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Perché non riusciamo a toglierci dalla testa 30° di Anna

L’ultimo singolo di Anna, tratto dall’album Vera Baddie, è 30°: vi spieghiamo cos’è che l’ha portata a essere uan delle canzoni più ascoltate del momento.
A cura di Federico Pucci
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Anna (ph Andrea Ariano)
Anna (ph Andrea Ariano)

C’era una volta la canzone da villeggiatura, cioè il brano che nel suo testo voleva far sognare uno spicchio di vacanza all’italiano costretto in città dal lavoro. L’italiano che contava i giorni che lo separavano dalle ferie in catena di montaggio o in coda alla mensa aziendale sentiva una canzone ambientata sulla spiaggia assolata, lontano dagli stress, dalle fatiche e dalle scadenze, e così ricaricava il suo serbatoio di pazienza per un’altra settimana. Era questa l’età dell’oro del pop piccolo borghese: un pop che magari mirava anche in alto, ma partendo dal basso. Si potrebbe aggiungere che, se la musica pop prova a proiettare desideri e aspirazioni su un piano di fantasia, la canzone estiva è pop al quadrato: la proiezione definitiva, la speranza che si materializza in mantra con il quale cullarsi nella consolatoria idea che a un certo punto le ferie arriveranno e si staccherà tutto. E a quel punto, la canzone estiva diventerà un “inno” – nella stampa musicale generalista ancora si usa questo termine – cioè una melodia dietro la quale incolonnarsi in marcia verso il doposole dell’avvenire. Questo mi sembra che valga soprattutto per una società come quella italiana, dove il feticcio della bella stagione è diventato una cultura (e un business) solido, parte del nostro stesso immaginario – cioè, come si direbbe oggi, un trend di TikTok. Ma le culture, le economie e le società sono destinate a cambiare. E una canzone come 30° di Anna fotografa in modo impietoso questo mutamento.

La canzone attualmente in testa per le riproduzioni giornaliere su Spotify in Italia ha tutte le caratteristiche di un singolo di Anna, e quindi risponde alla prima regola delle potenziali hit: assomigliare a un’altra canzone di successo. Alla composizione/produzione troviamo Miles, Toto Beats e Arty: il primo, in particolare, è il produttore di riferimento della rapper spezzina, al suo fianco per gran parte del primo album Lista 47 del 2022, così come per gran parte di Vera Baddie appena uscito, il 28 giugno. E se pure il brano conserva il grosso dell’impronta stilistica di Miles, un cultore dell’EDM più chiassosa e dritta, questo beat ha tutto ciò che nella coscienza uditiva del pubblico italiano viene associato all’estate, cioè il famigerato “profumo latino”.

La canzone non è schiettamente latin-pop, né reggaeton, ma se fai attenzione ritroverai nel beat tutti quegli elementi ritmici che fanno parte della tradizione caraibica e sudamericana, e in particolare due elementi fondanti della musica afro-cubana: il tresillo e la clave di rumba, due suddivisioni in tre parti che rendono più movimentato e vario il 4/4 dritto che la dance eurocentrica impone. Una composizione ritmica che ricorda più la megahit dell’anno scorso Vetri neri, piuttosto che le pur popolarissime canzoni uscite negli ultimi mesi. Il pubblico, è evidente, ormai in gran massa fedele ad Anna, la preferisce comunque quando deve incastrare il flow ritmico delle sue rime in mezzo a questo tipo di beat.

Gli accordi poggiati sopra questa metrica sono tanto ripetitivi (un loop di tre accordi che non molla mai) quanto efficaci: il giro è paragonabile a quello che troviamo in altri pezzi altrettanto ossessivi e martellanti, da Mask Off di Future, una sorta di canzone archetipo per tutta la generazione di rapper venuti dopo la trap (Anna compresa) a due pezzi di empowerment femminile come I Love Rock ‘N Roll di Joan Jett e Hot Stuff di Donna Summer. Pur restando saldamente dentro la tonalità minore (segno di tensione e incertezza, non di tristezza come abbiamo detto tante volte), questa progressione tripartita ha la potenza propulsiva di una locomotiva e la stessa incontrovertibile direzionalità: si va dritti e non ci si guarda indietro, nemmeno per un momento. Ma esistono altri due brani, altrettanto pertinaci nella loro propulsione ritmico-melodica, basati sulla medesima struttura di accordi, che sono perfino più simili a 30° in fatto di spirito e carattere. Uno è Mr. Saxobeat di Alexandra Stan, canzone che peraltro avevamo già citato parlando di Vetri neri – che la campionava. L’altro è Samba de Janeiro, hit “brasiliana” del gruppo tedesco Bellini, tormentone internazionale del 1997 accompagnato da una coreografia, uno dei tanti punti di contatto tra il pop commerciale da ballo di gruppo di fine secolo e il pop commerciale da balletto di TikTok degli anni ‘20.

