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Post-classici: arte contemporanea nella Roma antica

Tra il Foro romano e il Palatino, artisti contemporanei recuperano l’antico e dialogano con le suggestive rovine di una delle aree archeologiche più importanti al mondo.
A cura di Gabriella Valente
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Senza che sia paradossale, nell’ambito dell’arte e della critica d’arte contemporanea il termine ‘classico’ e il concetto di ripresa dell’antico sono ormai un po’ abusati, diventando spesso comodo rifugio per artisti, curatori o critici. Di conseguenza, puntare l’attenzione sul classicismo dell’arte italiana non è cosa nuova, come non lo è il voler accostare l’arte del presente e quella del passato.

Ma quest’operazione acquista tutt’altro, più intenso, sapore se viene condotta all’interno di un sito eccezionale quale è l’area archeologica capitolina del Foro Romano e del Palatino, dove è in corso Post-classici. La ripresa dell’antico nell’arte contemporanea italiana (fino al 29 settembre), la grande mostra curata da Vincenzo Trione che ha chiamato 17 artisti contemporanei a realizzare per il maestoso sito archeologico opere site-specific, da esporre accanto a rovine di palazzi imperiali, tra resti di strutture architettoniche e templi romani, o affiancate a opere d’arte antica.

L’antico e il contemporaneo in conversazione dunque, in un dialogo bellissimo che si snoda, con un percorso espositivo quasi tutto en plain air, lungo le antiche strade romane, toccando in particolare lo Stadio e il Museo Palatino, la Vigna Barberini, il Criptoportico Neroniano, il Tempio di Venere e Roma e il Tempio di Romolo. Sono infatti questi i siti che accolgono le installazioni dei 17 post-classici: Albanese, Alis/Filliol, Aquilanti, Barocco, Beecroft, Biasiucci, Botta, Colin, Jodice, Kounellis, Longobardi, Paladino, Paolini, Parmiggiani, Pietrosanti, Pistoletto, ZimmerFrei.

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Nel lavoro di questi artisti di diverse generazioni – tra i quali ci sono protagonisti dell’Arte Povera, della Transavanguardia, grandi fotografi e figure isolate rispetto agli orientamenti dominanti – Trione individuerebbe “una vera tendenza dell’arte italiana del nostro tempo, implicita e trasversale: la post-classicità”, lontana sia dal neoclassicismo che dal postmoderno e riscontrabile in un richiamo all’antico, “inteso come fonte di valori ‘assoluti’ – bellezza, armonia, perfezione, misura, sapienza – che vengono reinterpretati in chiave moderna”. I post-classici “pensano la classicità non come tempio di una ‘nobile semplicità e tranquilla grandezza’, ma come geografia dell’incertezza e della precarietà. Non come patrimonio da rimontare con ironia […], né come eredità intoccabile da rifare. Ma come strumento per guarire dalle tante ubriacature della modernità”.

Qui, però, si incorre in un pericolo: di fronte a progetti curatoriali che mirano al reperimento del classico nel contemporaneo, c’è il rischio di un elogio esclusivo del classicismo, neo o post che sia. Come se al di fuori della ripresa dell’antico, del passato e del bello classicamente inteso, non vi fosse che un’arte inconsistente. Come se la ricerca del nuovo, la provocazione, lo sperimentalismo, fossero da demonizzare.

Una volta evitato questo errore, si potrà affermare di certo la bellezza di questa ‘mostra post-classica’, il cui fascino, complice la sede espositiva d’eccezione, è innegabile. Le opere contemporanee risultano presenze discrete, sono come apparizioni che si rivelano con delicatezza: emozionante scoprire, passeggiando nell’antico, i segni della contemporaneità, scovare quella nota diversa, eppure intonata, che si mimetizza nel monumentale contesto ospitante. L’aura del sito archeologico investe anche le opere nuove che, mentre si giovano della sacralità dei luoghi, a loro volta danno nuova forza espressiva ed emozionale a quei luoghi stessi.

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Per citare solo alcuni degli artisti in mostra, Marisa Albanese nel mezzo dello Stadio Palatino perviene ad un’eleganza classica con le sue silenziose combattenti; Pistoletto propone una maestosa versione della Venere degli stracci, estremamente affascinante posta com’è a dominare tra le rovine del Tempio di Venere e Roma; Kounellis ricrea solennemente il perimetro quadrato di un temenos con frammenti di colonne originali; Parmiggiani, con le alterazioni e accumulazioni di teste classiche, evoca quasi drammaticamente l’antico mostrando la fragilità dei reperti e trasformando i resti della statuaria in tristi residui della storia; il collettivo Alis/Filliol recupera la figura di Giano bifronte in una scultura dalla potente materialità che guarda al passato e al futuro; Biasiucci, dall’alto dello Stadio, suggerisce l’idea dello svelamento del frammento archeologico nelle immagini cangianti degli ex voto.

Post-classici è stata inaugurata il 22 maggio sotto una pioggia torrenziale. In quell’occasione, in una atmosfera quasi surreale con sottofondo di tuoni, abbiamo intervistato alcuni degli artisti, sullo sfondo di vedute bellissime, tra l’arte contemporanea e la Roma antica.

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