Pinguini Tattici Nucleari: “Parliamo di Palestina nei live perché su certi temi bisogna prendere posizione”
Trentatré concerti nei Palazzetti e un tour di nove date negli stadi già annunciato per il 2025. Che i Pinguini Tattici Nucleari siano il vero fenomeno pop di questi ultimi anni è ormai quasi scontato dirlo, una macchina pop inarrestabile, che colleziona numeri importanti negli streaming, ma soprattutto nelle persone che vanno a vederli in concerto, riempendo ogni ordine di posto anche esibendosi, praticamente, ogni anno. E poi la band ottiene complimenti continui dai colleghi. Insomma, sembra quasi inarrestabile, eppure non si ha mai la sensazione che zanotti e compagni perdano il contatto con la terra: parlando con Fanpage alla fine della seconda tappa napoletana il cantante sorride e attribuisce questo pragmatismo al loro essere bergamaschi e a ciò che gli ha sempre detto il padre, muratore, ma parla anche delle aspettative che gli piovono addosso, del Sanremo di Carlo Conti, del loro pubblico, e anche della Palestina a cui dedicano uno spazio durante i concerti, ispirandosi agli Area.
Siamo quasi alla fine del tour, come va?
Siamo alla ventisettesima data, tipo, in mese e mezzo, e questa cosa è di una bellezza incredibile, su e giù per l'Italia e su e giù per il palco, è stato molto bello, ma è stata anche la prova più grande della mia vita, nel senso che cambia il bilanciamento, anche solo avere un raffreddore ti può cambiare il mondo, in un tour del genere.
Il live dei PTN è diventato uno standard, l'altro giorno parlavo con Max Pezzali che lo prendeva come esempio sia per lo spettacolo che per il rapporto col pubblico. Siete consapevoli di averlo reso quasi un termine di paragone?
Innanzitutto non può che onorarmi tutto quello che hai detto, anche quello che ha detto Max, ma ho visto che pure Cattelan, ha fatto un'intervista in cui gli facevano vedere alcune copertine di vecchi album e lui le ha indovinate quasi tutte, ce n'era uno, tranne una di un nostro vecchio album, al che l'intervistatore per aiutarlo gli ha suggerito: "È una band, sono molto bravi live" e lui ha detto: "I Pinguini?" e io mi sono chiesto: "Ma come come cazzo è successa ‘sta cosa?". Cioè, da una parte c'è l'amare il live, dall'altra c'è il venire riconosciuti in qualche modo dall'intellighenzia o dalla gente anche comune, normale. Noi partiamo da un presupposto imprescindibile, ovvero che quello che trasmettiamo a livello di musica e di testi è che non devi essere un supereroe per fare arte, per fare musica, ma che può partire da tutti. Lo diceva persino De Andrè, che era un supereroe secondo me, e facciamo nostra la sua lezione, quella dei maestri che dicevano che anche dopo una giornata di lavoro uno può tornare a casa e scrivere una canzone.
Come è successo a voi?
Sì, noi siamo partiti così, lavorando e scrivendo canzoni la sera, poi con il tempo è andata bene, banalmente c'è stato un riscontro, ma nel live cerchiamo ancora di portare quell'idea. Anche perché nel pubblico ci sono tanti musicisti e puoi trasmettergli l'idea che è possibile farcela, ma non tipo American Dream, in senso capitalistico, della ricerca della felicità, per cui solo uno ce la fa se si impegna davvero e si sacrifica davvero. No, piuttosto con l'idea che anche soltanto sei persone insieme valgono più di una perché ci sono diverse sfaccettature, diverse idee. Ecco, noi siamo più per il modello band e chiaramente quando si è in tanti sul palco lo step successivo è dire: "Ma perché solo in 6? Facciamolo con 10.000".
Ci si fa mai l'abitudine a questa cosa, sia della del pubblico che viene da te, sia dell'essere ormai riconosciuti come la più importante pop band italiana contemporanea per qualità, numeri, ritorno, appezzamento, critica?