E infatti, citando Anna, “balla tutta la label”. Balla per la gioia di essere incappati in un altro singolo da milioni di ascolti, senza dubbio: in questo senso, il verso è ciò che si definisce “profezia autoavverante”. Ma la label balla anche perché l’etica del lavoro della loro artista è immacolata. Non che possa dire di conoscere personalmente l’agenda della rapper, però a giudicare dalle parole che infila nei suoi pezzi, Anna non molla lo studio mai. Nonostante sia una canzone estiva, per l’appunto, 30° ritrae la sua autrice e interprete alle prese con il contrario delle ferie: Anna lavora duro, mentre il resto del mondo si gode l’estate. È lei stessa a dirlo: "Sono chiusa a fare questa hit" mentre "fuori fanno 30 gradi" – e complimenti per l’ambiguità polisemica del verbo "fare", anche lui instancabile lavoratore della lingua italiana. Rispetto alle canzoni estive degli ultimi anni, così concentrate sul sogno del viaggio agostano verso località esotiche, 30° è una celebrazione dello stakanovismo milanese (acquisito) della rapper, e in generale di tutti quelli che possono definirsi "self made bitch" come lei.

La città non chiude a maggio (quando è uscito il singolo), a giugno (ora che sta prendendo possesso delle classifiche) e nemmeno a luglio e agosto, quando in villeggiatura molti si ritroveranno a ripetere come un mantra i versi di Anna, per rinfacciare ai vicini di ombrellone che nessuno ha lavorato come loro. Peraltro, l’artista ligure sembra molto interessata a mostrarsi sempre all’opera: l’espressione "chiusa nello studio" ricorreva anche nella canzone Energy, e in generale i suoi testi la vedono spesso indaffarata. Non che non sia a suo modo un cliché del rap, specialmente ma non solo quello meno commerciale. Però Anna ha fatto di quest’etica del lavoro quasi calvinista una forma di poetica: la sua voglia di distinguersi (il classico appello a "non confonderla con le altre bitch") passa anche dal suo impegno. Naturalmente, ben ricompensato dalla promessa di uno sfogo che, però, sembra più quello di un fine settimana al mare che non quello di continue e ininterrotte ferie: forse i club che visita nella terza strofa la aspettano per una serata?

In parte, questo tipo di autodescrizione come formica operosa del rap italiano, è funzionale al racconto di sé che Anna vuole servire al pubblico, il racconto meritocratico di una giovane promessa che si è guadagnata tutto con sudore e fatica. Il che sarebbe una storia efficace anche da sola, senza contare poi che nella musica di oggi (come dimostra il successo di Taylor Swift) la costruzione di un mito personale a servizio dei fan è essenziale, una forma di esposizione narrativa del personaggio-artista a beneficio degli ascoltatori, che “leggono” le sue avventure e imprese dentro un panorama multimediale come “leggevano” quelle dell’eroe di un film.

Ma tutto questo avviene in un momento storico ancora più particolare, nel quale il pubblico italiano si è ormai abituato a sentir parlare di etichette, numeri, ingaggi dentro le canzoni, e non soltanto nelle goffe presentazioni dei conduttori di eventi televisivi e talk show, che snocciolano risultati e record come se parlassero di atleti. Non ha per caso vinto il Festival di Sanremo una canzone in cui si parla di “firmare contratti”? Sarà il segnale di un Paese che inconsapevolmente ama ritrarsi come gran lavoratore? O sarà il segnale di un Paese che effettivamente lavora un numero di ore perfettamente in linea con la media europea (e più della Germania!), alla faccia dei luoghi comuni sulla pigrizia italiana? Non è dato saperlo con certezza, ma per ora ci godiamo una canzone da non villeggiatura e la sua morale rigorosa: prima il dovere (le hit con le major), poi il piacere (il mare con le amiche).

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