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Perché la scelta di Bob Dylan sul Nobel va rispettata

Da ieri impazzano le polemiche sulla scelta di Bob Dylan di non ritirare il Nobel, eppure dovremmo provare a comprendere e rispettare la sua scelta.
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Ammetto di essere tra quelli che il prossimo dieci dicembre avrebbe voluto vedere Bob Dylan vestito di tutto punto ritirare il premio, ringraziare e inchinarsi, seppure metaforicamente, alla letteratura. Lo avrei voluto per noi (cioè per i suoi fan) per i lettori di tutto il mondo, per lui. Invece, a quanto pare, Bobby non andrà a Stoccolma. Eppure, nonostante questo, penso che dovremmo provare a rispettare la scelta di un uomo (anche se con l'imperscrutabile uomo di Duluth non è mai semplice) che "si sente onorato" dall'aver ricevuto il Nobel che, tuttavia, non andrà a ritirare.

Da ieri, da quando la notizia è apparsa, il cielo delle polemiche e degli sfottò si è aperto. A niente è servito ricordare che altri scrittori in passato – per motivi molto diversi dai suoi, va detto – non si sono presentati alla stessa cerimonia di premiazione. Tutti i rigurgiti di chi, in fondo, non ha mai digerito la scelta dell'Accademia svedese di assegnargli il prestigioso riconoscimento, stanno venendo a galla in queste ore. Quasi tutti i giornali oggi si aprono con articoli che riassumono le reazioni ironiche del web alla lettera inviata da Dylan, sbeffeggiando quel passaggio in cui fa riferimento in maniera vaga ai "precedenti impegni" che gli impedirebbero di partecipare alla cerimonia.

Dopo una dichiarazione così, non c'era modo di migliore per consegnarsi ai suoi detrattori, anche per i suoi più strenui difensori comincia a farsi dura. Cos'ha di meglio da fare Dylan il prossimo 10 dicembre, ci chiediamo tutti, che andare a ritirare il Nobel per la Letteratura?

Deve suonare e cantare da qualche parte? Ha un impegno a cena? Ha promesso ai nipoti di portarli al parco?

Probabilmente niente di tutto questo. Il solo porsi questa domanda significa non conoscere Dylan, non averlo seguito negli ultimi cinquant'anni, non aver letto le sue interviste, cioè da quando nel 1966 ha deciso di sottrarsi alla mitologia che gli altri gli stavano cucendo addosso: quella del cantante simbolo della protesta, della musa generazionale, del menestrello folk. Cosa porta un musicista, un cantante e un poeta della sua statura a suonare in una città diversa ogni sera facendo a brandelli la sua stessa musica e i suoi stessi versi, cambiandoli, stravolgendoli, costringendo i suoi ammiratori a non cantare quelle canzoni che mezzo mondo conosce? Sono cinquant'anni che Bobby non vuole esserci, che ha deciso di sottrarsi, di non piacere. E allora, si sono chiesti in tanti, perché non ritirarsi a vita monacale e strapparsi definitivamente il vestito del mito? Perché non smettere di suonare, cantare, scrivere versi? Perché non sparire?

È questo, in definitiva, lo sgarbo che Dylan sta compiendo da mezzo secolo all'opinione pubblica che l'opinione pubblica non può accettare. Esserci senza esserci. Aver abbandonato il circo senza smettere di essere un animale, senza smettere di fare il suo numero. Se poi ad essere preso in giro è il sacro mondo delle lettere, ecco che il cielo si apre in due. No, Dylan, questo proprio no – dicono costoro -. Ti abbiamo fatto il grande piacere di considerarti un letterato, di accettare che tu possa vincere il Nobel, ora devi andare a quella maledetta cerimonia, altrimenti diremo di te che sei uno snob!

La verità è che nessuno – forse nemmeno Dylan stesso – è mai riuscito ad afferrare Dylan. C'è del filosofico nella sua decisione di non andare a ritirare il premio? C'è del politico? Del patologico? Una mossa di marketing? La voglia di accrescere nei suoi fan il "mito del demitizzatore"?  Forse non lo sapremo mai. Intanto, a noi, non resta altro che accettare la sua scelta per quella che è. Il 10 dicembre Bobby ha da fare e, come sempre, lui non sarà qui.

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Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Nato a Napoli nel 1979. Il suo ultimo romanzo è "Le creature" (Rizzoli). Collabora con diverse riviste e quotidiani, è redattore della trasmissione Zazà su Rai Radio 3.
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