Perché non riusciamo toglierci dalla testa Sinceramente di Annalisa
Uno spettro si aggira sull’Italia: la fine dei ritornelli. Non è la prima volta che si teme l’estinzione del vecchio refrain: un momento dove la dinamica (detto facile, "il volume") raggiunge l’apice, dove la melodia e il testo entrano in sinergia con mosse sinuose ma essenziali, dove il significato della canzone viene sintetizzato e tutti noi all’ascolto siamo invitati a cantare in coro (del resto, gli anglofoni lo chiamano "chorus"). Dieci anni fa, anche il Guardian si poneva la domanda. Era il 2014, l’EDM proiettava la sua egemonia su tutto il pop. Oggi quella scena non è altrettanto influente, ma le sue lezioni sono entrate nel manuale di scrittura pop. Eppure, anche una canzone che non rispetta tutte le più antiche regole, come Sinceramente di Annalisa, dimostra che la situazione è meno netta di così. E che nel pop c’è molto più di quel che un trend potrebbe lasciar credere.
Sinceramente si apre in modo tutto sommato tradizionale, con un giro (prevalentemente) strumentale. Mentre l’orchestra e le tastiere ci presentano la trama armonica del brano, a mo’ di sommario, sentiamo anche un primo inciso melodico intonato senza parole da Annalisa e raddoppiato da un synth che squilla come una tromba ultraterrena. Con un’atmosfera (e una successione di note) che ricorda Il liberismo ha i giorni contati dei Baustelle, l’artista ci offre la già la carta d’identità della canzone: c’è un’aria vintage da fine anni ‘70, velluti (blu) e stanze fumose in penombra; presto scopriremo anche dal testo che questi riferimenti non sono del tutto casuali. Mentre a livello subliminale iniziamo ad accogliere un piano di lettura estetico e tematico, "Na nanà nanà nananana" si insinua molto semplicemente come il più essenziale e primitivo richiamo all’attenzione degli ascoltatori: "Preparatevi, perché questo motivetto lo risentirete molto presto".
La prima strofa è una lunga attesa: non lo sappiamo ancora, ma Annalisa sta tirando l’elastico che presto ci trasmetterà tutta l’energia potenziale del brano con una frustata. Ma intanto bisogna aspettare trenta secondi (un’eternità secondo i canoni musicali odierni) per arrivare anche solo al primo stimolo ritmico: uno schiocco di dita, nulla più. Come si era detto parlando di I p’ me, tu p’ te di Geolier, stiamo assistendo a un build-up, tecnica tipica delle produzioni EDM: gli elementi strumentali si accumulano; il canto si fa più intenso; gli elementi ritmici si addensano. Insomma, siamo quasi pronti al drop, il momento in cui una nuova base strumentale ci ripagherà di tutta quest’attesa.
Ma prima di arrivarci, consideriamo il testo che abbiamo appena ascoltato. In particolare una frase, appena prima del drop: "Mi sento scossa, ah" è una citazione esplicita e voluta a Acida dei Prozac+ (la stessa Annalisa l’ha confermato nel backstage del Festival al Corriere del Ticino). Questa citazione, come una chiave, apre il resto del testo a una questione: ci sono altre citazioni? E che funzione hanno? Un indizio è ancora nelle nostre orecchie, mentre inconsciamente stiamo frullando questi pensieri: "La vuoi la verità? Ma quale verità? Ti dico la sincera o quella più poetica?" ha cantato Annalisa un secondo fa. Attraverso lo scambio tra la voce narrante e un interlocutore, la canzone ci sta proponendo un quesito: possiamo considerare sincero il sentimento espresso dalla canzone, anche se si trova – appunto – dentro una canzone?
I tormentoni funzionano così: sono un loop logico infinito. Ad esempio: le "parole parole" che ipnotizzano un’esausta e frustrata Mina non sono forse anche quelle che lei stessa ci canta nell’orecchio? Cioè, la posta in gioco emotiva della canzone non si rispecchia in quello che sta accadendo a noi che ascoltiamo? Il tormentone, potremmo dire parafrasando il già citato libro di Peter Szendy, è una messa in scena che si rivela una mise en abyme amletica, e per questo risulta così affascinante a un livello viscerale. È una forma di autoreferenzialità che toccherebbe anche noi, se ci ponessimo la domanda di fondo: perché ascoltiamo musica?
