video suggerito
video suggerito

Perché Incoscienti giovani di Achille Lauro è il simbolo perfetto di questo Sanremo

Incoscienti giovani di Achille Lauro è una delle canzoni più amate dell’ultimo Festival di Sanremo: ecco perché è il simbolo perfetto di questo Sanremo.
A cura di Federico Pucci
375 CONDIVISIONI
Achille Lauro (ph Marco Alpozzi/LaPresse)
Achille Lauro (ph Marco Alpozzi/LaPresse)

Storicamente, i periodi di massima frustrazione sociale e incertezza economica hanno prodotto culture popolari improntate alla retromania e al pastiche: in assenza – apparente – di idee migliori, gli artisti fanno tesoro di quello che già conoscono, e ne offrono una combinazione caotica a un pubblico non meno perplesso dal presente e dalle sue incerte promesse. Il Festival di Sanremo 2025 è un esempio da manuale di questa tendenza: se un brano te ne ricorda un altro, non scomodare la parola “plagio”, e considera che siamo tutti sulla stessa barca di pazzi. Ma pastiche e retromania non producono soltanto orrori, specie se l’artista presenta con convinzione ed esperienza la sua insalata musicale. Fra tutte le canzoni in gara quest’anno, la summa di retromania, pastiche e mestiere raggiunge livelli irraggiungibili in Incoscienti giovani di Achille Lauro, che per questo rappresenta perfettamente (nel bene e nel male) questo Festival.

Partiamo con un arrangiamento di archi che sembra uscire da un grammofono e un arpeggio di pianoforte che sale e che scende con un leggero staccato sopra tutte le note dell’accordo: stiamo forse sentendo Te lo leggo negli occhi nella versione magicamente ipnagogica di Franco Battiato? No, ma chiaramente abbiamo abbandonato il piano della banale realtà. I look con cui Achille Lauro si è esibito nella prima e seconda serata dovrebbero lasciarlo intuire ancora di più: il presente non è un’opzione.

Seguendo la canzone nella strofa, a partire dal verso “e tuo padre non tornava la sera” e fino a “è un romanzo” notiamo un altro cliché antiquato. Se ci fai caso, anche senza uno spartito davanti agli occhi, puoi udire la parte più bassa dell’accompagnamento che scende piano piano, un gradino alla volta: Fa, Mi bemolle, Re, Do, Si bemolle, La, Sol bemolle, Fa, Mi bemolle, Re, Do. Undici scalini che sembrano scendere sempre più in basso, in maniera quasi impossibile. Esiste un’illusione uditiva chiamata Scala Shepard, in virtù della quale si pensa di sentire una nota che scivola in basso eternamente, senza fermarsi mai. Una sfida alle leggi del suono, che in questo caso sembra una sfida alle leggi del tempo: “stiamo annegando, naufragando”, canta Lauro alla fine di questa scala surreale. Ed è appropriato, visto quello che sta per essere dichiarato nel ritornello. Ma prima, un’altra reference.

Questo tipo di composizione è ciò che letteralmente si definisce un cliché, un “line cliché” detto all’inglese, per la precisione: gli accordi, cioè, sono disposti e articolati (con le cosiddette inversioni) in modo tale da farci udire chiaramente questo basso scivoloso. Si tratta di una discesa cromatica, cioè fatta di note che possono non necessariamente appartengono alla scala della tonalità di base del brano.

Nella musica classica queste linee di basso sono state spesso associate al lamento funebre, ma compositori geniali come Johann Sebastian Bach hanno saputo farne uso per creare un accostamento irresistibile di progressioni armoniche rigorose e linee melodiche sinuose. Un esempio è più che celebre: l’aria sulla quarta corda (la sigla di Quark!) che fu tra le ispirazioni principali ed esplicite di A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum. Anche questo brano, con la sua vellutata malinconia, finisce nel pastiche di Incoscienti giovani. Lauro sta descrivendo il passato desolante della sua interlocutrice non come un’esperienza viva e attuale, ma come il trauma sepolto di un’infanzia infelice, una fotografia sbiadita che proprio perché sbuca di nuovo nella memoria con i contorni sfocati fa ancora più male, ma di un male che intorpidisce e rende indifferenti. In pratica, un ennui.

