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Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Anxiety di Doechii

Per i più cinici all’ascolto la risposta è facile: Anxiety di Doechii è diventata così popolare perché usa Somebody That I Used To Know di Gotye come fonte della sua strumentale. La musicista americana ha esattamente “rifatto” una canzone di successo, ma l’ha fatta da capo e l’ha fatta sua. A volte, a 21 anni, basta anche soltanto questo. Vediamo perché non riusciamo a togliercela dalla testa.
A cura di Federico Pucci
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Per i più cinici all’ascolto la risposta è facile: Anxiety di Doechii è diventata così popolare perché usa una canzone molto famosa come fonte della sua strumentale. Come tante mezze verità in circolazione, questa opinione è innegabile: Somebody That I Used To Know di Gotye featuring Kimbra è stata effettivamente una canzone di grandissimo successo. Certo, il 2011 è lontano, e sarebbe curioso sapere quanti tra i più giovani ascoltatori della rapper floridiana siano stati anche avidi consumatori della hit del musicista belga-australiano. Ma il punto è un altro. Anche Somebody That I Used To Know era una canzone basata su due idee musicali precedenti. Perché la musica produce altra musica, nel ventunesimo secolo. Ma torniamo al principio.

Gotye ha prodotto da sé la traccia che, per un paio d’anni, l’ha reso una star globale. E tutto è partito da un campione, cioè da un segmento di un’incisione pre-esistente: l’origine del brano è, notoriamente, la strumentale del chitarrista brasiliano Luiz Bonfá intitolata Seville. Per la precisione, le prime quattro note di quel pattern melodico percussivo che poi, nell’originale, evolve in una strabordante euforia di trombe. Due secondi, ma anche meno, estrapolati da questo brano del 1967 hanno dato a Gotye la base armonica e ritmica del suo brano. Possiamo immaginarlo nel fienile della sua famiglia, a Merricks (a sud di Melbourne), mentre dall’altalena strettissima tra un Re e un Do costruisce l’impalcatura del suo pezzo. Mentre favoleggia di un amore perduto, l’euforia dell’originale diventa malinconia: un giro in minore, con il Re minore a dettare legge (l’accordo più triste di tutti, secondo un famoso film), e così modificare il piccolo motivetto suonato sullo xilofono. Anche questo sarebbe stato preso in prestito: è una scala – originariamente in tonalità maggiore – che si trova in varie filastrocche di tradizione anglosassone, e che magari potresti aver incontrato studiando l’alfabeto inglese. Eppure, consideriamo la canzone di Gotye completamente sua.

Certo, c’è una differenza tra prendere un motivetto folkloristico del ‘700 e due secondi di un disco brasiliano per farne pop e prendere il prodotto finito di questo lavoro di estrazione per farne, a propria volta, pop. Nel caso di Doechii un pezzo importante di quel lavoro era stato già eseguito: là, nel fienile della famiglia di Gotye. Ma, con il pieno consenso di tutti i coinvolti (a differenza di quanto accade con le IA generative), questo modo di riproporre vecchie canzoni è una pratica normalissima e possibilmente anche creativa. Del resto, il pubblico di oggi è abituato a operazioni del genere: sono le famigerate interpolazioni di cui abbiamo già parlato più di una volta, e che talvolta danno un senso di déjà vu a un bel pezzo di proposta musicale contemporanea. La loro frequenza potrebbe farci venire il sospetto le buone idee siano terminate, che siamo arrivati al punto dei remix di altri remix. E questa potrebbe anche essere una piccola ragione del successo di Anxiety: la sua familiarità, senza alcuno scarto. Ma lo scarto c’è, e per comprenderlo serve un breve riassunto della storia della “principessa delle paludi” dalla Florida.

