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Raffaele La Capria compie 91 anni! In libreria la nuova autobiografia

È appena uscita per i tipi di Minimum Fax, l’autobiografia di uno dei più grandi maestri della narrativa del Novecento: Raffaele La Capria che proprio oggi compie 91 anni. Titolo del libro “Novant’anni d’impazienza”, versione riveduta e aggiornata del precedente “Cinquant’anni di false partenze” edito nel 2002.
A cura di Andrea Esposito
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In occasione del novantunesimo compleanno di Raffaele La Capria, uno dei maestri della narrativa italiana del Novecento, Minimum Fax ha pubblicato un bellissimo libro dal titolo: “Novant’anni d’impazienza, un’autobiografia letteraria” – versione riveduta e aggiornata del precedente “Cinquant’anni di false partenze” (2002) – un volume che comprende anche i saggi riferiti alle opere pubblicate negli ultimi dieci anni.

“Tutti i miei libri sono autobiografici – afferma La Capria – perché per me l'autobiografia è un mezzo di conoscenza e non riguarda soltanto l'avventura intellettuale di un io narcisistico, ma un io che, come ho più volte spiegato, parla di sé parlando d'altro e parla d'altro parlando di sé". E in effetti analizzando l’intero corpus letterario dell’autore si nota una chiara tendenza verso quella che Massimo Onofri definisce “autobiografia delle idee”, in accordo con un progetto che pur affondando pienamente le radici nel secolo scorso si fa col tempo “contronovecentesco”.

In altre parole, va verso una contrazione massima degli aspetti psicologici e introspettivi (ancora forti in opere come “Amore e psiche”, 1973) a favore di una scrittura affabilmente colloquiante, che restituisce il “tono” della voce naturale, come in ”Letterature e salti mortali” (1990) o “Lo stile dell’anatra” (2001), un saggio-narrativo che parla “della leggerezza della scrittura che non fa apparire alla superficie il faticoso lavoro che è costata, e che si svolge sott'acqua, come quello delle zampette dell'anatra che fila leggera”.

Ma c’è spazio anche per riflessioni non direttamente legate alla scrittura ma al rapporto di questo io autobiografico con la propria città, che La Capria ha esplorato soprattutto in “L’armonia perduta” (1986), “L’occhio di Napoli” (1994) e in “Napolitan Graffiti” (1998) o con il paesaggio mediterraneo in “Capri non è più Capri” (1991) e “Ultimi viaggi nell’Italia perduta” (1999).

Insomma, ripercorrere insieme a La Capria le tappe, i traguardi e i ravvedimenti della sua straordinaria carriera equivale a ripensare in modo del tutto inedito al secolo scorso e quindi a porre le basi per la letteratura del presente e del prossimo futuro. Una letteratura affrancata da quello che l’autore definisce “concettualismo degradato di massa”, e cioè quell'atteggiamento culturale che fa sì che non si parli più né delle cose, né dei concetti delle cose, ma dei concetti che le cose hanno surrogato. Ma soprattutto una letteratura che riesca a “trasmettere con le parole un’emozione”, come La Capria ci insegna con l’esempio tratto da “La neve del Vesuvio” (1988) che di seguito riportiamo:

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“La storia è quella del canarino che improvvisamente – mentre un bambino attraversa la Villa Comunale – si posa sulla sua spalla volando giù da un albero. È per il bambino un momento di meraviglia, di sorpresa, di batticuore. Ma quando quel bambino – che sono io – dice alla madre, ansimando: ‘Mamma un canarino si è posato sulla mia spalla’, si accorge che con questa frase non ha trasmesso niente della meraviglia, della sorpresa, del batticuore di quel momento. E allora il bambino si domanda: ‘Come si fa a trasmettere con le parole l'emozione che ho provato?’ E capisce che questo è il lavoro e il destino dello scrittore: trasmettere con le parole un'emozione. Come si fa? Ci vuole un'idea, una strategia, un'intuizione, un accordo tra le parole, una disciplina, una selezione e tante altre cose che somigliano alla battaglia di un condottiero per conquistare un castello. Il condottiero è lo scrittore, il castello è il castello dell'emozione”.

Ciò però richiede oltre alla disciplina e alle strategie anche una certa dose di simulazione, di finzione. Nel senso che lo scrittore per scrivere non deve “essere emozionato” ma “fingere” di essere emozionato o “ricordarsi” di essere stato emozionato. Per dimostrarlo La Capria cita un poeta che non a caso ha fatto della riflessione su “l’io che scrive” e “l’io che vive” uno dei punti centrali della sua poetica, vale a dire, Fernando Pessoa, il quale dice: Il poeta è un fingitore/ che finge così completamente/ che arriva a fingere che è dolore/ il dolore che davvero sente.

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