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Perché gli adolescenti si radicalizzano nell’estrema destra: il racconto di Davide Coppo

Davide Coppo ha raccontato una storia – in parte autobiografica – in cui un ragazzo si avvicina all’estrema destra cercando di descriverne la normalità.
A cura di Francesco Raiola
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Davide Coppo (ph Fabrizio Vatieri)
Davide Coppo (ph Fabrizio Vatieri)

Ettore è adolescente quando comincia a scoprire la fascinazione per la simbologia e le idee dell'estrema destra: le braccia tese, il Presente, i libri, ma soprattutto un senso di appartenenza, di comunità, che si forma anche grazie all'idea di essere minoranza, quindi vittime di un sistema che non ti vuole. Ettore, insomma, all'inizio degli anni Duemila abbraccia "la parte sbagliata" della barricata, quella che era ancora vista con sospetto, che doveva nascondersi. E "La parte sbagliata" (E/O editore) è anche il titolo del libro in cui Davide Coppo racconta questa storia di formazione che in parte prende anche dal bagaglio biografico dello scrittore che, col tempo, avrebbe fatto un percorso che lo avrebbe portato dalla parte opposta. Lo scrittore – e giornalista – non crea una storia di condanna, piuttosto accompagna il lettore a comprendere come anche un ragazzo che non ha in famiglia, per esempio, un esempio di estremismo di destra pian piano cominci a radicalizzarsi. Ne abbiamo parlato con l'autore.

Perché hai deciso adesso di raccontare questa storia?

Il perché non lo so, non voglio usare quella formula dell'"ho sentito il bisogno", però volevo scrivere qualcosa, era il 2021, e vagliando diverse idee evidentemente qualcosa si è mosso dentro di me e questa esperienza autobiografica che avevo avuto al liceo ha cominciato a ribollire, a fermentare, considerata anche la situazione politica che stava cambiando in quegli anni in tutta Europa, non solo in Italia. Mi sono ritrovato a fare i conti con quella cosa e a un certo punto mi è sembrato quasi automatico, non dico facile, ma insomma ce l'avevo lì pronta la storia.

Come mai hai scelto la forma romanzo?

L'ho voluta mettere sotto il cappello della fiction perché penso che il romanzo, la letteratura, l'invenzione mi potessero dare, in questa storia, una marcia in più nell'immaginare in modo un po' più estremo – e quindi anche potenzialmente più contemporaneo – i ragionamenti e le azioni del protagonista.

Fai chiedere al protagonista del romanzo perché si diventa fascisti a quattordici, quindici anni e la risposta è che è "qualcosa che aveva a che fare con l’estetica, e molto con l’identità". Me la spieghi?

Io volevo raccontare la storia di un ragazzino che si trova da una parte politica molto definita, molto netta e anche molto avversata non perché scopre la politica, in primis, ma perché viene innanzitutto affascinato dall'aura che emana, si accorge delle conseguenze politiche e comincia a studiarne la Storia – quindi la parte più legata alle idee – solo in un secondo momento. Non voglio che questa storia sia un'allegoria e cioè "funziona sempre così", però volevo mostrare attraverso un'esperienza singola, quindi una questione privata, non collettiva, come a volte si finisca a far parte di certi movimenti senza essere dei mostri, degli ignoranti o delle persone consapevolmente cattive e malvagie, come a volte vengono dipinti. Volevo fare un'operazione di empatia non tanto per difendere – perché non è quello che voglio fare – ma per umanizzare certe scelte, quindi mettere anche il lettore e la lettrice che tendenzialmente sta dalla mia attuale parte – quindi progressista, di sinistra – in difficoltà nel pensare questo nemico non come un mostro, perché poi è molto facile e riduttivo pensarlo come un mostro, ma come, invece, qualcuno di simile.

Hai detto che è una storia autobiografica: qual è stata la parte di Ettore che non è tua, la parte romanzata?