Far convivere questi sentimenti non è un lavoro semplice. Forse è per questo che la lista di autori è così lunga: Manzari, Antonacci, Simonetta, Ciceroni, Nelli e Calculli oltre al De Marinis titolare del brano. Un team che sicuramente avrà avuto molte reference a cui ispirarsi, quando ha messo mano alla composizione. Ed è probabile che da qualche parte sia echeggiato il nome di Elton John: la popstar inglese, infatti, ha perfezionato questa tecnica (tutt’altro che rara e unicamente sua).

Da pianista di formazione classica qual è, Elton sa bene che scivolare in giù e in su con una linea di basso priva di scossoni addolcisce le accidentate progressioni armoniche delle sue canzoni. Da Rocket Man a Goodbye, Yellow Brick Road, da Elderberry Wine a Razor Face, è difficile trovare un brano grande o piccolo del suo repertorio che non presenti un “line cliché”. Con diversi fini, di volta in volta: per descrivere un’ascesa euforica o un lento calo nell’oblio; per accentuare uno slancio in avanti o per coccolarsi nelle onde della nostalgia. Incoscienti giovani sembra optare per quest’ultimo messaggio, ma non è così semplice. E per questo bisogna chiamare a testimone un altro artista, che proprio da Elton John è stato spesso ispirato.

Se a qualche orecchio sarà sembrato di risentire “io mi ricordooo, quattro ragazzi con la chitarra”, è perché Notte prima degli esami è una delle canzoni più eltoniane di Antonello Venditti, come dimostra proprio l’uso di questo arrangiamento pianistico. Di quella canzone Incoscienti giovani eredita anche la zuccherina malinconia e il dubbio che il ricordo sia migliore di quanto non credessimo. La citazione di una località romana sotto la pioggia sembra sigillare questo debito culturale, ma ancora di più una sensazione: che tra i marmi capitolini e il grigio procedere (atmosferico ma anche cronologico) del tempo sia celato il segreto dell’eternità. Insomma, il tempo si può ingannare. Ma per farlo serve uno scatto. Che sta arrivando.

Il salto che risveglia Lauro dalla sua lenta regressione temporale arriva alla fine di questa lunga discesa di note. Qui, tra la melodia e l’armonia puoi sentire chiaramente un’altra possibile reference: I giardini di marzo di Lucio Battisti. Il passaggio “… è un romanzo, sono solo a fare a botte con gli amici miei, sto strisciando…” potrebbe ricordare “le mie mani come vedi non tremano più e ho nell’anima”, non solo per le cadenze; non solo per la metrica (l’incursione di un’improvvisa raffica di ottavi: “non tremano più” vs. “a botte con gli amici”); ma anche per il movimento di accordi, che così facendo presenta la possibilità di un nuovo giro. È quella che si può definire una “apertura”, un espediente necessario per schiarire l’aria cupa di una canzone: e nel brano di Lauro c’è molta foschia da diradare.

Una nota di metodo, affinché sia chiaro in modo più che inequivocabile cosa intendiamo citando passaggi con somiglianze come quello appena descritto: non stiamo parlando di plagio. Come l’alcione del mito che riposa le ali dopo lungo peregrinare per una sola settimana all’anno, così la parola “plagio” vaga lontano dalle discussioni musicali fino all’arrivo della settimana di Sanremo. Il che è particolarmente ironico in un periodo in cui articoli di analisi come questo (ma non solo) sono oggetto di una molto più credibile scopiazzatura delle intelligenze artificiali. Ma non c’è bisogno di spolverare un’accusa di plagio quando si parla di collage musicali: anche perché il fine del brano è precisamente quello di svelarci che il tempo è un’illusione.

