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Perché Tutankhamon è così rilevante ancora oggi: “La scoperta della sua tomba è la più importante dell’Archeologia”

L’egittologo Francesco Tiradritti, direttore della missione archeologica italiana a Luxor, spiega, sulla base delle note di scavo di Carter, la funzione delle quattro vaschette di argilla ritrovate nella tomba del faraone. Sarebbero supporti per emblemi in legno dorato con il significato di “risvegliarsi”, posti agli angoli della camera funeraria.
A cura di Claudia Procentese
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“I see wonderful things”, vedo cose meravigliose. Che l’abbia pronunciata oppure no, la frase di Howard Carter di fronte alla seconda porta sigillata di accesso dell’ultima dimora del faraone Tutankhamon è passata alla storia. Era il pomeriggio del 26 novembre 1922, a venti giorni dalla scoperta del primo dei sedici gradini di accesso alla tomba, quando un soffio di aria calda fece tremare la fiamma della candela tenuta in mano dall’archeologo inglese, mentre scrutava nel buio dal piccolo foro praticato nel muro. Un attimo che valse un’eternità, come se non fossero trascorsi più di tremila anni da quando quel corridoio era stato attraversato. Da allora le ipotesi più o meno sensazionali, le spiegazioni ai misteri, le scoperte vere o presunte sul sovrano della XVIII dinastia egizia si sono susseguite al ritmo di un lancio di agenzia o di uno studio scientifico, fino all’ultimo di un paio di settimane fa che svelerebbe la reale funzione di oggetti di fattura grezza trovati in un angolo della camera funeraria nella famosa tomba KV62, all’interno della Valle dei Re in Egitto.

Tuttavia, sulla tesi nutre dubbi l’egittologo italiano Francesco Tiradritti, oggi professore di Egittologia e Archeologia e arte copta presso l’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti, ma prima docente anche a Napoli, Foggia ed Enna, oltre che a Memphis (Tennessee) e ricercatore presso il Getty Research Institute di Los Angeles. A capo della missione archeologica italiana a Luxor, ha diretto nel 1995 le commissioni per lo studio del piano di fattibilità del Grand Egyptian Museum di Giza e nel 2003 per il progetto di rinnovamento del museo egizio di Torino. Nel 2022 ha pubblicato il suo primo romanzo "Il sangue del falco, Tutankhamon e il destino del regno". Animato dal vivace spirito toscano e con lo sguardo disincantato di chi ha fatto gavetta ed esperienza sul campo in terra africana, Tiradritti fa una disanima a trecentosessanta gradi sulla vicenda Tutankhamon, ieri e oggi.

Professore, nell’ultimo studio pubblicato su The Journal of Egyptian Archaeology Nicholas Brown, post-dottorando in Egittologia presso l’Università di Yale, ipotizza che le vaschette di argilla e i bastoni di legno, trovati nella tomba di Tutankhamon vicino al sarcofago, fossero usati durante un rito funerario di “risveglio” associato ad Osiride. Cosa pensa di questa interpretazione?

La rivista è una delle più longeve e autorevoli di egittologia, ma dubito che oggetti come vaschette larghe 7,5 x 4 centimetri e alte poco più di un centimetro potessero servire per le libagioni. Parliamo del contenuto di uno shottino. Se si fosse davvero trattato di un rituale che implicava la libagione, si sarebbero utilizzate ciotole e non certo di argilla cruda, ma comunque in genere gli egizi nelle offerte sacrificali adoperavano vasellame adatto. Poi questi bastoni dorati è più corretto definirli emblemi.

Vuol dire che i cosiddetti bastoni sono, in realtà, simboli?

Sì, imitano la forma del geroglifico “res”, che ha il significato di “svegliarsi”, facevano parte della cerimonia di augurio al faraone di “alzarsi” un giorno. In tutti i testi funerari l’espressione “res” ricorre spesso, è legata al risveglio del defunto. I quattro oggetti rettangolari con una depressione centrale, impropriamente definite “vaschette”, sono stati trovati nell’angolo sud-occidentale della camera funeraria di Tutankhamon, proprio accanto a questi quattro emblemi di legno, alti precisamente un metro e 11 centimetri.

Quindi la funzione di emblemi e vaschette è complementare?

Esatto, la base degli emblemi, che è leggermente svasata, appare corrispondere alla depressione delle vaschette. Tale cavità avrebbe perciò fornito una migliore base di supporto a strumenti che, con molta probabilità, dovevano essere appoggiati a un angolo o a un lato della camera funeraria o dei santuari che racchiudono i sarcofagi. Senza una base sarebbero caduti in continuazione.

