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Ritratto di Alice Munro, maestra del racconto, nuovo premio Nobel per la letteratura

Ritratto di Alice Munro, prolifica autrice di nitidi racconti psicologici, che narrano le vicende emotive della vita quotidiana nel cuore del Canada. Paragonata tradizionalmente a Checov e a Carver, la Munro corona una carriera alacre e piena di successi con il premio Nobel 2013 per la letteratura.
A cura di Luca Marangolo
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Alice Munro vince il premio Nobel. Quest’anno il premio è andato ad una scrittrice dal talento indiscusso, una penna sottile  e arguta capace di creazioni tanto brillanti quanto semplici.

Casalinga nativa dell’East Ontario, Canada: la storia di Alice Munro è una storia di quotidiana genialità. I genitori allevavano bestiame a Wingham, una cittadina del Canada orientale che conta a malapena tremila abitanti. La Munro, classe 1930, iniziò la sua prolifica attività di scrittrice di sottili e penetranti racconti con il titolo The dimensions of a Shadow (1950), da promettente studiosa di giornalismo. Solo che poi non concluse gli studi e si legò a James Munro, rampollo borghese:

 «Ero come una ingenua fanciulla vittoriana. Pensavo che la mia vita sarebbe cominciata dopo il matrimonio, la mia vera vita. Da sposata sarei riuscita a dedicarmi alla scrittura. L’alternativa era tornare a casa, badare alle faccende domestiche e a mia madre. Ci sposammo a venti e ventidue anni. Scappammo via, ci trasferimmo a Vancouver: il posto più lontano senza dover uscire dal Canada».

L’universo immaginario di questa casalinga di Vancouver non tarda ad affermarsi presto come uno dei più solidi e penetranti specchi del vissuto quotidiano che, oggi, vi siano in letteratura. Auerbach lo chiama alltaglicher realismus, o realismo psicologico: le fatture da compilare per la gestione di un negozio, le faccende domestiche, gli ospizi per anziani, gli empori di provincia, la routine lavorativa degli impiegati della middle class, i sospiri sottaciuti e le insoddisfazioni emotive di generazioni e generazioni di casalinghe, cameriere, commercianti, insegnanti e adolescenti. In un Canada illuminato da una luce pallida, descritto con chiarore e nettezza come un posto a metà fra una casa accogliente e una cittadina isolata in cui l’esistenza, che si dà alla vista nella sua placida, ciclica regolarità, nasconde sotto  questa superficie una grandissima complessità psicologica.

Il paragone, ormai classico, è quello con Anton Checov. I racconti di Checov sono molto meno descrittivi e a volte un po’ più lirici, ma è un paragone per tanti versi molto efficace. Se c’è infatti una dote che i racconti di Alice Munro hanno è quella di esibire un incredibile controllo del materiale narrativo, la struttura del racconto viene costruita con una precisione ed una sottigliezza tali da avere pochi confronti attualmente. Al cuore del talento di Alice Munro sembra dunque esserci questa incredibile capacità straniamento, inteso nel senso originario del termine: la capacità stilistica di farti entrare nel mondo che si sta raccontando portandoti per mano, facendotelo scoprire lentamente, dosando con attenzione, e al millesimo di tono, il naturale compenetrarsi  della descrizione e della narrazione, dello sfondo e del personaggio.

Questa caratteristica tipica del realismo  sembra colorarsi, nella Munro,  di un colore uniforme da cui far emergere le tensioni emotive che ne animano le pagine dallo sfondo quieto, fatto di descrizioni concrete e forti. Anche se i luoghi dei suoi racconti sono spesso i più comuni, non si ha mai l’impressione di vivere in un posto qualsiasi, ma anzi di stare in un luogo che trasmette immediatamente il senso della situazione esistenziale  narrata.

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Questo capita anche in uno dei più perfetti racconti dei tanti che l’autrice ha scritto, Quello che si ricorda. La storia si costruisce al rovescio, per così dire: la situazione che viene narrata ci viene presentata come il più statico dei contesti. Chi la legge non ha idea di quale sia il senso del racconto, non ha idea di quale sia il nucleo tensivo che giustifica il procedere della narrazione. Eppure, nel regolare, puntuale, fermo e preciso raccontare, si scopre che la mente dei personaggi, le loro passioni più rilevanti e ciò che è stato fin ora narrato sono in realtà quasi lo stesso oggetto. Il colpo di scena, così come l’anima dei personaggi, è in realtà già presente, come una pianta in un seme, in quello che il racconto ci ha fin ora mostrato.

Alice Munro corona la sua carriera, fatta di successi critici e commerciali, con un meritato premio Nobel.  E’ una delle scrittrici più prolifiche del secondo Novecento, e il suo talento si è sempre costantemente espresso nella forma dei racconti brevi, di cui ricordiamo alcune raccolte, tutte edite da Einaudi: Il sogno di mia madre (2001), Nemico, amico, amante… (2003), In fuga (2004), Il percorso dell’amore (2005), La vista da Castle Rock (2007 e 2009), Segreti svelati(2008), Le lune di Giove (2008), Troppa felicità (2011) e Chi ti credi di essere? (2012).

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