Raccontare Roma attraverso il cinema di Nanni Moretti: in un libro scene e luoghi cult
Il 14 dicembre 1976 veniva proiettato per la prima volta il film "Io sono un autarchico" di Nanni Moretti al Filmstudio, una piccola sala di Trastevere. Sono passati quindi quarant'anni precisi da quell'esordio, quarant'anni di cinema morettiano che da lì a poco avrebbe portato agli indimenticabili "Ecce bombo" del 1976, "Sogni d'oro"- 1978 e "Bianca" 1984 e così via… I film di Moretti non sono solo cinema ma il racconto di una Roma in cui molti si riconoscono.
"A Roma con Nanni Moretti", in giro per le strade di Prati e Monteverde
Luoghi che hanno avuto una memoria, una risonanza emozionale nell'animo di chi li percorre. Come è successo a Paolo Di Paolo e a Giorgio Biferali che tappa dopo tappa hanno voluto ripercorrerli e soffermarsi. Le loro impressioni sono come delle fotografie letterarie nel libro "A Roma con Nanni Moretti" edito da Bompiani: in giro per le strade di Prati, Monteverde vecchio, di Garbatella, del quartiere Aventino, ma anche spingendosi verso Ostia e Spinaceto.
Scene, battute, luoghi morettiani divenuti leggendari
Gli autori che domenica 18 dicembre alle 18 presenteranno il libro al festival "Leggo per legittima difesa" hanno scelto di omaggiare e raccontare questi luoghi così come sono oggi, rievocando le scene dei film di Moretti, dalla storica panchina in piazza dei Quiriti a Prati per "Ecce bombo" alla scalinata di Monteverde vecchio per "Bianca". Ce li racconta in esclusiva per Fanpage.it Giorgio Biferali che ha scritto una postfazione "Come passare per caso in via Piccolomini" per la nuova ristampa:
Passano gli anni e arrivano le panchine, le prime dichiarazioni d’amore con i primi ripensamenti, le prime battute memorabili. “Giro, vedo gente, mi muovo, faccio delle cose”, “Io non parlo di cose che non conosco!”, “Continuiamo così, facciamoci del male”, “Vi amo, voi tutti che siete in questo bar”, “Come parla?! Le parole sono importanti!”, “Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone”. L’amore viene spiegato con una vaschetta di gelato, i sogni diventano un rifugio dal presente dove sono tutti così adulti, il corpo diventa un diario in cui raccontarsi, la nascita di un figlio diventa festa nazionale, un papa passeggia in borghese e si nasconde a teatro, l’umanità viene raccontata attraverso le scarpe: “ogni scarpa una camminata, ogni camminata un diversa concezione del mondo”.
"Quella di Moretti è una Roma da ‘piccola bellezza', tutta da scoprire, diversa da quella monumentale di Paolo Sorrentino"
Queste le parole di Paolo di Paolo nella descrizione della Roma omaggiata nel libro scritto a quattro mani con Giorgio Biferali, che aggiunge "Scrivendo questo libro mi sono sentito un po' come Mia Farrow ne La rosa purpurea del Cairo, ad un certo punto Moretti è uscito dallo schermo ed era lì, in carne e ossa, davanti a noi". Una Roma antifelliniana, antisorrentiniana, la Roma delle piccole cose, della casualità, della bellezza dietro l'angolo, non una Roma da cartolina né una Roma solenne. E come scrive Biferali nella sua postfazione:
"Guardare i film di Nanni Moretti è come passare per caso in via Piccolomini"
Ecco un brano emblematico tratto dalla postfazione di Giorgio Biferali, un ritratto magnetico di via Piccolomini, uno dei simboli più affascinanti della città eterna, accompagnato da una descrizione calzante del cinema di Nanni Moretti:
C’è una via a Roma che si chiama via Piccolomini, è come un piccolo cuore che non smette mai di battere, neanche a notte fonda, neanche a ferragosto quando Roma è quasi deserta. Da lì, si può andare sull’Aurelia Antica, a Prati, al Gianicolo, sull’Olimpica, a Gregorio VII, andare verso Monteverde vecchio o nuovo, Trastevere, Testaccio, guardarsi intorno e scegliere da quale parte di Villa Pamphili entrare. Ma non è per questo che la sera si riempie, che si vedono arrivare macchine che fanno avanti e indietro, si fermano per un po’ e poi se ne vanno. Via Piccolimini nasconde un segreto, che i più fortunati scoprono nell’adolescenza. Da via Piccolomini si vede, in lontananza, la cupola di San Pietro, che dagli occhi di chi la guarda disterà più o meno quattrocento metri d’aria. È stando in macchina o su un motorino, magari su una vespa, che ci si accorge di quel segreto, che è quasi un miracolo, come scoprire all’improvviso un nuovo modo di guardare il mondo. Più ci si avvicina alla fine della via, il punto più vicino a San Pietro, più la cupola si allontana. Anzi, diventa piccola piccola e si confonde con il resto della città. Più ci si allontana, più la cupola si avvicina, ritorna grande e occupa tutto il nostro campo visivo. Ma com’è possibile? In tanti hanno parlato di prospettive, di effetti ottici, di cose che andrebbero bene per quelli come Escher, che il mondo sembrava non bastargli mai e allora preferiva sempre inventarsene uno nuovo. Guardare i film di Nanni Moretti è come passare per caso in via Piccolomini. C’è chi li guarda da lontano, senza fermarsi, senza fare avanti e indietro, e pensa che dentro quei film ci sia soltanto una grande cupola tondeggiante che occupa tutto lo schermo. Ma chi ha il coraggio di avvicinarsi, invece, si accorge che c’è un panorama nascosto, fatto di case, di sguardi, di silenzi, di riunioni di autocoscienza, di solitudine, di corse disperate a bordo piscina, di vespe che volano per la città, di amori mancati, di dolci, di amnesie politiche, di balli inaspettati, di madri protettive, di papi che non hanno voglia di affacciarsi.