), e di farlo nell’incertezza intellettuale, sul labile confine dello sconforto tragico.

La sua poetica vive  nel tentativo di conciliare identità e testimonianza vissuta, pervadersi dell’esperienza della realtà e ritrovarvi la pulsazione dell’io, profonda eppure sempre ostinatamente nelle cose, espressioni a loro volta di una vita tutta storica, concreta, rappresentata nel suo accadere. È per questo che Sereni è di fatto un unicum nel suo conciliare due anime poetiche, come ha sottolineato di recente il critico Guido Mazzoni, diverse: l’una intimamente tragico-lirica, segretamente incline all’espressione in un modo molto desueto nel secondo Novecento (ed è questa  la ragione essenziale per cui la  sua poesia accade come pratica avìta senza mediazioni intellettuali). L’altra è quella della fredda e slanciata tensione linguistica, un approccio alla idea di realtà concepita per frammenti, momenti estatici in cui si sente l’assimilazione di Montale ed una profonda relazione con lo stile modernista, come mostra questo brano tratto da "Ancora sulla strada di Zenna":

Sotto i miei occhi portata dalla corsa

la costa va formandosi immutata

Da sempre e non la muta il mio rumore

Né più fondo, quel repentino vento che la turba

E alla prossima svolta, forse finirà.

E io potrò per ciò che muta disperarmi

portare attorno il capo bruciante di dolore.

Ma l’opaca trafila delle cose

che là dentro indovino: la carrucola nel pozzo,

la spola della teleferica nei boschi,

i minimi atti, i poveri

strumenti umani avviniti alla catena

della necessità, la lenza

buttata a vuoto da secoli,

le scarse vire, che all’occhio chi torna

e trova che nulla nulla è veramente mutato

si ripetono identiche,

quelle agitate braccia che presto ricadranno,

quelle inutilmente fresche mani

che si tendono a me e il privilegio

del moto mi rinfacciano.

Proprio questa capacità di conciliare un io lirico senza tempo, che vive assieme alla realtà, e la forza letteraria un di un certo modernismo, sono le armi che lo rendono un poeta unico nel suo genere e al contempo veramente rappresentativo della storia italiana.

Quella di Sereni è una poesia di transizione storica: nell’ambito della storia della letteratura è la transizione fra un Novecento ancora carico di senso di futuro, di aspettative e di desiderio vivo di sperimentare (questa altezza linguistica Sereni la accoglie nel suo linguaggio) e gli anni del dopoguerra, ma è anche un poeta che si ferma proprio sulla soglia di questa tradizione, cogliendone i limiti e rivivendoli a modo suo, non seguendo la strada di molti contemporanei che, radicalizzando quest’esperienza, la resero inevitabilmente meno viva, più astratta e quindi fondamentalmente più intellettualistica di quanto non fosse alle origini.

Nell’ambito della storia d’Italia, è un poeta che ha raccontato come pochi altri lo scorrere della vita accanto agli eventi storici: la guerra in Algeria, l’ansia per la ricostruzione, la vita e il ricordo raccontati attraverso il peso dei luoghi, la realtà dei villaggi del dopoguerra rappresentati con sguardo vitreo, il senso dell’illusione politica, e l’incertezza intellettuale che caratterizza via via una vita come quella italiana che vede venir meno i propri punti di riferimento.

Insomma, l’unicità della forma in cui scriveva Sereni si sposa potentemente con ciò che è stata la storia italiana da lui vissuta, dando una conferma di verità all’intuizione principale che sembra animarla inconsciamente: quella di un legame fra l’io del poeta e il mondo.

Fra le sue raccolte si ricordano: “Diario d’Algeria” (1944); “Gli strumenti umani” (1965); “Stella Variabile” (1979).

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