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“Pompei non è Sodoma”, ma nemmeno era omofoba: la storia e la lingua latina lo dimostrano

Le scritte apparse qualche settimana fa a Pompei la dicono lunga sul modo in cui i discorsi moraleggianti e discriminatori dimenticano troppo spesso la vera origine da cui si illudono di trarre la loro legittimità: Pompei poteva non essere Sodoma, ma l’omosessualità per gli antichi romani era cosa ben diversa da quello che crediamo.
A cura di Federica D'Alfonso
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Il prossimo 30 giugno Pompei ospiterà il Gay Pride. Fra le consuete polemiche sorte intorno alla manifestazione organizzata dal Coordinamento Campania Rainbow è spiccata, nelle scorse settimane, quella sollevata dallo striscione affisso da Forza Nuova nelle strade della città: “Pompei non è Sodoma”. Un richiamo all'ordine e alla moralità quanto mai curioso, che affonda le radici in un concetto di antichità evidentemente abbastanza confuso e “poco informato” sulle reali passioni e attitudini degli antichi romani.

Omo o etero? Il latino non faceva distinzioni

La famosa coppa Warren che raffigura una scena di amore omosessuale.
La famosa coppa Warren che raffigura una scena di amore omosessuale.

Al di là degli eloquentissimi dipinti conservati proprio dell’antica Pompei, basterebbe sfogliare le pagine forse non proprio famosissime ma comunque sempre rilevanti di numerosi poeti latini per comprendere come l’accostamento moraleggiante a Sodoma non sarebbe stato neanche lontanamente compreso dalla maggior parte degli antichi viri. Prima di tutto perché il vocabolario latino manca del tutto di parole che indicano l’omosessualità e l’eterosessualità come un’identità definita e stabile di chi prova attrazione verso una persona dello stesso sesso o dell’altro.

La stessa letteratura, più o meno a partire dal II secolo a. C., è stata espressione di una totale mancanza di discrimini di genere o di orientamento sessuale: Catullo scrisse brevi componimenti per Giovenzio, Tito Lucrezio Caro più di una volta non rinnegò il suo trasporto per i giovinetti, Virgilio non ebbe timore nel raccontare la tenera storia di Eurialo e Niso così come Tibullo, Properzio e Marziale non fecero mai mistero delle loro passioni omoerotiche.

L’amore omosessuale diviene, soprattutto durante l’epoca imperiale, espressione ultima e più alta di virilità, metafora di dominazione, forza e predominanza: non a caso l’impudicizia era fortemente condannata dai romani quale fonte di estrema vergogna, ma essa era definita tale solo nel momento in cui all’interno della relazione d’amore il soggetto ricopriva un ruolo non attivo, succube e sottomesso all’altro. L’amore fra due uomini non suscitava alcuno scandalo, ma l’essere “ineadus”, “delicatus” o “effeminatus” sì.

Pittura parietale che raffigura un rapporto fra due uomini e una donna, a Pompei.
Pittura parietale che raffigura un rapporto fra due uomini e una donna, a Pompei.

Tale concezione, più attenta alla conservazione dei ruoli sociali che di quelli di genere, è testimoniata dalla Lex Scantinia del 149 a.C. di cui Svetonio, Giovenale e Prudenzio ci informano nei loro scritti: l’uomo veniva condannato nel caso di rapporti sessuali con ragazzini in giovane età, ma anche se in una relazione carnale il soggetto assumeva ruolo passivo. La multa poteva arrivare fino a 10 mila sesterzi.

Comprendiamo così, da questi pochissimi esempi, come gli antichi romani in generale, i pompeiani men che meno, non conoscessero affatto la distinzione o la discriminazione basata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere: il rapporto con persone dello stesso sesso era avvertito come assolutamente normale e naturale, purché rientrasse in alcuni parametri stabiliti per conservare l’ordinamento sociale. Era consuetudine assai diffusa che un uomo intrattenesse una relazione con persone dello stesso sesso, anche fuori dal matrimonio, purché il “ruolo” ricoperto da quella persona fosse “attivo” e che l’amante detenesse uno status sociale inferiore.

Da Cesare ad Adriano, gli amori degli imperatori

Le pratiche omosessuali erano molto frequenti anche fra gli uomini di potere: Giulio Cesare è forse il più famoso bisessuale della storia, chiamato scherzosamente da Cicerone “marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti” e “regina di Bitinia”, a causa della lunga relazione intrattenuta con il re di Bitinia Nicomede IV. Alla lunga lista si aggiungono Ottaviano Augusto, Tiberio, Caligola e Nerone, il quale avrebbe addirittura sposato un uomo di nome Pitagora.

Ma è sicuramente quella fra Adriano e Antinoo la storia più particolare e significativa dell’antichità: l’imperatore ebbe una relazione lunga anni con il giovane liberto che molto probabilmente andava al di là della semplice attrazione sessuale. Dopo la morte del compagno, avvenuta prematuramente e in circostanze poco chiare, Adriano diffuse un vero e proprio culto religioso in onore di Antinoo, fondando una città in suo onore e venerandolo come un dio.

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