Resta perciò scettico su quest’ultimo studio secondo cui Tutankhamon avrebbe avuto una sepoltura diversa da quella degli altri faraoni?

Sì, perché sarebbe la prima attestazione di un recipiente per bere quadrato nell’Egitto antico. Ipotesi poco convincente. D’altronde, che le vaschette sostenessero gli emblemi lo si è sempre pensato.

Cioè?

È scritto già nelle note di scavo di Howard Carter che scoprì la tomba nel 1922 e segnò ogni cosa. Nella scheda da lui compilata è scritto: sul pavimento piccoli trogoli di argilla probabilmente per contenere gli emblemi di legno.

Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)
Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)

Siamo partiti dall’ultimo annuncio di scoperta clamorosa, tuttavia Tutankhamon e la sua tomba sono da sempre oggetto quasi maniacale di congetture. Quella delle camere segrete venne smentita nel 2018 dai ricercatori del Politecnico di Torino che attraverso l’uso di georadar, per non perforare le pareti, dimostrarono l’infondatezza della suggestiva teoria.

Non era necessario ricorrere ad alcuna apparecchiatura scientifica, perché simili camere nascoste le vedi solo nei film di Hollywood (sorride, ndr).

Ci spieghi meglio.

I ricercatori italiani vennero coinvolti dal ministero egiziano del Turismo e delle Antichità, per mettere fine a una diatriba tra archeologi, nata nel 2015 quando l’egittologo britannico Nicholas Reeves aveva ipotizzato che dietro le pareti nord e ovest della camera funeraria del faraone ci fossero rispettivamente anche quella mai trovata della regina Nefertiti, matrigna di Tutankhamon, e un’altra destinata a custodire ulteriori tesori del già ricchissimo corredo del sovrano. Reeves avrebbe notato anomalie, interpretandole come porte murate e spazi vuoti, guardando le foto ad alta risoluzione scattate dalla Factum Arte, un laboratorio di Madrid specializzato in scansioni tridimensionali e autore di una replica in grandezza naturale del sepolcro di Tutankhamon, costruita per dirottarvi il turismo e oggi visitabile vicino la Carter’s house, all’imbocco della Valle dei re. La verità è che né le ipotesi di Reeves né le analisi condotte dal Politecnico di Torino possono essere considerati scientifiche.

Perché?

Utilizzare un’apparecchiatura elettrica con onde elettromagnetiche non significa che si sta seguendo un metodo scientifico, il quale si basa sul rilevamento di dati e sulla conferma dei risultati attraverso ulteriori verifiche effettuate sempre nelle stesse condizioni e con la medesima attrezzatura: se due misurazioni convergono, ne è comunque necessaria una terza per raggiungere una certezza scientifica. E invece i dati alla fine sono contrastanti. Dopo Reeves, anche un ingegnere giapponese (Hirokatsu Watanabe, ndr) sostenne di aver trovato passaggi sconosciuti e cavità celate alla vista oltre i muri decorati. La sua teoria fu, però, successivamente confutata da esperti del National Geographic. Una controversia con i contorni da soap opera.

Ricorda un po’ l’archeo-fantascienza che tira in ballo l’origine extraterrestre della lama – forgiata con il metallo di un meteorite – del pugnale sepolto accanto alla mummia di Tutankhamon. Ma allora perché non si segue un metodo scientifico?

Perché fa più effetto e più clamore dire di aver scoperto qualcosa, di aver risolto l’enigma al primo colpo. Come nel caso del dna delle mummie, che ha vivacizzato ipotesi e comunicati stampa. Peccato, però, che, dopo tremila anni, il dna è irrecuperabile a causa del clima caldo in Egitto, dove le alte temperature accelerano il processo di degrado. Senza dimenticare, inoltre, che il materiale genetico di una mummia si contamina con altro dna, proveniente ad esempio dalle mani degli archeologi che l’hanno scoperta. La tomba aperta non è un ambiente sterile, incontaminato e il dna umano moderno è indistinguibile da quello antico. Stesso discorso vale per la presunta scoperta di tracce di marijuana.

C’è presenza di marijuana nelle tombe?

Sì, sono ne state trovate tracce sulle mummie. È più plausibile che gli egizi andassero a recuperarla in Marocco o in Afghanistan, poiché la pianta in Egitto non cresceva, oppure che chi ha manipolato la mummia ne facesse uso?