Prima che arrivasse a scalare perfino le classifiche radiofoniche italiane, Anxiety ha avuto un preludio peculiare. Nel 2019 Doechii era una musicista emergente che, come molte sue giovani colleghe, si arrangiava con qualche lavoro mentre pubblicava online le sue creazioni. Nel novembre di quell’anno, appena 21enne, pubblica sul suo canale YouTube una canzone che, come ormai sappiamo, campiona Somebody That I Used To Know (a rigore la base del ritornello, dove il basso passa anche da un Si bemolle che rende l’andatura generale meno ossessiva e più saltellante) e ci poggia sopra alcune barre e una melodia dolceamara a proposito dell’ansia, degli attacchi di panico e delle condizioni di libertà e uguaglianza in Florida.

Il brano entra a far parte di un mixtape autopubblicato intitolato Coven Music Session, Vol. 1: il termine “mixtape” definisce le pubblicazioni non regolari, spesso distribuite gratuitamente solo per visibilità, che un artista realizza con sample non autorizzati, raccattati qui e là, o con produzioni sperimentali. Doechii stava imparando il suo mestiere, e il mestiere si impara anche pubblicando senza scopi di lucro, solo per ricevere feedback dagli ascoltatori casualmente incrociati. Nemmeno due mesi dopo quel video in cameretta, e qualche settimana prima che il mondo si blocchi per la pandemia, Doechii viene licenziata e decide che quell’evento la spingerà a impegnarsi ancora di più nella sua carriera musicale. Il tempo le darà ragione: agli ultimi Grammy Award l’artista ha conquistato unanimemente il pubblico con una performance live che ha ricevuto la standing ovation dell’intera industria lì riunita. A fine serata Doechii sarebbe tornata a casa anche con un premio per il miglior album rap per il suo mixtape Alligator Bites Never Heal.

Ma prima di questo exploit mainstream, la sua crescita progressiva nel mercato hip-hop americano era passata da alcuni step intermedi: un paio di EP ben recensiti tra 2020 e 2021; qualche collaborazione e l’apertura del tour di SZA; un primo giro di viralità su TikTok; la firma per Top Dawg, etichetta che lanciò Kendrick Lamar. Tra i featuring accumulati prima del “botto” ce n’è uno con il rapper Sleepy Hallow, che due anni fa aggiunse le sue barre su Anxiety lasciando solo la parte melodica di Doechii. Ma, di nuovo grazie al social network cinese, l’originale del 2019 è tornato a galla. E così l’artista ha appagato il suo pubblico con una nuova incisione in studio.

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Se la prima versione casalinga del brano era stata probabilmente incisa senza il nulla osta di Gotye, la versione di Sleepy Hallow e a maggior ragione questa versione devono aver seguito una trafila regolare e ineccepibile. Il potere acquisito dall’artista americana si può misurare anche in questo: dal momento in cui su Kottke viene fatto riemergere quel video del 2019 – il momento scatenante del trend su TikTok e della richiesta popolare di una versione ascoltabile sulle piattaforme – alla pubblicazione ufficiale di Anxiety passano 13 giorni. I tempi della musica nell’era della viralità sono strettissimi, e Doechii viaggia a questa velocità. Ma non tutte le menti sono preparate a processare le informazioni necessarie per comprendere questi exploit. Ed è per questa ragione che da mesi alcuni opinionisti musicali hanno cominciato a diffondere la teoria per cui Doechii sarebbe una “industry plant”: un progetto creato a tavolino, insomma. (Se interessa approfondire il tema, anche in Italia l’anno scorso abbiamo avuto la nostra paranoia da “industry plant”, che ha coinvolto la giovane Lorenzza).

Una teoria del complotto che dovrebbe aiutare a comprendere qualcosa che è sotto gli occhi di tutti: il talento di questa giovane artista. E la sua capacità di elevare nuovi piani sopra quelli che ha già costruito. Ad esempio, Anxiety non è assolutamente l’unica canzone in cui Doechii mette a nudo in modo accattivante le sue difficoltà psicologiche e sociali. Nell’ottobre 2022 sul famoso canale di performance live Colors aveva lanciato un brano intitolato Stressed, che tocca alcuni temi ormai familiari al suo pubblico, come la tendenza ad auto-sabotarsi.

