Riccardo Dalisi: design di ricerca, manualità artigianale e materiali poveri
«Gli autentici rivoluzionari deformano il mondo senza proclami né manifesti, ma con la silenziosa fede della goccia che consuma la roccia contro la quale frange, ripetutamente e ripetutamente e ripetutamente, senza cedere mai alla soddisfazione di sentirsi grandi semplicemente perché si combatte contro un nemico imponente (… ) Gli autentici rivoluzionari non ostentano nulla, magari prendono anche le apparenze di persone insignificanti, ma provocano cedimenti profondi nella struttura del mondo» (Ugo Cundari). E Riccardo Dalisi è tra gli ultimi e più autentici rivoluzionari del nostro tempo. Classe 1931, architetto, designer e artista a tutto tondo, della generazione di Sottsass, Mendini e Branzi, è una figura di spicco nel panorama internazionale dell'arte e dell’architettura contemporanea. Architettura, scultura, pittura, design. Ogni espressione artistica è stata utilizzata da Riccardo Dalisi in modo speciale, dando un significato profondo a qualsiasi cosa creasse. Un artista, nato a Potenza ma napoletano di adozione, da sempre impegnato nel sociale, che ha avuto uno sguardo acuto oltre le sue opere, mettendo in primo piano l'uomo e la realtà.
Precursore nell’applicare i concetti di riciclo, decrescita e ecocompatibilità, tanto attuali nei nostri tempi, Dalisi è stato uno dei primi artisti italiani a formulare il concetto di sostenibilità applicato al design industriale. Il lavoro di ricerca dell’architetto napoletano si è sempre concentrato sul “design povero”, lavorando materiali comuni con manualità artigiana, sperimentando animazioni con la partecipazione di bambini e anziani di quartieri in difficoltà (resta fondamentale l’esperienza con i bambini del Rione Traiano, con gli anziani della Casa del Popolo di Ponticelli negli anni ’70 e, negli ultimi anni, l’impegno con i giovani del Rione Sanità di Napoli), unendo così la sua ricerca alla didattica e la vocazione artistica al valore sociale e politico.
Atto creativo, partecipazione, suggestioni, anti-design, sono le parole chiave che comunicano il lavoro artigiano di Dalisi, interprete dei rituali racchiusi negli oggetti, nelle azioni che compiamo per usarli e nelle relazioni invisibili, e personalissime, che ci inducono a sceglierli. Tali parole trovano una rinnovata eco nel tema della “Decrescita”, già affrontato in altri settori da autori come Serge Latouche e Raimon Panikkar, che lui immagina e applica a un’architettura programmata sugli sviluppi nel tempo dell’ambiente circostante e dove l’elemento naturale del verde è parte integrante del costruito. Un’architettura viva, capace di autogenerarsi, allontanando il degrado; e compito dell’architetto è di intervenire nel mondo circostante, operando un nuovo “Rinascimento” del pensiero, dei valori e delle opere, nello sforzo di reintegrare il delicato equilibrio uomo/natura.
Grazie alla sua ricerca espressiva, che spazia nel mitico, nell’arcaico, nel sacro, si è potuti entrare nei sotterranei della storia d'un popolo, nell'anima di una città attraverso un processo di analisi storica e sociologica; la caffettiera si è animata, si è fatta produzione fantastica, espandendosi sempre più. Nel 1987 la caffettiera napoletana entra in produzione, vengono esposte al Guggenheim Museum di New York e nei più prestigiosi musei europei e d’oltreoceano. Dalisi diviene internazionalmente noto. Al poliedrico artista piace ricordare la strana storia del primo lattonaio che lavorò con lui nella produzione delle prime caffettiere animate, don Vincenzo, che si era ritirato dal mondo e, chiuso in casa, non voleva vedere nessuno. In un incontro con Eduardo De Filippo, Dalisi raccontò di don Vincenzo ed Eduardo notò come la vicenda fosse simile a quella di zi’ Nicola, personaggio della sua commedia “le voci di dentro. In quell’occasione Eduardo disse a Dalisi: «Questo dimostra che l’arte anticipa la realtà». E Dalisi oggi aggiunge: «La ricerca promuove l’arte che, a sua volta, anticipa la realtà».
Il poeta-designer svela una Napoli inedita, estranea al clamore della cronaca. Affrontando i grandi temi dell’economia della decrescita e dell’ambiente, porta il progetto tra la gente, promuove il design spontaneo, si misura con l’artigianato vivo. Così Napoli, città misteriosa e stratificata, si anima, si rivela magica come nell’inconscio. Protagonisti assoluti nell'opera dell'architetto napoletano diventano quindi gli altri, la libertà, l’incontro umano e sociale. Nel panorama dell’arte contemporanea, le sue sculture rivelano un artista «che sa essere garbato (…) gioioso, ilare, ironico e anche umano, fantastico, persino grottesco »(G. Dorfles). I suoi disegni sgorgano rapidi dal vivo della sua interiorità più sensibile e sembrano uscire spontaneamente dalla mano. Le sue opere sono il frutto di un capovolgimento del processo creativo, in cui «il progetto non è l’idea a monte del lavoro … bensì lo sbocco, lo svelamento finale di un’attività concreta».(A. Bonito Oliva)