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Perché siamo tornati a parlare delle accuse di violenza contro Chris Brown e cosa c’entra Diddy

Nel 2022 la donna ha accusato Brown di averla violentata. Ora emergono nuovi dettagli secondo cui l’aggressione sarebbe avvenuta su uno yacht fuori dalla villa di Diddy a Miami.
A cura di Elena Betti
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Chris Brown e Sean Combs (Getty Images)
Chris Brown e Sean Combs (Getty Images)

Nuovi dettagli nella causa di violenza sessuale da 20 milioni di dollari intentata da una donna contro Chris Brown nel 2022. La donna, chiamata con il nome fittizio di Jane Doe, aveva denunciato il cantante, accusandolo di averla drogata e violentata. Se la denuncia è stata depositata due anni fa, ora la questione starebbe tornando in auge perché riportata all’interno del documentario Chris Brown: A History of Violence di Investigation Discovery, uscito la scorsa domenica negli Stati Uniti.

Il racconto dell’accusatrice

Secondo quanto riportato, la donna e Brown si sarebbero conosciuti nel 2020 a una festa su yacht ormeggiato di fronte alla villa di Miami di Sean Combs. In quell'occasione Brown le avrebbe portato un drink e poco dopo la donna si sarebbe sentita intontita. A quel punto il cantante l’avrebbe portata in una camera da letto della barca e l’avrebbe violentata. "Non riuscivo a muovermi e ho detto ‘No' e poi l'ho sentito. Non volevo, ma lui mi baciava per impedirmi di parlare… Ero così disgustata", afferma la donna in lacrime nel documentario. Dopo la presentazione della causa Brown ha negato di aver commesso ciò di cui veniva accusato. Nel marzo 2022 gli avvocati della donna l’avevano abbandonata e nell’agosto dello stesso anno la causa è stata respinta a causa della “mancata rappresentanza”. Successivamente Mitchell ha però deciso di assumere nuovamente la donna come cliente. "La mia cliente è stata sicuramente aggredita e le credo", ma non è chiaro se l'avvocato abbia intenzione di ripresentare la causa per conto dell'accusatrice.

Sean Combs e Chris Brown (Getty Images)
Sean Combs e Chris Brown (Getty Images)

La violenza avvenuta su uno yacht davanti alla villa di Sean Combs

I fatti risalirebbero al 2020 e sarebbero avvenuti a una festa su uno yacht fuori dalla villa di Sean Combs a Miami. Alla luce delle recenti gravi accuse a suo carico, il nome di Combs ha un forte impatto in questa vicenda. La donna però non sembra accusare Combs di aver preso parte alla violenza subita, nel documentario pare solo ricordare di averlo visto sullo yacht ma lo descrive come un uomo "davvero simpatico". Secondo l’avvocato della donna, Ariel Mitchell, che di recente ha scelto di rappresentare anche un'accusatrice di Diddy, "lo yacht era ormeggiato dietro la sua casa a Star Island, ma non sappiamo se fosse il proprietario o se lo avesse noleggiato". In questo caso, quindi, le accuse non avrebbero nulla a che fare con Combs che non sarebbe stato accusato di aver commesso alcun illecito.

Il giudice del caso Combs ha rifiutato la richiesta dei legali di imporre un ordine di bavaglio ai federali

Anche se non per una causa contro di lui, il nome di Diddy è finito comunque al centro della questione. Tutti ormai hanno gli occhi puntati su di lui dopo tutte le recenti accuse di violenza, stupro, favoreggiamento alla prostituzione e traffico sessuale. Il caso del rapper è sulla bocca di tutti e proprio per questo i suoi legali hanno chiesto al giudice che si occupa del caso di imporre un ordine di bavaglio per impedire che trapelino informazioni sul caso dai funzionari governativi ai media. La richiesta era arrivata in seguito all’accusa dei legali di Combs contro i federali che secondo loro avrebbero inviato ai media i filmati di sicurezza dell’hotel in cui aggrediva la ex fidanzata Cassie Ventura. Le accuse sono state respinte dopo che i federali hanno assicurato che “il governo non era in possesso del video prima della sua pubblicazione da parte della CNN”. Il giudice ha respinto la richiesta di bavaglio dei legali di Combs, ma ha comunque rimarcato che gli agenti federali, gli investigatori e il team del rapper devono seguire le leggi che vietano loro di far trapelare i procedimenti del gran giurì che possono interferire con un processo equo.

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