Questo significa che non si presta la dovuta attenzione alla storia della mummia post-esumazione?

Le faccio l’esempio del Nascondiglio reale, meglio noto come “Royal cache”, ubicato nell’area di Deir el-Bahri, sulla sponda occidentale del Nilo, e identificato nel 1881. Fu l’ultimo rifugio sicuro per preservare dal saccheggio oltre cinquanta mummie di notabili e faraoni del Nuovo Regno. Dopo la loro scoperta, le mummie prima furono portate al museo egizio di Bulaq, poi trasferite nella nuova sede del museo del Cairo, poi nel mausoleo di Sa’d Zaghlul, poi di nuovo nel museo egizio del Cairo e ora sono visibili in quello nazionale della civiltà egizia. Insomma, sono state sballottate a destra e a sinistra, per poi essere sottoposte quindici anni fa a un esame del dna che ha determinato legami di parentela tra molte di loro. Ma quello che è stato letto non è più il dna delle mummie, è invece verosimilmente il dna di chi le ha manipolate. È inevitabile che, confrontando la sequenza dei genomi, da una mummia all’altra si siano trovate similitudini.

Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)
Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)

Insomma, è come il mistero sulla morte di Tutankhamon. Perì in giovane età, appena diciottenne, di accidente naturale, per una caduta dalla biga, una patologia congenita, malaria o colpo violento alla testa?

Tutte ipotesi abbastanza campate in aria.

Non possiamo avere certezze?

Come è morto davvero Tutankhamon non si sa oggi e non si saprà domani. Per il semplice motivo che, quando Carter sollevò il coperchio dell’ultimo sarcofago, trovandosi faccia a faccia con la meravigliosa maschera d’oro, si rese conto che la mummia era completamente immersa nel catrame, usato dagli egizi per conservarla meglio, agendo da impermeabilizzante, in quanto nello stato anaerobico i tessuti si conservano più a lungo. A questo punto, Carter, per tirarla fuori, avvolse il sarcofago in stracci bagnati e lo pose su fornelletti Bunsen, pensando così di sciogliere il catrame. Il tentativo fallì lasciando però la mummia annerita dalla cottura. Per permettere l’estrazione Carter la segò allora in quattro parti. Ecco perché qualsiasi osservazione fatta oggi sulla mummia di Tutankhamon è fuorviata da tutta questa manipolazione.

Quindi è difficile trarre considerazioni dallo studio della mummia di Tutankhamon?

Quasi impossibile, se aggiungiamo pure gli errori commessi dagli antichi imbalsamatori. In sostanza, anche questa volta non abbiamo prove scientifiche. E su Tutankhamon si continua a dire tutto e il contrario di tutto. Alcune teorie fanno anche un po’ sorridere.

Quali?

La ricostruzione virtuale del viso del faraone con i denti sporgenti perché la mummia ha le labbra ritirate, fatto inevitabile che capita a tutti defunti.

Tutankhamon aveva i dentoni, ma era zoppo?

Così lo descrive un documentario della BBC. L’immagine sarebbe stata ricavata da scansioni computerizzate che restituirebbero un ritratto inedito del sovrano con un piede storto e una gamba più corta, che gli provocavano un’andatura claudicante e lo costringevano a camminare aiutato da un bastone. Ma gamba corta e piede deforme potrebbero essere dovuti a un assemblaggio sbagliato di Carter, mentre la presenza dei numerosi bastoni è collegata al fatto che quest’oggetto nell’antico Egitto era un simbolo di autorità. I bastoni si trovano anche nelle tombe di capi operai, sindaci, architetti. Ancora oggi, nel cantiere di scavo, il “rais” si distingue dai subalterni perché è l’unico che possiede il bastone. Il fatto, poi, che in alcune rappresentazioni Tutankhamon tende l’arco stando seduto su uno sgabello non significa che non potesse deambulare. Tirare l’arco da seduti è più difficile che stando in piedi o in ginocchio, poiché occorrono gambe muscolose, forza ed equilibrio.

Ma chi era Tutankhamon?

Dodicesimo faraone della XVIII dinastia del Nuovo Regno, vissuto nel XIV secolo a.C. Figlio quasi sicuramente di Akhenaton e forse della concubina Kiya. Per una volta è la madre a essere incerta (sorride, ndr).

Aveva nell’antico Egitto la stessa importanza che ha oggi?

Lui no, è il momento storico in cui ha regnato ad essere importante.

In che senso?

