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Premio Strega: ecco i libri favoriti

Nell’attesa dell’ufficializzazione della cinquina di finalisti, ecco un’introduzione ai libri che aspirano a entrare in competizione e vincere: da ZeroCalcare, a Vinicio Capossela, a libri di satira sociale, alla Grande Assente e Favorita: Elena Ferrante con la sua saga de “L’amica geniale”, che tante polemiche ha causato in vigilia.
A cura di Luca Marangolo
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Il Premio Strega si sta avvicinando, il premio più chiacchierato della letteratura italiana è arrivato alla sua LXIX edizione, ed anche quest’anno ha avuto modo di far parlare di sé, non certo per qualcosa di estremamente limpido. Sicuramente infatti erano ottime le intenzioni che hanno portato Roberto Saviano a candidare il Thomas Pynchon nostrano, Elena Ferrante, al Premio Strega. Ma come fa il mitologico autore americano, anche Elena Ferrante non si mostra in pubblico, limitando le sue apparizioni mediatiche a un contrappunto di lettere e letterine aperte sui giornali.

Le polemiche generate da questa scelta non sono state poche, dato che questa singolare caratteristica di quella che, grazie al rumore della sua assenza, sembra essere la favorita, ha infranto il rituale dello Strega che impone lungo la selezione presenzialismo ai vari autori cene ed eventi promozionali vari. Il cambio di regole in corsa testimonia quanto la popolarità della scrittrice sia stata più forte di queste convenzioni e, dato che ormai la rosa dei finalisti è prossima ad essere pubblicata, i nomi si sapranno il 3 Aprile prossimo, procediamo con un breve commento di tutte le principali pubblicazioni aspiranti.

Iniziamo da Zero Calcare, il fumettista assurto negli ultimi tempi ad un successo inferiore probabilmente solo al suo talento, che ritorna con il suo Dimentica il mio nome; la particolare miscela fra il fumetto, la tagliente letterarietà dei dialoghi e della narrazione di tutti i suoi lavori sono senza dubbio un tocca sana per il già fortemente ingrigito Premio.

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ZeroCalcare ha sviluppato una poetica distinta che mescola minimalismo ironia e fantasia che gli ha permesso di diventare popolarissimo e così il suo nuovo romanzo- romanzo intermediale, va da sé- amplifica queste caratteristiche concedendole ad una storia di più ampio respiro, una storia che attraversa addirittura tre figure-simbolo per tre generazioni: lui, la madre, la nonna. Da tenere d’occhio.

Interessante anche la (probabile) partecipazione allo Strega di Vinicio Capossela, anche lui non proprio per fortuna letterato in senso ortodosso che con il suo Il paese dei Coppoloni rischia se non di vincere il goloso liquorino, quantomeno di avere una meritata visibilità. Opera dal gusto epicheggiante, il paese dei coppoloni è un opera che esibisce forte letterarietà e talento linguistico non inferiore a i suoi concorrenti: anzi. È probabile che il paese dei Coppoloni, con il suo ritratto di un mondo mediterraneo dal sapore favoloso e avito, e senza dubbio l’opera di un musicista che rivendica le maggiori ascendenza letterarie, da Omero alla Bibbia, dalla letteratura del realismo magico alla grande tradizione della narrativa ebraica, rimane, comunque, uno dei favoriti.

E veniamo al caso mediaticamente ridondante che potrebbe travolgere lo
Strega. Si tratta ovviamente del quarto volume de L’amica geniale
che, prendendo come oro colato il bombardamento mediatico, rischia di aggiudicarsi (speriamo non per ragioni superficiali) il primo posto. Sul valore della sua autrice Elena Ferrante, non c’è da eccepire, il suo stile linguisticamente “basso”, la sua grande capacità di affabulazione e lo spessore della sua narrativa le hanno garantito consenso unanime di critica e pubblico. Si rimane tuttavia basiti dal cogente paradosso per cui un’autrice che ha fatto della sua riservatezza un imperativo categorico (non appare mai, né ben si sa chi sia) abbia proprio grazie a questa assenza imposto una presenza pubblicitaria colossale. Si parla sempre e solo di lei esattamente perché si sottrae ai riflettori, alimentando ossessioni scopiche e le morbosità varie che fanno parte della nostra cultura. Si parlerà mai dei suoi libri?

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Inevitabile la menzione del giallo di uno dei migliori scrittori delle ultime generazioni, Nicola Lagioia. La Ferocia coniuga abilmente la grammatica del giallo, del’whosdoneit di ambientazione pugliese con la migliore tradizione del romanzo storico-sociale contemporaneo. La Ferocia, nella sua concezione ed elaborazione sembra rappresentare il delitto, il fatto di sangue, come una sorta di macabro centro di gravità attorno al quale dipingere una serie di personaggi complessi e profondamente contemporanei, membri della classe imprenditoriale, benestanti, borghesi, tutti chiamati in causa da un evento inquietante che sembra essere come lo squarcio di un velo in grado di distendere ai nostri occhi una realtà profondamente romanzesca e dunque profondamente radicata nella realtà, in grado di indagare e appianarne anche le più inquietanti pieghe e oscurità.