E quindi siamo arrivati al refrain, dove Lauro ci presenta una delle invenzioni liriche più argute dell’intero Festival: “se non mi ami muoio giovane” è un controsenso cronologico che può funzionare soltanto dentro una canzone, e per questo brilla di possibilità. La sua formulazione, contraria alla consecutio logica prima che dei modi e dei tempi, è decisamente superiore alla somma delle parti: la fortuna della canzone è che le parti sono di immediata comprensione, tre componenti – amore non corrisposto; morte; giovinezza – che sono nella tavola periodica degli elementi della musica pop. Questa è una torch song, il genere di serenata accorata e all’ultimo respiro, il cui termine anglofono cela un’etimologia ellenica che non abbiamo tempo per esplorare. Ma sembra tanto rivolta all’amata, quanto al passaggio del tempo stesso: contorcendo le regole grammaticali Lauro sfida questo processo inesorabile, monodirezionale. Ci vuole un paradosso di accompagnamento, e gli accordi che sostengono il ritornello sono proprio questo.

La trionfale marcia armonica che fa accelerare la strofa di Don’t Stop Me Now dei Queen torna qui. Ma il passo di Incoscienti giovani è lento, con una batteria che palpita a malapena: nella seconda strofa arriverà l’obbligatorio quattro quarti rock, ma finora il ritmo è evanescente. Quella soddisfacente successione di accordi, allora, diventa qui una processione gloriosa, ma sinistra. La morte è una prospettiva concreta (“di amore muori veramente”), e c’è poco da stare allegri. Ma se anche fosse la fine, sarà stupefacente. Come “in un vecchio film”, per citare Lauro. Questo passaggio, peraltro, è l’unica esplicita concessione a un immaginario retromaniaco. Guarda caso, coincide con una sostituzione dell’accordo di sottodominante con il parallelo minore, di cui abbiamo parlato nella spiegazione di Balorda nostalgia di Olly: una piccola sporcatura armonica, come fosse la grana di una vecchia pellicola apposta con un filtro di TikTok, la messinscena di una nostalgia che non è mai veramente in gioco, ma resta sullo sfondo.

Il passato, dopotutto, è un terreno pericoloso: va esplorato facendo attenzione a cosa ci si porta dietro. Appiccicando tra loro elementi disparati da canzoni diverse non sei mai certo fino in fondo se l’effetto finale sarà raccapricciante come un mostro di Frankenstein o attraente come una cattedrale restaurata. Sta al nostro gusto determinare se un collage funziona oppure no, ma la risposta ha ricadute importanti. Pensa a quel lavoro di taglio e cucito che è stato Now and Then dei cosiddetti Beatles: sulla qualità della traccia e il senso del progetto possiamo discutere, ma il fatto che sia stata premiata con un Grammy di recente ci dice molto dello spirito del nostro tempo. Curiosamente, il ritornello di Now and Then e quello di Incoscienti giovani si muovono lungo lo stesso giro armonico.

Il pastiche è parte del nostro presente, piaccia o meno. Forse per avere meno pastiche e più originalità bisognerebbe smettere di idolatrare il passato, come fosse un’età dell’oro di soli geni innovatori; riconoscerne i limiti; o accettare i nostri. Sul palco del Festival, volontariamente o meno, Carlo Conti ha posto una questione estetica e culturale tutt’altro che secondaria. Forse il passato è il nuovo futuro. Nel qual caso, Lauro si è ipotecato un altro pezzetto di immaginario: non si tratta più solo di citare le grandi annate del glam o della eurodance, come aveva fatto negli anni scorsi, da cosplayer della nostalgia; si tratta di caricarsi sulle spalle il peso di un presente inadeguato, interrogare il nostro senso della temporalità. Sperare di tornare indietro per morire da piccoli, nel mondo reale, è fuori discussione.

375 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views