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Riscoperta sceneggiatura di Fellini, “Napoli-New York”, ora edita da Marsilio

Scovata in un baule una sceneggiatura scritta nella seconda metà degli anni ’40 da Federico Fellini e Tullio Pinelli dal titolo “Napoli-New York”. Appena pubblicata da Marsilio a cura di Augusto Sainati, racconta di due giovani che, nella Napoli sconvolta dalla guerra, sognano di scappare in una New York fantastica e immaginata.
A cura di Andrea Esposito
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Era l’estate del 2005 quando Tullio Pinelli, una delle penne più raffinate del cinema italiano, ma si potrebbe dire del cinema del ‘900 tout court, affidava un baule ricolmo di scartoffie allo studioso e critico Augusto Sainati.

Lo sceneggiatore di “La dolce vita”, ormai 97enne, confessò in quella circostanza di non ricordare il contenuto di alcuni quaderni, scritti più di sessant’anni prima. Probabilmente, però, intuiva che tra essi vi fossero documenti inediti molto preziosi che lo studioso poteva utilizzare per ricostruire uno spaccato dello straordinario clima creativo che tra gli anni ’30 e ’50 ha animato le cosiddette “botteghe di sceneggiatura” romane, la vera fucina del Neorealismo, o se si vuole, del cinema moderno.

Sainati, infatti, da raffinato studioso qual è, indossati i panni dell’archeologo, iniziò a tirar fuori da quel mucchio di fogli alcune testimonianze di grande valore come ad esempio le lettere di Fellini a Pinelli, raccolte in una pubblicazione del 2008 dal titolo “Ciò che abbiamo inventato è tutto autentico” (Marsilio), in cui emergono importanti retroscena di film come “La strada” e “8½”. Ma non finisce qui, poiché all’interno di una “cartellina rossa” il critico pisano ha ritrovato anche un trattamento, scritto nella seconda metà degli anni ’40, composto da cinquantotto fogli, cinquantadue dei quali numerati più sei inserti, sui quali campeggia la grafia di Fellini. La sceneggiatura manca di frontespizio e firma, ma com’è probabile è frutto di chissà quanti passaggi di mano, ennesima riprova dell’impronta fortemente collettiva del lavoro nelle “botteghe”.

Il titolo di questo lavoro, appena pubblicato da Marsilio, è “Napoli-New York”: la storia è ambientata in una Napoli sconvolta dalle bombe e afflitta dalla fame, protagonisti due ragazzini, Celestina e Carmine, che sognano di emigrare in America per sfuggire alla miseria. Infiltrandosi in una nave cargo che attraversa l’oceano, i due riescono ad arrivare a New York, ritrovando nel quartiere di Little Italy, tutta quell’umanità e quel calore perduti in patria.

Come è evidente, i temi cari al cinema felliniano come l’abbandono del borgo natio, i sogni che si mescolano con la memoria dell’infanzia, sono ben presenti in questo testo come d’altro canto è presente l’impronta neorealista nel racconto della Napoli dilaniata dai bombardamenti e dalla povertà analoga a quella di “Paisà” di Rossellini che lo stesso Federico Fellini aveva scritto insieme a Sergio Amidei. Più in generale, questa sceneggiatura contiene un elemento a nostro avviso paradigmatico del cinema felliniano di quegli anni, vale a dire, quello slancio che dal racconto della realtà si proietta verso un orizzonte fantastico (la New York totalmente inventata e magica).

Ma molte pagine della sceneggiatura vengono da un libretto di Pinelli per un’opera del 1939 e altre da diverse sceneggiature, due delle quali Sainati è riuscito a individuare in “Senza pietà”, un film di Lattuada del 1948, il regista con cui Fellini firmerà l’esordio dietro la macchina da presa (“Luci del varietà”), e “L’eroe della strada” di Carlo Borghesio con protagonista Macario, di cui sia Fellini che Pinelli erano stati a lungo autori. Come si diceva in precedenza, questo tipo di scoperte testimoniano, semmai ve ne fosse ancora bisogno, l’impronta fortemente collettiva del cinema di quegli anni che, come sottolinea nella prefazione lo stesso Sainati, non era pervaso dalla “preoccupazione dell’autografia che era subordinata al lavoro dell’intera équipe guidata dal maestro, sotto la cui paternità l’opera vedeva la luce, ma dalle cui mani era stata quasi sempre solo parzialmente eseguita”.

Insomma un’autentica scoperta che appassionerà a lungo studiosi e semplici amatori la cui importanza, come si notava, non risiede tanto nella qualità intrinseca al testo, quanto piuttosto nello svelamento di un processo, di una metodologia di lavoro, purtroppo perduta, che ha prodotto una delle stagioni artistiche più floride e autorevoli del secolo scorso.

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