Mah, io penso che l'abitudine sia nemica dell'arte, poi io non so neanche se noi siamo artisti o intrattenitori o quello che siamo, non ne ho idea. Dall'altra parte, però, penso che adagiarsi sull'abitudine sia il modo migliore per crollare, quindi noi cerchiamo di non pensarci troppo, di vivere anche nel nostro ecosistema, a stretto contatto con il pubblico. Chiaramente, senti un po' il peso dell'aspettativa.
Ovvero?
Torniamo a quello che hanno detto tanti artisti prima di me, negli ultimi mesi, che hanno anche provato sulla propria pelle il peso dell'aspettativa nell'industria discografica, e quello c'è anche dal punto di vista dei live: sui numeri, sui sold out, ecco questa spinta è il secondo nemico, nella misura in cui i numeri ci sono, certo, ma noi non dobbiamo pensarci come numeri, gli esseri umani sono qualcosa di completamente diverso, non siamo matematici, siamo anche matematici, ma siamo anche qualcosa di diverso, quindi, chiaramente, quando arriverà una decrescita, sarà una decrescita felice, nel senso che abbiamo dimostrato in questi anni di poter fare questa cosa. Io sono molto soddisfatto per quello che mi riguarda, poi vedremo il futuro cosa ci riserverà. Detto ciò c'è ancora tanta strada da fare per entrare davvero nella storia della musica, ce ne sono ancora di passi, quindi aspettiamo e vediamo.
La costruzione della vostra carriera non è nata da un picco improvviso, da una viralità su TikTok o un talent, ma è stata una crescita graduale che vi ha permesso anche di stare coi piedi per terra, no? C'è stato un momento in cui vi siete detti di volare più bassi?
Ce ne sono stati diversi, io ho la fortuna di essere figlio di un muratore e quindi di costruzioni non dico che me ne intendo, perché se ne intende lui, però ne ho sentito parlare per tutta la vita e se c'è un detto che mio padre tira fuori a ogni cena e a ogni incontro di famiglia è che una casa non si inizia a costruire dal tetto. E per questo intende che il tetto o altre parti fondamentali della casa, ma che che vengono dopo, come può essere il successo nella costruzione di una carriera, vengono solo se prima sono state messe le fondamenta giuste e sarà per questo pragmatismo bergamasco che negli anni abbiamo saputo assaporare al meglio ogni piccolo momento, ogni piccolo mattone.
Ricordi qualche prima volta, in particolare?
Mi ricordo benissimo la prima volta in cui mi hanno fermato in strada per una foto, per esempio, o ricordo benissimo il Primo maggio, con la pioggia, al pomeriggio, quando ancora le persone non hanno acceso la televisione, però per noi era tantissimo, mi ricordo bene il primo sold out in un localino di qualche centinaio di persone, forse 200-300 persone, a Bologna.
Quanto è importante questa memoria delle prime volte?
Capita che una persona, quando fa tanta strada, possa dimenticarsi del barettino visto centinaia di chilometri prima in cui ha bevuto il caffè. Noi cerchiamo di non dimenticarcene, c'è anche da dire che essere in sei aiuta, perché credi nelle connessioni con ogni cosa, invece essere da solo, purtroppo, oltre a portare a divertirti di meno, rischi anche di dimenticarti di più perché la solitudine rende tutto un po' più grigio e ti fa dimenticare delle cose. Poi, in realtà, noi non siamo solo in sei, perché ci sono Gianrico, il nostro manager, ci sono Nina e Alice (le ufficio stampa, ndr) e un sacco di persone che ti consentono di assaporare tutto al meglio.
Ultimamente si parla molto di canzoni e politica. Voi fate una cosa molto semplice ma molto efficace: in un mondo in cui la cosa più forte che si riesce a dire è "Abbasso la guerra" o "Viva la pace" tipo finale di Miss Italia, voi fate cacciare le chiavi – simbolo di casa – al pubblico, gliele fate "suonare" ed esprimete solidarietà al popolo palestinese leggendo una poesia di Mahmoud Darwish. Quindi è possibile esprimere un pensiero politico che è con qualcuno e non per forza contro qualcuno?
