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Popsophia a Pesaro: con Simonetta Sciandivasci si discute della generazione Coronnial

Intervista a Simonetta Sciandivasci, che venerdì 3 luglio, sul palco di Popsophia a Pesaro, terrà un incontro dal titolo “Social distancing. La generazione dei Coronnial”. Torna per la decima edizione consecutiva il festival di filosofia contemporanea nel segno del realismo visionario. Da Veronesi a Murgia, ecco tutti gli appuntamenti.
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A ripartire tra i primi c'è Popsophia, il festival nazionale della Filosofia del Contemporaneo. A Pesaro, dal 2 al 5 luglio 2020, parte la sfida culturale dei tempi difficili che stiamo vivendo volgendo uno sguardo visionario alla realtà come possibilità per immaginare scenari alternativi e ripartire. Non a caso sarà il Realismo Visionario il tema della decima edizione che sarà dedicata al maestro del cinema Federico Fellini, in occasione del centenario della sua nascita. Tantissimi i nomi che interverranno durante le giornate del festival, da Sandro Veronesi a Michela Murgia, da Philippe Daverio a Patrizia Giancotti, fino a Simonetta Sciandivasci già autrice de "La Domenica Lasciami Sola" (Baldini&Castoldi, 2014) e giornalista de Il Foglio, che un paio di mesi fa ha scritto un interessante ritratto della nuova generazione dei cosiddetti "Coronnial" e venerdì 3 luglio alle 19 sarà protagonista dell'incontro "Social distancing. La generazione dei Coronnial".

Chi sono i Coronnial?

I coronnial sono i millennial, giovani adulti o in casi più tragici adulti giovanili, che hanno intrapreso relazioni sentimentali durante la quarantena. Come tutte le parole di nuovo conio, anche Coronnial ha un raggio semantico ampio, e così sull’Urban Dictionary si trova che indica anche i bambini che nasceranno tra alcuni mesi e che saranno quindi stati concepiti durante la quarantena, da genitori over trenta (millennial, appunto).

Sembra esserci una sovrapposizione tra il virus e l'epoca dominata dal racconto delle Instagram Story. O è soltanto l'ennesima distorsione cognitiva?

Simonetta Sciandivasci
Simonetta Sciandivasci

Dobbiamo sforzarci di guardare il Covid-19 per quello che è: un virus. Non una metafora, un’epitome, uno specchio riflesso. Se abbiamo l’impressione che ci conosca da vicino e persino che ci descriva, è perché quello che ha provocato ha illuminato il punto esatto in cui ci troviamo; ha provato in modo preciso cosa, del nostro sistema sociale, è sostenibile e cosa non lo è più; ha accelerato la maggior parte dei processi di trasformazione culturale in atto, in certi casi compiendoli, in certi altri esautorandoli. Eravamo convinti di poter contenere e poi ridurre l’imprevisto, di poter esercitare un controllo pressoché assoluto sul presente e sul futuro, e per questo il fondamento delle nostre società stava diventando la sicurezza, portata all’ossessione poliziesca, quando è arrivato un virus a dirci, o meglio a ricordarci che la sicurezza è un tentativo, non una garanzia, e farne un regime non è soltanto sbagliato, è inutile. Stavamo esiliando la morte, e il Coronavirus l’ha fatta ripiombare nelle nostre vite, ce ne ha rimesso davanti agli occhi la fisicità, lo sconquasso, l’ingombro, la burocrazia. Instagram assomiglia al Coronavirus? No. Ma nel modo in cui Instagram scontorna la realtà, disabituandoci alla prospettiva, c’è una delle ragioni per cui, se pure da anni la comunità scientifica ci allertava sulla possibilità che accadesse quello che è effettivamente accaduto, abbiamo evitato di ascoltarla, facendoci trovare impreparati.

Quali sono i pericoli che l'adattabilità a tutti i costi comporta?

Perdere di vista la differenza tra adattamento e rassegnazione. Convincersi che la nostra possibilità di intervento sulla realtà si limiti alla sua accettazione o comunque la presupponga. S’è prodotto, durante il lockdown, un paradosso interessante: siamo stati più in contatto con gli altri di quando eravamo liberi di incontrarli. È successo perché non volevamo accettare di cambiare abitudini, e perché credevamo che farlo avrebbe significato darla vinta agli eventi. Abbiamo imbavagliato quello che ci è capitato e non abbiamo permesso che ci parlasse, che ci mettesse in questione. Abbiamo trasportato la vita di prima in quella di dopo, finendo col farle coincidere.

Cosa racconterai al tuo incontro di Popsophia?

Un'immagine dalle edizioni passate di Popsophia
Un'immagine dalle edizioni passate di Popsophia

Di cos’è successo alle relazioni tra le persone durante l’isolamento e della difficoltà che abbiamo avuto e continuiamo ad avere nel pensarci e ritrovarci soli.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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