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Un outsider di incontestabile fascino è invece Come donna innamorata di Marco Santagata, romanzo dedicato addirittura a Dante: è un’opera che cattura un istante di crisi radicale nella vita del più grande poeta, il giorno in cui morì Beatrice e che portò Dante a sublimare e a espandere la sua immaginativa versificatoria finalmente al di là di ogni residuo convenzionale della poesia d’amore, per espandersi concettualmente e fantasmagoricamente nella grande architettura poetica che tutti conosciamo. Sulla funzione catartica che ebbe su Dante la morte di Beatrice molti critici si sono spesi: questo libro la racconta questo evento di profondo mutamento interiore inserendolo anche nell’altrettanto sconvolgente quadro della politca fiorentina del tempo, che portò Dante a perdere tutti suoi amici, ad essere esule, rievocando con vivezza e potenza le eteree atmosfere trecentesche.

Un altro dei papabili è Chi porta le onde di Fabio Genovesi, si tratta di un romanzo policentrico di ambientazione marina, erede dello stile grottesco della narrativa “avant-pop” nostrana (si pensi ai Cannibali) e dalla forte inclinazione comica e parodica. E come tutti i lavori che hanno un coté parodico, ma che aspirano, come questo, ad essere comunque romanzo, ad essere ritratto di un piccolo mondo, il mondo di una famiglia in vacanza al mare, è talora in bilico fra la schematicità del parodico e la credibilità della narrativa, dove la prima sostiene l’altro nel tentativo di esprimere una storia intimista secondo il modello alto, palese, di J. D. Salinger.

Piombiamo nell’atomosfera ruvida e marina dell’isola ligure di Palmaria con un altro dei favoriti ad entrare nella rosa finale. Si tratta di Il dolore del mare di Alberto Cavenna, un romanzo di ambiantazione storica, che narra le vicende di un gruppo di pescatori isolani fra la fine della Grande Guerra, e l’avvento del Fascismo. Un romanzo di ispirazione neorealista se non addirittura verista, che con la rigida e diretta forza della fotografia sociale ricostruisce quasi filologicamente la vita di una comunità così isolata in un periodo di tale sconvolgimento culturale. Al centro del nucleo narrativo, una giovane vedova di guerra e suo figlio, il cui futuro dipende in grande misura da quanto la madre, nella memoria del suo morto sposo, sarà in grado di preservarlo dagli sconvolgimenti che attraversano la nazione.

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Giorgio Dell’Arti, con i suoi Nuovi Venuti, breve romanzo di appena novantasei pagine, mette in scena il gusto pulp, dal grande potere di sollievo, di una colpo di stato kossovaro in grado di azzerare violentemente tutta la classe dirigente italiana: si va dalla defenestrazione di Silvio Berlusconi alla lapidazione di Pier Ferdinando Casini. Un lavoro comico che sfrutta al meglio la soluzione inventata da Quentin Tarantino per liberare tutta la forza della finzione: mettere in scena un atto di violenza e- in questo caso- di programmatico e liberatorio linciaggio verso la classe dirigente italiana. Questo lavoro “civile” che è un chiaro atto da accusa e al contempo un divertito racconto, per la sua presa su problemi di stringente attualità potrebbe essere considerato molto dalla giuria.

Fabio Viola con i suoi Dirimpettai è l’ultimo dei papabili di cui ci occupiamo: anch’esso romanzo di costume, dal gusto violentemente satirico è il racconto di un impalpabile voyeur che, da casa sua, spia la vita di due potenti che vivono nelle tanto chiacchierate case raffinate dei buoni terrazzi romani. Qui la satira e il sarcasmo non si lesinano, così come è impietoso il ritratto della società castista e basata sulla forza sociale. Non mancano ritratti grotteschi che sono facile sfogo per l’ormai insostenibile malessere sociale di cui sia il romanzo di Viola che il racconto di Dell’Arti sono manifestazione.

L’amaro colore bilioso della satira di costume potrebbe veramente essere premiato, quest’anno allo Strega, un premio che ha perso da tempo molta della sua credibilità a causa del malcelato gioco editoriale che manovra i risultati della kermesse. C’è da dire, però, che qualche segno di miglioramento si è visto, se si pensa alla vittoria di Walter Siti di due anni fa o a quella di Piccolo (che è imparagonabile, saremo d’accordo), non ci resta che sperare che la speculazione editoriale si consumi da sola nella micragna e nell’isolamento impliciti in questo comportamento miope.

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