Quel momento a cui ti riferisci, ci lega in qualche modo agli Area – una band che amiamo alla follia – perché abbiamo preso una forte ispirazione da una cosa che facevano negli anni 70, in un contesto completamente diverso, ma sempre riferito al tema di Israele-Palestina: facevano tirare fuori le chiavi e lo facevano come se fosse pioggia. Questa cosa ci ha colpito talmente tanto che abbiamo voluto riproporla anche per far capire come le cose, sebbene in un contesto completamente diverso, di fatto siano rimaste le stesse, cioè il conflitto c'è ancora. Tu facevi riferimento a questa dialettica da Miss Italia, dell'abbasso la guerra, al di là del fatto che ormai anche solo dire "abbasso la guerra" a volte sembra che pure quello che non vada bene, cioè non si capisce più cosa va bene dire o meno, ma il discorso è che su Miss Italia ti rilancio con questo gioco di parole che è I miss Italia (Mi manca l'Italia, ndr), nel senso che un tempo mi sembra di percepire non dico che ci si schierava, perché magari se lo fai su tanti temi rischi di perdere l'equilibrio, ma anche solo dare la propria opinione, un proprio spunto, quello che un artista dovrebbe fare. Anche perché, come dico sempre, se la politica si occupa di arte perché l'arte non deve occuparsi anche un po' di politica? Io posso avere le mie idee, posso metterle nelle canzoni e anche in una presentazione di una canzone: in quel punto della scaletta parliamo di casa nostra, di Bergamo, ed è così bello sentire anche Napoli cantare "Sei bella come Bergamo".
Non sempre una cosa facilissima…
Eppure questa cosa ci unisce, quindi perché questo sentimento universalista non deve essere portato pure fuori dai confini italiani, anche in situazioni difficili come può essere quella palestinese? Noi ci limitiamo semplicemente a dire un qualcosa di banalissimo, ovvero che attaccare dei convogli che portano cibo è assurdo e non siamo gli unici a dirlo, ci sono anche enti sovranazionali che si dichiarano allo stesso modo, quindi banalmente pensiamo che trasmettere qualche idea, qualche concetto su un palco, possa aiutare la gente non tanto a pensarla come noi, ci mancherebbe, ma quantomeno a discuterne attorno a un tavolo e a far partire un confronto.
Avete mai ricevuto critiche?
Certo, in alcuni concerti ci sono anche state delle persone che non erano d'accordo e va benissimo, ci mancherebbe, però noi in quanto persone e in quanto artisti che vorrebbero essere il più veri possibile, dobbiamo per forza dire la nostra su qualche tema che ci sta a cuore.
Come avete vissuto il fatto che la prima data di Napoli sia concisa con la scossa più forte gli ultimi 40 anni a Pozzuoli? L'avete sentita, vi siete spaventati?
Guarda, non ce ne siamo resi conto perché sul palco ci sono una quantità enorme di vibrazioni, abbiamo i Subwoofer, un impianto enorme che quasi non riuscivamo a fare stare nel Palapartenope e quindi figurati, sentiamo una quantità di suoni, vibrazioni e inoltre abbiamo delle cuffie che entrano a calco, gli in-ear, che ci isolano completamente, quindi noi sentiamo da una parte le vibrazioni con il corpo, costanti, e dall'altra siamo isolati anche solo da quello che il pubblico dice, se non in determinati momenti, come durante le presentazioni delle canzoni in cui ci si aprono dei microfoni fuori, quindi isolati completamente com'eravamo non ci siamo resi conto.
E immagino neanche quella prima del concerto, no?
Guarda, essendo nel palazzetto all'incirca dalle 16 sentiamo il fonico che prova lo stesso sistema audio che abbiamo quando siamo sul palco, di conseguenza non ci siamo neanche resi conto neanche di quelle, eravamo a giocare alla PlayStation nel backstage. Poi chiaramente dopo il concerto abbiamo letto e ci siamo anche preoccupati.