Forse qualche risposta si troverà nel resto della canzone. "Sinceramente quando, quando, quando", canta Annalisa – "sarà mica un’allusione a Tony Renis?" si interroga a questo punto un orecchio punzecchiato dal citazionismo di cui sopra. Siamo certamente di fronte alla parte centrale del brano, il suo cuore pulsante. Qualcuno potrebbe chiamarlo “il ritornello”, contraddicendo il nostro preambolo. Questione di punti di vista: io lo interpreto come un drop, un momento in cui si cambia marcia. Non ha quel senso di risoluzione e apertura che attribuiamo ai ritornelli: anzi, il ritmo si intensifica, come se stessimo preparando un altro drop (che infatti arriverà): anche questa serie di drop è molto dance.
In effetti il ritmo del brano acquista un altro passo: lo sottolinea il basso, con il suo attacco asciutto, staccato e percussivo, probabilmente ottenuto associando un Korg Triton in preset organo a un basso del Roland Juno 1, cioè la stessa soluzione adottata da Rob Davis per produrre Can’t Get You Out Of My Head di Kylie Minogue (altro tormentone autoreferenziale, se ci pensi bene). Il paragone non è sfuggito a molti. Ma forse nell’unione di due tastiere iconiche per due decenni così lontani (anni Zero e anni Ottanta) potremmo leggere un senso più profondo. Magari Sinceramente ci sta spiegando che il "nuovo corso" di Annalisa, a ben vedere, non può essere ridotto al posizionamento dentro un "sound vintage", come fosse soltanto un cambio di look, peraltro di facile digestione per un pubblico italiano eternamente nostalgico e fissato con la presunta iconicità degli 80s. No, qui c’è spazio anche per i suoni dell’adolescenza di Annalisa, il pop dei suoi 18-20 anni. Ora anche le citazioni (esplicite o meno) hanno un altro sapore: sentiamo Noemi e Matia Bazar, Alice e Raffaella Carrà, come se l’artista stesse accumulando prove per dimostrare la sua argomentazione.
D’un tratto svanisce l’aria fané dell’introduzione, e il discorso si fa più attuale. I versi di questa sezione dicono una cosa inequivocabile: anche se canto di stare male – dice Annalisa – non sto veramente morendo; eppure la mia sincerità non può essere messa in discussione. Il pop, cioè, non va considerato meno sincero solo perché si aggrappa alla leggerezza di un beat da ballare; o perché potenzialmente prende in prestito parole altrui ("tagliarmi le vene" viene da Rettore? "Un passo avanti e uno indietro" dai Cugini di Campagna?). O, detto in altro modo, solo perché ci fa divertire e ballare non va considerata una forma d’arte meno genuina e onesta di altre.
Per concludere questo ragionamento non serve un ritornello. Annalisa appone la sua firma in quello che alcuni interpretano come post-ritornello, ma che d’altro canto riprende l’inciso dell’introduzione con un crescendo strumentale e vocale – insomma, come un ritornello. Come ritornello, però, questa manciata di battute quasi interamente strumentali hanno poco da offrire: "Sinceramente… sinceramente tua" non è una frase. È il sigillo di Annalisa. Solo lei può apporlo, non fosse altro perché per quegli acuti servono doti vocali comprovate – quelle da “troppo brava, un po’ fredda” dei soliti commenti vagamente sessisti. Ma Annalisa è la sua voce, e viceversa: così, in quelle due misere parole si avvera il senso dell’intero brano. Certo, le canzoni "sono solo parole e dopo il vuoto": lo sappiamo bene noi ascoltatori che divoriamo una hit dopo l’altra. Il pop è effimero e leggero e strabordante, ma non per questo non è sincero. E più questa canzone si deposita sulla coscienza collettiva, più accetteremo che Annalisa non ha fatto una "mossa": al netto di citazioni, ispirazioni e reference, o forse proprio a causa di queste, questa musica è completamente sua.