Il suo regno è durato una decina di anni, quindi poco, ma in quel lasso di tempo ha avuto svolgimento quel processo di restaurazione dei vecchi culti, abrogati dal padre e predecessore Akhenaton in nome dell’enoteismo. Quando la teorizzazione di questa controriforma fu trascritta sul granito rosso di una celeberrima stele oggi al Cairo, Tutankhamon aveva quattordici anni. Un po’ pochi per elaborare complesse ideologie che devono essere perciò attribuite a personaggi del calibro di Ay e del generale Horemheb, che diventeranno sovrani a loro volta. Tutankhamon era un ragazzino manipolato dai cortigiani, da qui il soprannome di faraone bambino. Prima della scoperta della tomba, nei libri di storia veniva liquidato in mezzo paragrafo.

In cosa consisteva questa controriforma?

Tutankhamon ripristinò la religione tradizionale del dio Amon e riportò la capitale a Luxor. Alla nascita aveva ricevuto il nome di Tutankhaton, “immagine vivente di Aton”, e successivamente diventò Tutankhamon, “immagine vivente di Amon”. Ritornando alla domanda di prima sulla sua importanza, si può affermare quasi che sia diventato famoso solo perché è morto. Sepolto in fretta e furia in un piccolo sepolcro, coperto dai detriti di scavo della tomba di Ramses VI e rimasto nascosto fino a quando Howard Carter non l’ha ritrovato.

Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)
Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)

Davvero la scoperta della sua tomba nel 1922 può essere considerata la più sensazionale dell’archeologia e il più notevole ritrovamento del XX secolo?

È in assoluto la più grande scoperta dell’archeologia.

Più della scoperta di Pompei?

Pompei è una scoperta per così dire diffusa, lenta, bisogna scavare molti ettari di terreno per trovare. È ovvio che Pompei dia molte più informazioni e sia più importante dal punto di vista storico rispetto alla tomba di Tutankhamon. Ma quest’ultima ha il sapore della vera scoperta, tutta concentrata nello spazio e nel tempo.

Fu dovuta al caso o frutto di ricerche?

Ogni scoperta viene mitizzata ‘a posteriori’. In realtà, se Carter non avesse trovato qualcosa durante la missione del 1922, Lord Carnarvon gli avrebbe tolto i finanziamenti. La Valle dei Re era già stata scavata in modo sistematico. Lui, forse per intuizione o magari soltanto per disperazione, si è trovato a scavare in un punto dove nessuno aveva ancora scavato e nessuno pensava che ci fosse qualcosa.

Quindi Carter è stato bravo?

La sua bravura non è tanto nella scoperta, perché in un certo qual modo fu costretto a scavare lì, visto che gli altri avevano già scavato tutto intorno. L’abilità di Carter sta, invece, nel non essere entrato nella tomba e averla svuotata in un paio di notti, come si era soliti fare. Lui impiegò dieci anni per sgomberarla, documentando ogni singolo oggetto, numerandolo, disegnandolo, fotografandolo. Insomma, siamo di fronte al primo vero scavo scientifico in Egitto. I cosiddetti trogoli, ad esempio, sono indicati con il numero 198A, gli emblemi a forma “res” con i numeri 196, 199, 200 e 201.

In quale contesto storico e politico avviene la scoperta?

Siamo alla fine della prima guerra mondiale e in pieno colonialismo, che era, ricordiamolo, un modo di vivere e pensare ampiamente accettato. L’Egitto dava la concessione di scavo a chi aveva i soldi.

Il “caso” Tutankhamon è servito per l’affermazione di un’identità nazionale in un Egitto, appena liberato dall’occupazione britannica, oppure questa scoperta ha parlato più all’Occidente che all’Oriente con tutti i successivi risvolti della tut-mania, a partire dal film americano The Mummy del 1932?

Nel 2011 la street art rivoluzionaria ha trasformato la maschera di Tutankhamon in un simbolo della primavera araba, ma all’epoca di Carter la scoperta della tomba è rimasta un evento mediatico che ha catturato l’attenzione soprattutto dell’Occidente. L’Egitto ottiene l’indipendenza nel gennaio del 1922, ma l’ingerenza inglese è ancora pervasiva. Il “faraonismo”, una sorta di nazionalismo territoriale fondato sul mito dell’antica civiltà egizia, è ancora in fase embrionale. Inizia a prendere piede quando, nel 1924, Sa’d Zaghlul, leader dei nazionalisti egiziani, diventa primo ministro, apre la tomba di Tutankhamon al pubblico egiziano e fa emettere un decreto ‘ad hoc’ per impedire l’esportazione dei tesori che in essa erano contenuti e per farli rimanere in Egitto. Ma il percorso è all’inizio e sarà complesso.

