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Può un omicidio diventare un’opera d’arte? È accaduto negli Stati Uniti

Non un omicidio qualunque, ma quello del diciottenne Michael Brown, avvenuto a Ferguson lo scorso 9 agosto per mano dell’agente di polizia Darren Wilson. Una riproduzione fedele della scena del crimine, il corpo di Brown riverso a terra, nella stessa posizione, con lo stesso cappellino rosso. Un’opera estrema, azzardata, che tocca una ferita ancora aperta nella comunità di Ferguson e che, lungi dal problematizzare l’accaduto, getta una luce inquietante sulla vicenda e sul modo in cui “le mani” bianche rappresentano gli afroamericani negli States.
A cura di Federica D'Alfonso
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Quasi un anno dopo l'omicidio di Michael Brown, il diciottenne afroamericano ferito a morte a Ferguson dal poliziotto Darren Wilson, la scena della morte di Brown è riapparsa sotto forma di “opera d'arte” in una galleria di Chicago. “Confronting Truths: Wake Up”, in mostra alla Guichard Gallery, presenta una scultura a grandezza naturale che riproduce il corpo di Brown senza vita, riverso a terra, dietro il nastro segnaletico della polizia, con addirittura la replica perfetta del cappellino rosso dei Cardinals indossato quel giorno dal ragazzo. L'esposizione, inaugurata venerdì 10 luglio, è un lavoro di Ti-Rock Moore, artista di New Orleans che già in precedenza nei suoi lavori ha portato alla luce temi scottanti e di cronaca. Creare un avvenimento: ciò che importa non è l’arte ma lo shock che provoca. Questo il concetto che sta alla base di molti lavori artistici contemporanei. Le idee espresse sono più importanti del risultato estetico e percettivo dell'opera stessa: così si definisce solitamente un'opera d'arte concettuale. Quella presentata lo scorso 10 luglio alla Guichard Gallery però, sembra aver oltrepassato il sottile limite che esiste fra shock comunicativo e manipolazione di un messaggio. L'arte parla e può essere un mezzo per problematizzare la realtà: ma in questo caso, che realtà?

I fatti del 9 agosto 2014

9 agosto, ore 11.51: due individui afroamericani, identificati dalla polizia come Michael Brown, 18 anni, e Dorian Johnson, 22 anni, vengono visti all'interno di un supermarket mentre cercano di rapinarlo. Sempre 9 agosto, ore 12.01: l'agente di polizia Darren Wilson ferma due ragazzi e ordina loro di spostarsi dalla carreggiata al marciapiede. Viene sparato un primo colpo dall'interno del veicolo di Wilson; i due fuggono. A quel punto Wilson abbandona la sua auto e li insegue a piedi. Michael Brown morirà a circa 11 metri dall'auto della polizia, ucciso in meno di tre minuti, stando all'autopsia, da sei colpi di piostola. Colpito seppur disarmato, al momento dell'incontro fra Michael e il poliziotto Wilson la notizia della rapina non era ancora stata comunicata, quindi l'agente non avrebbe potuto collegare la presenza del ragazzo nel minimarket: presenza confermata dallo stesso commesso, che ha testimoniato che Brown era uscito dal negozio tranquillamente, dopo aver comprato dei sigari.

L'opera di T-Rock Moore

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Molti hanno accusato Moore di una rivisitazione inutile di un trauma, e di aver "sfruttato" la morte di Brown con la scusa dell'arte. Domenica, Johnetta Elizie, attivista e leader dell'associazione "We The Protesters", nata proprio in seguito ai fatti di Ferguson, ha visitato la galleria e ha condiviso subito un video con i suoi oltre 50 mila followers di Periscope, innescando una lunga serie di critiche.

Io esploro, onestamente e francamente, il privilegio bianco attraverso la mia consapevolezza acuta del vantaggio immeritato che la mia pelle bianca contiene,

ha spiegato l'artista. La scrittrice Kirsten West Savali ha accusato Moore di aver reso Brown di nuovo una vittima, per la seconda volta. "Ho pensato alle mani bianche della Moore sul corpo nero e indifeso di Michael Brown, senza che lui potesse difendersi", ha scritto Savali, comparando il trattamento che l'artista ha riservato al corpo del ragazzo con la lettura “drammatizzata” che il poeta Kenneth Goldstein aveva fatto dell'autopsia dello stesso Brown. Non è dunque la prima volta che l'omicidio del giovane Brown esce dalle pagine della cruda cronaca: nel marzo 2015 alla Brown University era stato presentato il poema "The Body of Michael Brown", che non era altro che una lettura enfatizzata e surreale dell'autopsia fatta sul corpo della vittima, mentre sullo schermo passavano le immagini del ragazzo.

fermo immagine dal video diffuso da Johnetta Elizie
fermo immagine dal video diffuso da Johnetta Elizie

La galleria ha precisato, rispondendo ai numerosissimi tweets indignati, di aver contattato precedentemente la famiglia di Brown, prima dell'apertura della mostra, sebbene un breve commento del padre di Michael, postato sul suo profilo twitter all'indomani dell'inaugurazione, suggerisca che i galleristi non avevano ricevuto la sua approvazione: ma loro continuano ad usare il consenso della famiglia come difesa. La madre di Michael, Lesley McSpadden, ha partecipato all'apertura della mostra, ma soltanto poco prima di arrivare ha scoperto che l'opera su suo figlio non era una fotografia della scena del crimine, come aveva ipotizzato, ma una viva riproduzione dell'accaduto. "L'opera è qualcosa che serve per ricordare, perché dobbiamo fare quello che Ti-Rock ha detto, capire cosa il presunto privilegio bianco possa fare alla comunità afroamericana", ha dichiarato Frances Guichard.

lo scambio di commenti fra la galleria d'arte e il padre di Michael
lo scambio di commenti fra la galleria d'arte e il padre di Michael

Le critiche suscitate dall'opera, oltre a condannare il contenuto della rappresentazione che di per sé è estremamente forte, hanno riletto la descrizione del suo lavoro contenuta nella presentazione, che campeggia a lettere cubitali anche fuori dalla galleria: lungi dall'esporre qualsiasi concetto specifico di arte, le parole che Moore ha utilizzato per spiegare il suo operato cercano di rappresentarla come un alleato nella lotta che la comunità nera di Ferguson ha intrapreso da quel tremendo 9 agosto 2014. Ma da questa stessa comunità, le parole vengono percepite come una sorta di auto-celebrazione fine a se stessa: "Io” esploro il privilegio bianco attraverso la “mia” consapevolezza acuta del vantaggio immeritato che la “mia” pelle bianca detiene. E di Michael, cosa rimane? 

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