Doechii ha un talento piuttosto evidente per l’autocritica e la messa in scena cruda e onesta dei propri difetti. Mentre su Instagram sono perfino venute a noia le stelle sempre perfette, anche i rapper invincibili hanno scoperto che definirsi “fragili” funziona: nel loro caso è raro però trovare sincere e spietate confessioni – forse per questo ricorrono così spesso all’immagine del kintsugi, l’arte giapponese di riparare i vasi rotti con l’oro (non certo con il Super Attack). In Stressed, in Anxiety o ancora in Denial Is A River (altra sua hit andata in stratosfera grazie a questa semplicemente strepitosa esibizione nel format di NPR “Tiny Desk Concert”) vediamo Doechii rappresentare le sue mancanze senza forme di assoluzione o consolazione: anzi, ricorrendo al dialogo interno alimenta il suo dubbio anziché placarlo. Questo tipo di onestà traspare dal suo modo di cantare: da una parte con la “double threat” del rap e della melodia, sulla scia segnata da Lauryn Hill un quarto di secolo fa, Doechii dimostra di poter navigare da sola nei mood alternanti di un brano, facendosi carico tanto dei momenti elettrizzanti quanto di quelli deprimenti; dall’altra, il suo flow alterna ritmi e cadenze metriche secondo una tecnica di arresti e ripartenze che il grande pubblico potrebbe riconoscere nella tecnica di Nicki Minaj.

Avere dei punti di riferimento per la tecnica (aggiungiamo Doja Cat e Missy Elliott) e dei modelli per il tipo di introspezione (qui si potrebbe citare Tyler, The Creator) è il primo gradino per il successo: l’esempio aiuta a tenere a memoria. Ciò che Doechii aggiunge a questo è un orecchio finissimo per il ritmo e la melodia. Che ritroviamo in Anxiety. Se facciamo caso al momento del refrain che è diventato virale (“somebody’s watching me, it’s my anxiety”) prima di tutto ci ritroviamo un elemento di identificazione con il messaggio che – come abbiamo detto parlando di Messyaccelera la voglia degli utenti di condividere un brano. In secondo luogo, siamo avvinghiati da questa scena quasi cinematografica – furbescamente replicata nel video con Will Smith che cita un momento televisivo di 30 anni prima, in un turbinio di spie per le memorie di giovani e meno giovani.

@willsmith

Waited 35 years for this dance to trend. Ib: @Mimii

♬ Anxiety – Doechii

Ma andando più a fondo, notiamo anche un riutilizzo ingegnoso di tutti gli elementi che la canzone di Gotye le aveva dato a disposizione. Il cantautore oceanico aveva poggiato la sua melodia sopra gli elementi strumentali del brano, senza interferire con i movimenti sulla scala da parte dello xilofono; Doechii, invece, ricostruisce e varia quel motivo folkloristico alla propria maniera, disintegrandolo in una serie di scale ascendenti e discendenti che dell’originale mantengono solo la direzione, ma non il contenuto. Insomma, se pensi che la musicista americana abbia “rifatto” una canzone di successo, è esattamente quello che è successo: l’ha fatta da capo e l’ha fatta sua. A volte, a 21 anni, basta anche soltanto questo.

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Federico Pucci è un giornalista musicale. Ha collaborato con ANSA dal 2012 al 2019, occupandosi di spettacoli e cultura per la sede di Milano. Tra il 2020 e il 2023 ha diretto il magazine musicale online Louder, creando e producendo oltre 200 videointerviste e format originali. Nel 2019 ha scritto un libro sui sessant'anni di storia di Carosello Records. Ogni settimana pubblica una newsletter chiamata Pucci.
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