Anche la maledizione è una fake news?

Fu inventata dai giornalisti. Howard Carter muore diciassette anni dopo la scoperta, la figlia di Lord Carnarvon muore ottantenne nel 1980, il medico che eseguì la prima autopsia muore nel 1969 all’età di ottantasette anni. La vera maledizione per Carter furono le dispute con il governo egiziano e non solo.

Ovvero?

La protesta contro l’esclusiva delle notizie data da Lord Carnarvon al quotidiano Times. L’indagine aperta dagli egiziani per assicurarsi che nessun reperto lasciasse l’Egitto. L’accusa rivolta a Carter di trattare la tomba come proprietà privata riguardo le visite e, per concludere, il mancato rinnovo della concessione di scavo.

Ma Carter può essere considerato un profanatore? L’autopsia alla mummia di Tutankhamon fu spettacolarizzazione o ricerca scientifica?

Era la prassi, lui racconta tutto nei resoconti, cento anni fa non c’era la sensibilità di oggi. Anzi Carter ha mostrato accortezza con la mummia di Tutankhamon, perché era quella di un sovrano, mummie meno titolate venivano maldestramente smembrate. Sotto questo punto di vista, noi egittologi facciamo un lavoraccio, sempre a contatto con cadaveri più o meno a pezzi. Cerchiamo di averne il massimo rispetto nel corso degli scavi.

Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)
Tomba di Tutankhamon (ph Francesco Tiradritti)

E nei musei?

Uno dei grandi problemi etici attuali è proprio l’esposizione delle mummie nei musei. Ci sono ragioni didattiche e ci sono ragioni economiche. La morte attira sempre. Non c’è mostra egizia dove non venga richiesto di infilarci almeno un sarcofago. È un grande dilemma e, a mio avviso, le mummie possono essere esposte cercando però di non indulgere nel macabro e nel pornografico. Quando ero curatore della raccolta milanese pretesi che la mummia maschile, che era stata sbendata ed era esposta con i genitali ben visibili, fosse coperta con un panno di lino fino al collo. È un discorso assai delicato che mi ha portato a pretendere di farmi incenerire. Mi permetta la battuta per alleggerirlo questo discorso.

La tomba di Tutankhamon, già oggetto di restauri, è in sofferenza? È vero che esiste il rischio di chiuderla al pubblico a causa del flusso turistico di massa?

La sofferenza della tomba è iniziata subito. Alcuni segni sono antichi, come la presenza di macchioline marroni di origine microbica sulle pareti, favorite dall’ambiente caldo-umido e originatesi quando la tomba è stata sigillata. Se il numero dei visitatori dell’ipogeo si mantenesse costante non ci dovrebbero essere gravi pericoli di degrado, mentre la chiusura improvvisa può provocare un repentino abbassamento dell’umidità che fa male quanto un innalzamento rapido e inaspettato. Si pensi che durante la guerra del Golfo le tombe della Valle dei Re furono chiuse perché mancavano i turisti e la pittura di alcuni soffitti, seccandosi, si sfogliò. Non è chiudendo che si salva dal deterioramento.

Lei è anche scrittore, il suo primo romanzo su Tutankhamon e uscito tre anni fa. Romanzare non è un po’ tradire l’archeologia che è scienza?

Le dirò, scrivendolo mi sono accorto che, per assurdo, bisogna essere più precisi come romanzieri che come storici, perché in un romanzo tutto deve tornare.

Ovvero ogni cosa deve stare al suo posto?

Se il personaggio Tutankhamon deve morire, non lo puoi far morire in quattro modi diversi, come farebbe un egittologo seguendo le sue ipotesi. E la morte deve essere verosimile o, meglio, devi scegliere quella che deriva dall’intero racconto.

Lungi da me lo spoilerare, ma allora come muore il “suo” Tutankhamon?

Il dato archeologico non dà sicurezza, non ci sono tracce e io perciò ho lasciato questa incertezza.

Per concludere, paradossalmente, il romanzo le ha permesso di ricostruire fedelmente la storia di Tutankhamon?

Non permesso, ma costretto. Mi ha costretto a dare consequenzialità a tutta la storia. Una storia che ci stimola a fare i conti con il presente, passato e futuro, perché tutti e tre parte di un unico romanzo. Il nostro.

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