È stato annunciato Carlo Conti a Sanremo, non ti chiedo del Festival, ovviamente, però musicalmente, per quello che è diventato oggi, hai un'idea su questa cosa?
Io ho delle mie considerazioni sul festival, penso che sia lo specchio di quello che è l'Italia e non lo dico per semplice pour parler, ma lo dico perché lo specchio di qualcosa riflette, e se l'Italia è messa bene è messa male anche il Festival di Sanremo riflette un'Italia messa bene o messa male, quantomeno dal punto di vista della produzione artistico-musicale, che però è anch'essa rappresentativa del paese. Quindi ti dico, non so cosa succederà con Carlo Conti, so che ha fatto dei festival che mi sono piaciuti molto, soprattutto quello del 2017 con la vittoria di Gabbani. Ricordo quello del 15 per la vittoria del Volo, che comunque è un fenomeno internazionale che ha avuto un suo acme in quel momento, però mi ricordo in particolar modo quello del 17.
Come mai?
Ero a Londra a studiare, ascoltavo solo musica estera, soprattutto inglese, però con quel festival mi riavvicinai molto alla musica italiana e di fatto, da lì in avanti, anche i Pinguini ritornarono a essere più italiani nella loro matrice musicale: mi piacque molto Gabbani, per esempio, quella fu una hit europea e quando la gente parla di Amadeus, che è stato un grande riformatore, bisogna ricordare che ha avuto degli antesignani perché Conti e Baglioni, di fatto, hanno portato a quello che poi è stato Amadeus. Ci si ricorda dei Maneskin, ma, ragazzi, Conti ha fatto Il volo e poi Gabbani e quell'anno Occidentali's Karma andò benissimo in Europa. Io ricordo gli editori che mi parlavano proprio del fatto che fu un successo clamoroso, quindi quel percorso di Amadeus secondo me fu iniziato da Conti. Detto ciò, io non ho idea di cosa aspettarmi perché Sanremo è sempre qualcosa di incognito, però dall'altra penso che abbia le spalle abbastanza larghe, che sia una persona che di musica se ne intende, poi vedremo cosa cosa ci dirà il futuro.
Dopo il concerto dei Pinguini sono andato a riascoltarmi i Mumford & Sons, gruppo che ho ascoltato molto in passato e non riascoltavo da un po'…
Io invece li ascolto ancora tutt'ora, ti dico una cosa, sai che la reference principale per il momento in cui esco da dietro agli spettatori è proprio il concetto dei Mumford & Sons, mi pare il Tour del 2015/16/17, in cui il cantante compariva a caso in un punto del palazzetto, suonando la chitarra. Sono una band che amiamo tutti, Sigh No More è l'album che amo di più e ha fatto parte della mia adolescenza.
Cosa succederà, invece, negli stadi 2025?
Ci stiamo già pensando a come costruire lo show. Hai presente quella cosa di cui parlavi prima, ovvero avvicinare il pubblico, farlo negli stadi è molto più difficile, per questo devi iniziare a pensarci mesi prima, perché muovere qualsiasi cosa in uno stadio, anche solo per andare nel pubblico, è difficile, però cercheremo di abbattere le barriere anche lì.
Le date dell'HELLO WORLD – TOUR STADI 2025
- 07 giugno 2025 – Reggio Emilia – RCF Arena (Campovolo)
- 10 -11 giugno 2025 – Milano – STADIO SAN SIRO
- 14 giugno 2025 – Treviso – ARENA DELLA MARCA
- 17 giugno 2025 – Torino – STADIO OLIMPICO GRANDE TORINO
- 21 giugno 2025 – Ancona – STADIO DEL CONERO
- 25 giugno 2025 – Firenze – VISARNO ARENA
- 28 giugno 2025 – Napoli – STADIO DIEGO ARMANDO MARADONA
- 04 luglio 2025 – Roma – STADIO OLIMPICO