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Rainer Maria Rilke a 90 anni dalla morte: la poesia e l’inconfondibile “suono della vita”

Rainer Maria Rilke muore il 29 dicembre del 1926. Novant’anni dopo, “Lettere a un giovane poeta” parla ancora a chi è disposto ad ascoltare, e a cogliere quel “suono inconfondibile della vita” che è stata la sua poesia.
A cura di Federica D'Alfonso
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Ritratto di Rainer Maria Rilke
Ritratto di Rainer Maria Rilke

"Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore; confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Questo soprattutto: si domandi, nell'ora più quieta della sua notte: devo scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice ‘io devo' questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità". Con queste parole Rainer Maria Rilke rispondeva, il 17 febbraio del 1903, alla domanda di Franz Kappus, un giovane cadetto dell’accademia militare con un unico, grande sogno. Diventare un poeta.

Ma come si diventa poeti? A questa domanda Rilke risponde con una lunga serie di lettere, tutte indirizzate al giovane Franz, che oggi costituiscono uno dei testamenti spirituali più sinceri e devoti mai scritti. Franz è uno sconosciuto: Rilke non l’ha mai incontrato, se non nelle appassionate parole di un giovane confuso, diviso fra quello che deve e quello che vorrebbe essere. Ma, pur non avendolo mai conosciuto, lo scrittore si apre a lui, in maniera premurosa, affabile, attenta. Rilke parla di quell’intima essenza che collega l’uomo alla natura: parla di arte. Di sentimento, di accettazione di sé, ma anche della solitudine e della paura che l’arte e la poesia comportano. In “Lettere a un giovane poeta”, un minuscolo libretto di poco più di venti pagine, è racchiuso tutto l’essere di Rilke, tutto il suo mondo. Tutta la sua poesia.

René "Rainer" Maria Rilke era nato a Praga nel 1875, e quando scrive a Franz Kappus ha già pubblicato alcune fra le più belle poesie che la sua epoca abbia conosciuto. L'infanzia infelice, l'incontro con i poeti russi e con la tremenda e bellissima Lou Salomé: la biografia del poeta ceco è nota, celebre, e a tratti forse insignificante se confrontata con la vastità di sentimenti, incontri, dolcezze e paure espresse dalla sua poesia. Ma per Rilke, la stessa parola poetica scaturisce dalla vita, e niente più. Una parola che si fa complessa, ricca di rimandi immaginifici e di connessioni imperscrutabili: ma che, proprio perché "poesia", parla a noi come se fosse scritta oggi.

Poesia e vita

Rainer Maria Rilke, in una foto del 1913
Rainer Maria Rilke, in una foto del 1913

"Rifugga dai motivi più diffusi verso quelli che le offre il suo stesso quotidiano; descriva le sue tristezze e aspirazioni, i pensieri effimeri e la fede in una bellezza qualunque; descriva tutto questo con intima, sommessa, umile sincerità, e usi, per esprimersi, le cose che le stanno intorno, le immagini dei suoi sogni e gli oggetti del suo ricordo": introspettivo, soggettivo, Rilke è stato uno dei poeti che più di tutti si sono discostati dalle etichette o dai giudizi estetici ("nulla può tanto poco toccare un’opera d’arte quanto un discorso critico"), pur racchiudendo nelle sue poesie tutto un mondo di riferimenti, suggestioni, vissuti.

Dalle “Elegie duinesi” che gli danno la fama (ma la sua poesia nasce molto prima, con il “Libro delle immagini”) fino ai “Sonetti alla notte”, i versi sempre diversi racchiudono un unico, costante, tormentoso istante: quello che scaturisce dalla parola poetica quando questa incontra il Mondo. E quando, dal Mondo, è generata: amore, guerra, amicizia, solitudine, Dio. C’è tutto un universo di domande, che forse non trovano mai risposta chiara e compiuta: c’è la grande classicità, ma anche la filosofia dirompente di Nietzsche e Schopenhauer. In versi come quelli della Prima Elegia ("E così dunque mi trattengo e inghiotto soffocato, richiamo d'oscuro singhiozzo. Ah chi c'è dato mai poter invocar nel bisogno? Angeli no, non uomini e i sagaci animali ben l'avvertono: non si è molto di casa fiduciosi nel mondo segnato dal linguaggio") c’è l’uomo moderno. Che parla, che s’interroga sull'inconsistenza della vita, sull'inganno dei sentimenti e sul limite estremo della morte.

Così come in quella domanda, come si diventa poeti, sembra essere ancora racchiuso il tormento umano di fronte alle proprie possibilità e al proprio destino. Una domanda che sorge inaspettata, forse nemmeno desiderata, che diventa per Rilke un fardello da portare, e la risposta stessa al proprio interrogarsi. Una domanda a cui, come un fratello e un padre amorevole, Rilke tenta di rispondere: traducendo in un linguaggio comprensibile, profondo, e ancora oggi pieno di significati per chiunque voglia coglierli, la scelta estrema che è allo stesso tempo una condanna, di sentire le cose diversamente da come il resto del mondo le percepisce. Una risposta, che a novant’anni dalla scomparsa di Rilke, risuona attuale, carica di presente.

Se la sua giornata le sembra povera, non la accusi; accusi se stesso, si dica che non è abbastanza poeta da evocarne le ricchezze; poiché per chi crea non esiste povertà, né vi sono luoghi indifferenti o miseri. (…) E se da questa introversione, da questo immergersi nel proprio mondo sorgono versi, allora non le verrà in mente di chiedere a qualcuno se siano buoni versi. Né tenterà di interessare le riviste a quei lavori: poiché in essi lei vedrà il suo caro e naturale possesso, una scheggia e un suono della sua vita.

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