Quando ‘a zezzenella finisce, cosa vuol dire? L’antica origine del termine napoletano
Le cose belle si sa, prima o poi finiscono. E il dialetto napoletano, per spiegare questa grande verità, conosce una curiosa espressione divenuta proverbiale tanto da essere utilizzata nei più svariati contesti e con numerosissime sfumature di significato. Almeno una volta nella vita ogni napoletano doc si è sentito rimproverare che “è fernut’a zezzenell”: ma da dove nasce questa divertente espressione?
È facile intuire, anche per parlanti non strettamente partenopei, che l’origine della curiosa parola sia da rintracciare nella “mammella”, e nel fatto che prima o poi tutti, crescendo, siamo costretti a staccarci da essa. Alcuni ipotizzano che l’espressione derivi dalla mungitura delle mucche, altri riconducono il proverbio allo svezzamento dei neonati: in entrambi casi il significato non cambia di molto: “è finita la pacchia!”.
L’espressione viene ancora oggi usata colloquialmente per ricordare all’interlocutore che la sua fortuna, o una situazione particolarmente comoda e vantaggiosa, presto volgerà al termine: l’invito, un po’ aspro nel tono canzonatorio che spesso assume, è quello di non crogiolarsi nelle facilità e nell’abbondanza senza preoccuparsi del futuro perché, si sa, prima o poi “a zezzenell” si svuota, e qualunque bambino è costretto a crescere.
‘A zizza: la sua origine antichissima (e straniera)
Divenuta metafora della vita, l’espressione è significativa anche dal punto di vista strettamente linguistico, per il suo legame con le parlate germaniche diffuse in Italia nel Medioevo e l’influenza che le popolazioni longobarde e gote hanno avuto sulla nostra cultura e sul nostro modo di parlare. “Zizza” infatti, parola utilizzata in moltissimi dialetti per indicare il seno, deriverebbe dal longobardo o dal medio alto tedesco “zitze”, che voleva dire appunto “capezzolo”.
L’espressione era in realtà presente anche in latino, con “titta”, ma l’ampia diffusione dialettale del termine sarebbe da ricondurre alle parlate volgari e alla loro mescolanza, estremamente produttiva, con i linguaggi delle popolazioni straniere che per secoli hanno abitato la nostra penisola. Il termine viene ricondotto spesso ad un linguaggio scurrile e poco elegante ma in realtà la sua storia è nobile, tanto da vederlo presente molto spesso anche nella letteratura: perfino Boccaccio conosceva ed utilizzava questa parola, come nel verso “si vedeano i due serpenti Alle sue zizze dar crudel morsura”.