La rabbia è una delle emozioni primarie, e la condividiamo con un'ampia famiglia di parenti animali. Un sentimento energico, caldo, e ambiguo, da cui scaturiscono opposti come il senso di giustizia e la violenza. Ma nella nostra rabbia agisce qualcosa che solo noi abbiamo: la parola.
Le parole servono per esprimere la rabbia: questa è la prima cosa che viene in mente su questo rapporto rabbia-parola. In cuor mio ho un sentimento d'ira, con l'occhio del sarto vedo quale parola gli calza meglio, e per comunicarlo con esattezza pronuncio quella. E sicuramente così si possono esprimere tipi di rabbia finemente sfumati, con una tavolozza di colori che i nostri amici cani non hanno.
Ma non è tutto. La realtà dei sentimenti non esiste solo a monte delle parole: i sentimenti che proviamo non sono un tempo meteorologico che annotiamo in maniera asettica, come un ricercatore sul suo quaderno. La nostra scelta della parola influenza il sentimento stesso che voleva esprimere. Facciamo qualche esempio.
Sono in bicicletta e un automobilista non mi dà la giusta precedenza. Ecco la rabbia che solleva le spalle per il torto subito, e in quel frangente mi salgono delle parole alla bocca non compassate, come a ruvido esempio: «Brutta testaccia di cazzo, mi potevi ammazzare, i pezzi di stronzo come te mi fanno incazzare come una bestia, sai quanti calci in culo…» et cetera, ad libitum. La scelta (non molto presente) di queste parole ha un effetto sul nostro primo sentimento di rabbia: ci fanno arrabbiare di più. E sicuramente quella persona merita tutto il biasimo, ma compiere un'azione verbale che aumenta la nostra rabbia non sempre è saggio: è difficile tenere in mano qualcosa di molto caldo, è difficile controllare e reggere le redini di un sentimento incandescente.
In questi casi in cui vogliamo rimanere padroni presenti (e anche un filo meno volgari) ma anche esprimere il nostro sentimento, ci soccorrono sostantivi, aggettivi e verbi che significano la rabbia in maniera più composta, sfumature di rosso più chiare. Parole che vogliono dire che siamo arrabbiati ma che smorzano la nostra rabbia.
L'automobilista che non ci ha dato la precedenza si ferma subito dopo l'incrocio, noi nacquimo signori e gli passiamo accanto: «Comportamenti come il suo mi fanno davvero inalberare. Spero si renda conto che quello che ha fatto è davvero pericoloso, che cento volte le può andare bene ma quella volta in cui mi prende è un dramma per tutti.» Argomentare, mettersi in una prospettiva efficace, edificante, è molto più facile, poi. Basta scegliere di pronunciare un tono di rabbia che non ci faccia arrabbiare (stizzito, impermalito, adirato, perfino indignato).
Perché le parole sono incantesimi di campo che, una volta lanciati, agiscono sugli altri ma anche su di noi. (E poi ‘inalberarsi' è un verbo bellissimo: dal marinaresco issare sull'albero, passato al cavallo che si impenna, chiuso infine da una suggestione di orgoglio che è bello e intelligente trovare nella rabbia.)