Ricomincio da ZeroZeroZero: Roberto Saviano a Napoli dopo 7 anni
La folla era già tutta lì ad un paio d’ore dall’inizio dell’evento. Possibili Roberto Saviano venivano avvistati ogni 5 minuti, applausi ne invocavano la presenza sul palco, fin quando l’ultimo “Eccolo!” non è stato quello definitivo. C’era un’atmosfera da concerto pop per la presentazione di “ZeroZeroZero” alla Feltrinelli di Napoli, che Saviano ha tenuto insieme alla giornalista di “Repubblica” Conchita Sannino e ad un devoto Adriano Sofri, altrimenti restìo a questo tipo di partecipazioni.
Come ci racconta Carlo Feltrinelli, ci sono voluti ben due anni per onorare la promessa di riportare lo scrittore nella “sua” piazza, proprio a ridosso dei suoi amati Quartieri Spagnoli, per un evento che è tale perché rappresenta la chiusura di un cerchio, o almeno, di quel cerchio iniziato nel 2006 con “Gomorra”, con le minacce durante Spartacus, con gli evviva Saviano-è morto Saviano, con il riscatto televisivo e tutto quel conseguente turbine di polemiche che hanno fatto dello scrittore il personaggio più discusso del panorama culturale italiano. Quel vortice che deve averlo trascinato in un abisso più profondo di quanto si immagini, visto che non ha smesso di parlarne e accennarvi nel sottotesto del suo fitto intervento.
“Ho immaginato tante volte questo momento”, così inizia Saviano, interrotto da emozione e applausi, “è stata una grande sofferenza essere recepito come l’ennesimo morbo che affligge Napoli. Ho sofferto perché il rapporto con la mia terra ora è mediato da fantasmi, da polemiche, ed io volevo farvi ritorno semplicemente con le parole”. Tra striscioni e grida, i “Bentornato a casa” hanno chiarito subito l’assenza di detrattori tra la folla in adorazione.
Come sempre, Saviano ritma il suo monologo attraverso le citazioni: “tutti quei poeti che mi fanno sentire meno solo (i riferimenti a Herta Müller, a Wislawa Szymborska che ha riportato in testa alle vendite) io ho vissuto solo l’un per cento di quello che hanno vissuto loro sotto i regimi, ma anche per loro l’ingiuria più grande è stata la calunnia. Si sopravvive non all’attacco del nemico, ma all’indifferenza dell’amico”. L’ingiuria che è partita più agguerrita proprio da Napoli, città sulla quale avrebbe infierito stendendo su vetrina internazionale i suoi panni sporchi: “Perché racconti solo il male di questa città? É una cantilena che ripeteranno a tutti quelli che faranno venir fuori il male attraverso il racconto. Ma il male stesso, la ferita, è inimmaginabile se non si presume il bene, la luce che c’è in questo territorio”.
Saviano risponde a distanza anche ad un’altra obiezione ricorrente in questi anni, quella secondo la quale lui non avrebbe raccontato nulla di nuovo, che erano storie note ai giornalisti ma anche ai cittadini: “Io non scrivo fiction, perché le storie reali sono infinitamente più impressionanti di come potrebbero scriverle al cinema. Certo che sono storie altrui: a furia di scriverne, si diventa un altrui. Io sono ossessionato dalle storie e continuerò a parlarne, perché tutto ciò che permette la conoscenza fa arretrare l’alleanza di poteri che rende così forte la malavita”. Le malavite di tutto il mondo, bisognerebbe aggiungere, visto che da “Gomorra” a “ZeroZeroZero” c’è un ampliamento prospettico che, sicuramente, si poggia sulla certezza iniziale di essere pubblicato in 18 paesi.
Ma come hanno cambiato il suo modo di scrivere questi 2360 giorni di scorta, chiede Conchita Sannino: “La mancanza di libertà nelle ricerche, la possibilità di rotolarti nella chiavica, è compensata dall’accesso privilegiato alle fonti giudiziarie”. Indubbio che nessuna autorità possa mai negarsi a Roberto Saviano ora come ora, dinamica che gli è valsa la definizione negativa di giornalista embedded, come racconta Adriano Sofri: “Dicono di Roberto che le forze dell’ordine, con il pretesto di proteggerlo, in realtà monitorano e stabiliscono le informazioni che lui divulgherà. Che quindi Roberto sia un furbo. Invece è talmente schietto da essere inverosimile, il modo in cui parla di se stesso è talmente impudico, da generare imbarazzo. Ma per la verità lui è un paranoico, vede tutto quello che gli altri non vedono e quindi, il suo rapporto con gli altri è compromesso. Gli altri non vedono che il mondo è inondato di cocaina, lui sì.”
L’adesione di Sofri al progetto di Saviano, nulla di nuovo, è totale. Progetto che con “ZeroZeroZero” presume di descrivere i veri gemiti del mondo moderno, gli equilibri economici e politici sostenuti non da questa o quella decisione ai summit o ai G20, ma dal fiume bianco della cocaina che inonda il mondo intero, con i suoi traffici dalle immense distese di papavero in Colombia, alle teste mozzate durante i regolamenti di conti dei cartelli messicani fino al singolo consumatore, magari un operaio edile dell’entroterra lombardo che ha bisogno di sentirsi più in forze.
“Mi hanno detto che è un libro senza speranza, ma il fatto che siamo qui a parlarne, e che così tanti occhi saranno capaci di vedere quello che prima non vedevano, credendo di non avere nulla a che fare con la cocaina, è la speranza. Molti saranno trasformati da queste storie, come ne sono trasformato io, che sono diventato un mostro, voglio saperne sempre di più, le storie non mi bastano mai”.
Leopardi, Malaparte, Nietzsche e tutti gli altri, sono stati i numi tutelari di un dibattito che necessariamente ha avuto una cifra personale, insieme a Danilo Dolci, al poliziotto Kiki sacrificato dalla Dea americana con cui si apre il libro, e a tutti i fantasmi di Saviano, che come ci racconta, nutrono e distruggono la sua vita, infettata dal bug della delegittimazione che di solito, spetta soltanto ai più grandi, a quelli che smascherano il male.
Ma “ZeroZeroZero”, forse ancora meno di “Gomorra”, non smaschera nulla. Racconta, in quella maniera che da un punto di vista letterario può piacere o meno, che siate savianisti o oppositori. Il suo ritorno a Napoli, sebbene fugace, è però un’altra di quelle storie che non possono che capitare, comunque la si pensi: “Tornando qui pensavo di compiere un affronto. Ma tutto quello che è successo, è successo perché ho fatto una scelta che nonostante tutto, mi fa essere felice. Girare il mondo è bello – conclude lo scrittore – ma mai quanto tornare a casa”.