Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Black Nirvana di Elodie
A ondate, il pubblico si ricorda che il pop ha come oggetto principale delle sue canzoni il sesso. Può essere celato dietro una metafora, può essere espresso con le parole più delicate del mondo, ma sempre di sesso si tratta. E dal momento che la storia della musica popolare è stata a lungo una storia di uomini, ogni volta che una donna ne ha parlato più di qualche sopracciglio si è sollevato. Ogni generazione crede di aver inventato il sesso, e ogni generazione si stupisce delle donne che parlano di sesso nelle loro canzoni: prima è stata la volta delle Shirelles con Will You Still Love Me Tomorrow, poi di Donna Summer con Love To Love You Baby, poi di Madonna con Like A Virgin, e in mezzo, ma pure prima e dopo, decine e decine di artiste che hanno dovuto conquistare il diritto di parlare delle stesse cose cantate dai loro colleghi maschi, seguendo i cambiamenti del costume sempre con un po’ di rincorsa in più da fare, per compiacere le fissazioni di una società fatta a misura di maschio. Insomma, si potrebbe scrivere un libro sulla sessualità femminile nel pop – in realtà ne esiste già uno, Where The Girls Are di Susan J. Douglas, per quanto un po’ datato (1994).
Nonostante le centinaia di precedenti, ad ogni riscoperta dell’acqua calda, una parte del pubblico sente la necessità di inveire contro l’antico legame tra musica e sesso in nome di una moralità pubblica, o – peggio ancora – in nome dell’idea che la sessualità espressa “come si faceva nelle canzoni di una volta” avesse una ragion d’essere e una qualità autentica, rispetto alla volgarità di oggi. Anche in questo caso, il rap ha avuto l’effetto benefico su tante società occidentali di scoperchiare le ipocrisie classiste e snob per far circolare un po’ di aria fresca. L’ultimo apice di questa storia si potrebbe infatti individuare nel fenomeno globale che fu WAP di Cardi B e Megan Thee Stallion nell’estate 2020, una celebrazione della sessualità femminile che – come si dice in questi casi – non deve chiedere permesso a nessuno.
Ma la musica italiana non è stata da meno, e negli ultimi 5 anni abbiamo assistito all’ascesa di alcune popstar che hanno riallineato la conversazione e l’estetica su livelli internazionali. O forse – dovremmo dire – su livelli italiani. Già, perché la canzone “sexy” non è certo nuova alle italiche orecchie: senza contare autori maschi come Paoli o Celentano, che per qualche motivo hanno ricevuto un lasciapassare più o meno immediato, le nostre stelle musicali femminili si danno da fare almeno da 50 anni su questo piano, dalla pionieristica liberazione di Raffaella Carrà (di cui piangiamo in questi giorni il terzo anniversario dalla scomparsa) alle scritture di Malgioglio per Mina, Zanicchi e molte altre. E ogni volta è come la prima. Come ha sperimentato – più o meno letteralmente – sulla sua pelle Elodie.
Il tema della liberazione del corpo femminile non è secondario nella musica di Elodie: l’EP ispirato alla club culture Red Light uscito a ottobre dell’anno scorso lo dimostra chiaramente, e abbiamo già avuto modo di sottolinearlo parlando di A fari spenti. Ma nell’ultimo singolo pubblicato, Black Nirvana, questo tema viene non solo ricalcato, ma portato su un livello ulteriore: ovvero, cosa significa dedicarsi al piacere dei sensi? Perché il sesso ci attira così? Si tratta soltanto di uno stimolo sensoriale, la risposta animale e fisiologica a un input ambientale, o può esserci qualcosa di più? Per poter avanzare queste domande, però, serve prima una canzone capace di penetrare nella coscienza dell’ascoltatore. E per questo, bisogna obbedire alle regole del pop. La prima di queste: non dare al pubblico qualcosa di completamente nuovo.
