Non è certo una novità. La lingua cambia in base alle circostanze e alle persone, si modella, alcune volte però si tratta di vera e propria manipolazione. Una manipolazione che serve a definire distanze, a stabilire confini e alzare steccati tra le persone, classi sociali. Ed è per questo che i ricchi, in quanto élite del Paese, nello storytelling mediatico, raramente sono infetti come i poveri, anche se hanno lo stesso virus (Coronavirus) e soffrono della stessa malattia (Covid-19). Meraviglie della lingua italiana, obbrobio del classismo nel nostro Paese. A farlo notare, di recente, il brillante tweet di Alessandro Gassmann, uno dei volti noti del teatro, cinema e televisione italiana ha scritto un semplice "L'italiano è positivo, l'immigrato infetto". Game, set, match. Almeno nella bolla di chi la pensa come lui (e come me, sia chiaro). Perché nel resto del Paese, la sensazione è che questo modo classista di usare le parole abbia già raggiunto il suo scopo.
Ma se i nostri connazionali, dotati di passaporto, carnagione chiara e documenti in regola, meritano di essere soltanto "positivi" al Coronavirus e non "infetti" come i migranti, nemmeno il bianco italiano del ceto medio riesce a cavarsela in confronto alla vera èlite del nostro Paese: i calciatori. Ieri, prima della partita Napoli-Genoa, ha cominciato a circolare la notizia che il calciatore del Grifone, Lasse Schöne fosse "debolmente positivo". I più attenti, come Nino Cartbabellotta, medico, è presidente della Fondazione GIMBE lo hanno fatto subito notare:
Il problema è che una narrazione tossica si nutre di parole tossiche e le parole tossiche sono funzionali alla divisione del mondo in brutti e cattivi, giusti e ingiusti, positivi e infetti, positivi e debolmente infetti, in ricchi e poveri, in poveri e poverissimi. Con lo scopo di mettere a puntino un racconto in cui gli ultimi, in definitiva, meritano la loro condizione, mentre il ricco non merita la malattia.