Perché Tullio Pironti è stato il Re Mida dell’editoria italiana
Con la morte di Tullio Pironti, Napoli e l'Italia hanno perso un titano della letteratura, un visionario in grado di introdurre in un paese ancora ancorato ad antichi tic e malcostumi dell'editoria una nicchia autrici e autori che, oggi, vengono percepiti a tutti gli effetti come delle icone pop intramontabili. In città tutti ricordano la sua posa plastica: osservava i passanti davanti alla sua libreria di Piazza Dante, sigaretta rigorosamente accesa, un ‘insana passione per gli scacchi e un'attitudine innata per la scoperta. Un editore coraggioso e tenace, Pironti, che grazie al suo talento per lo scouting è riuscito a guadagnarsi l'attenzione di editori dotati di più blasone e capitali, scoperchiando prima di loro il grande vaso di Pandora della letteratura americana.
Tullio Pironti e Breat Easton Ellis
Un traguardo che un piccolo editore indipendente ha potuto tagliare anche grazie all'ausilio di una figura di riferimento come Fernanda Pivano, diventata negli anni una sua carissima amica. In un'intervista concessa alla rivista letteraria Snot, Pironti ha raccontato di come abbia conquistato i diritti di pubblicazione di Meno di zero, il romanzo d'esordio di Breat Easton Ellis: all’epoca i diritti di alcuni libri venivano venduti attraverso delle aste telefoniche cui erano invitati un po’ tutti gli editori, con tanto di banditore che registrava le offerte; naturalmente, a maggior ragione per un piccolo libraio, era impossibile rimanere aggiornati su tutto ciò che veniva pubblicato oltreoceano ma, quando partecipavano colossi come Einaudi e Mondadori, nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di un affare.
La stagione del minimalismo
Non aveva mai letto Ellis in vita a sua ("Come facevo a conoscerlo? Aveva 17 anni"), ma ebbe l'ardire di cogliere un'opportunità irripetibile: chiacchierando con il banditore, Pironti scoprì che l'offerta di Mondadori ammontava a cinquanta milioni di lire, il tetto massimo oltre il quale non avrebbe potuto spingersi, dato che per sforare quella soglia avrebbe dovuto convocare il consiglio di amministrazione; così superò l'offerta di un solo milione, firmò l'accordo e acquisì i diritti di pubblicazione di uno degli scrittori americani più influenti degli ultimi trent'anni, aprendo le porte a una nuova stagione letteraria, quella del "minimalismo" (un termine impiegato da Fernanda Pivano – secondo alcuni in maniera un po' arbitraria e forzata – per indicare una corrente letteraria che, a sua detta, sarebbe stata accomunata da alcune peculiarità condivise, su tutte la voglia di raccontare delle storie ridotte all'osso e una specie di ossessione per l'economia della parola).
Don DeLillo, Carver, Tahar Ben Jelloun, Nagib Mahfuz
Nel 1987, grazie a un'imbeccata di Silvia Kramar, l'editore napoletano fu il primo a cogliere il potenziale di Don DeLillo, posizionando in un mercato editoriale in piena stasi un romanzo dirompente come Rumore Bianco, che solamente due anni prima aveva vinto il prestigioso National Book Award: un successo che, però, non riuscì a godersi a pieno, dato che il primo avvento italiano di DeLillo si risolverà in un fiasco e l'autore tornerà in auge soltanto dodici anni dopo, questa volta sotto le egida di Einaudi. A DeLillo seguì Raymond Carver, probabilmente l'autore americano che più di chiunque altro ha rivoluzionato l'arte del racconto e che successivamente fu ereditato e "mitizzato" da Minimum Fax, che gli costruì attorno un vero e proprio culto (oggi è anch'egli nelle mani di Einaudi). Ma la lista dei tesori scovati da Pironti è sconfinata, da Tahar Ben Jelloun a Nagib Mahfuz. Insomma: ieri Napoli e l'Italia non hanno perso soltanto un piccolo librario con la passione per il pugilato e un fiuto imprenditoriale fuori dal comune, ma il vero Re Mida dell'editoria italiana.