Black Nirvana per tanti versi è una riedizione di Tribale, canzone di due estati fa. Il brano, intanto per cominciare, è scritto e prodotto dallo stesso team di persone all’opera nel 2022: Eugenio Maimone, Federica Abbate, Merk & Kremont, Jacopo Ettorre, Leonardo Grillotti ed Elodie stessa. Per puro caso – o forse no – le due tracce sono quasi identiche anche per tonalità (la differenza è di un solo semitono), permettendo alla voce dell’artista di sedersi in una posizione comoda, dove può dare più carattere e personalità alle note basse. Nel caso di Black Nirvana, tuttavia, la melodia tocca anche alcune note più alte: non sono propriamente acuti, anzi, sono brevi escursioni nella parte alta del suo registro (ad esempio sulle parole “c’est la vie”). In questo modo, la canzone mette in pratica quello che il testo suggerisce, le infinite scale lungo le quali l’artista sta inseguendo il piacere.
Un piacere da guadagnare, insomma, che non è dato per scontato. La gratificazione sessuale, insomma, non è gratuita, né dovuta: che si tratti di una relazione solida o dell’affare di una sera, il corpo va soddisfatto non semplicemente in funzione di un bisogno, ma in funzione di un desiderio. Sono distanze, quelle tra questi due concetti, che possono sembrare metafisiche – forse per questo viene evocato De Chirico, astuto uso aggettivale di un nome proprio? O forse è solo perché fa (quasi) rima con “desertiche”? In ogni caso, la distinzione non è per niente oziosa. Certo, l’immagine di un desiderio non realizzato, a un palmo di mano dal realizzarsi (una forma di edging lirico) è parte dell’effetto conturbante del pop sensuale: per mantenere viva l’attenzione non si spiattella mai tutto! Ma in questo caso il simbolismo decisamente astratto, il contesto concettuale della relazione, e soprattutto l’evocazione del “nirvana” fanno intuire qualcos’altro.
Il piacere è un percorso di liberazione non solo fisica e corporea, come ci diceva l’EP Red Light, ma anche un moto spirituale. Scoprirsi come esseri terreni, ansiosi di soddisfare certi desideri, talvolta schiavi di necessità materiali e materialistiche è il primo passo verso l’illuminazione – o così mi sembra di ricordare di aver letto in un libro sul buddhismo, che del resto né questo articolo, né la canzone di Elodie possono pretendere di spiegare nella sua millenaria ricchezza e complessità. Possiamo però accogliere alcuni dei motivi ricorrenti del brano, e collegare la loro intrinseca spiritualità al funzionamento della vita sessuale e dell’ascolto musicale. Per esempio, raggiungere una forma di coscienza superiore ci permette di osservare la ciclicità delle cose: “partirà così, finirà così” potrebbe descrivere sia la costanza con cui il desiderio si ripresenta, una volta soddisfatto, sia la circolarità di una canzone pop, che nel suo giro di quattro accordi racconta una brevissima storia per dozzine di volte nell’arco di pochi minuti.
In questo senso, c’è da notare che la strofa di Black Nirvana trasporta una certa serenità, pur nel suo arrangiamento ricco di suspense e bordato di bassi farciti di delay anticipatori: il giro di accordi, preso da solo, incede senza eccessivi salti e piroette, come quello di Viva Forever delle Spice Girls con cui condivide alcune geometrie armoniche. Una volta compreso che il tempo è un cerchio infinito, simile al loop di una produzione pop, ci si può dedicare a una visione meno tesa e compressa della sensualità. Si può apprezzare il piacere che ne deriva, sì, ma anche l’elevazione morale dello sforzo, della ricerca (consensuale, mi raccomando).
Anche questa è una narrazione di successo, senza bisogno delle spie simboliche del capitalismo, come quelle che abbiamo osservato in 30° C di Anna. Elodie, insomma, non ha bisogno di ricordarci i suoi risultati lavorativi per mostrarsi come donna che si impegna, che non molla e che punta a qualcosa di più alto senza dimenticare che ogni desiderio parte dal basso. Probabilmente lo penserà anche tra un anno circa, quando suonerà i suoi primi due concerti negli stadi (al Maradona di Napoli e al Meazza di Milano): dove anche le donne del pop e non solo gli uomini del rock è giusto che abbiano uno spazio.