La parte più autobiografica è il dialogo interiore di Ettore e quindi la ricerca di un gruppo che lo potesse accogliere in questo difficile passaggio dalle scuole medie al liceo e dalla provincia alla città, soprattutto, poi l'incertezza e il senso di colpa dopo aver scelto di far parte di questa di questa comunità, il costante mettersi in discussione e però anche un certo tipo di anticonformismo, cioè del sentirsi finalmente definito quando vieni identificato come quello sbagliato, quello cattivo, quello contro i valori della morale pubblica.

A Ettore fai dire: "Mi odiavano e quell'odio mi definiva".

Esattamente questa frase qua, mi fa piacere che la citi. Quello che invece è totalmente finzionale sono gli eventi, forse ispirati da qualcosa, però il romanzo mi serviva proprio non tanto per inventare del tutto, ma ingigantire la violenza, la radicalizzazione e questo percorso che io, appunto, non ho vissuto in modo così violento, ma che volevo, invece, diventasse proprio spinto, che fosse spinto fino alle estreme conseguenze.

Uno dei contrasti maggiori che vive il protagonista è con Giulio, ovvero colui che lo introduce a questo estremismo, perché Ettore rivendica la parte più viscerale dell'appartenenza, mentre Giulio è il carrierista: era la cosa che ti definiva nelle somiglianze con Ettore?

No, direi di no, questa è una cosa abbastanza di finzione, cioè ho conosciuto persone che volevano fare carriera politica e penso che sia un'aspirazione molto positiva, però diciamo che adesso, da osservatore esterno, ho messo un po' sia in Ettore che in Giulio delle persone che non ero io, quindi l'anima più dionisiaca nel primo, anche più ingenua, più infantile, dovuta al fatto che è più irrisolto mentre Giulio è colui che consapevolmente sapeva che avrebbe fatto una carriera che parte dal liceo passa per l'università per poi approdare nei movimenti giovanili, insomma non molto diverso da quello che avete fatto vedere voi (parliamo dell'inchiesta di Fanpage "Gioventù meloniana", ndr) in queste settimane.

Una delle parti più interessanti, secondo me, è la scoperta della violenza, con Ettore che si ritrova nel mezzo di una rissa: quella fascinazione come te la spieghi, come nasce?

Ti dico tutto questo senza la volontà di giustificare nessun tipo di violenza, però penso che durante l'adolescenza ci troviamo a sperimentare delle condizioni estreme che poi hegelianamente si positivizzeranno, come esperienza acquisita. Penso che venirne a contatto, conoscerla, subirla – ci tengo a dire che non è minimamente un elogio di questa cosa o delle cose come una volta – è chiaramente un percorso di crescita, è uno spettro dell'umanità che arricchisce dopo l'essere umano. Mi ricordo, da ragazzino, la scoperta della violenza, che per me è stata più legata allo stadio, una cosa che ti fa venire a contatto con uno spettro di emozioni animalesche, istintuali, che in qualche modo spingono un po' più in là la tua immaginazione e la tua consapevolezza di cosa puoi fare o di cosa puoi subire. Mi rendo conto che sia controverso, però penso che sia giusto e arricchente fare questo tipo di sperimentazioni a una certa età, se poi non ne diventi prigioniero, perché effettivamente mi rendo conto che se questa cosa non viene controllata può diventare una prigione.

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Una delle cose che Ettore prova è il timore del braccio teso, del simbolo: cosa scatta, a un certo punto, per farti piacere quella cosa proibita?

Faccio un passo indietro: questo libro si chiama La parte sbagliata perché è ambientato nel Duemila e in quel momento per chiunque era chiaro quale fosse la parte sbagliata e proibita. Anche qualcuno che sceglieva consapevolmente di stare dalla parte dell'estremismo neofascista, post-fascista era molto diverso da oggi, cioè sapeva che quella roba lì aveva uno stigma sociale enorme. Il gusto del ribellismo, dell'essere controcorrente – mi viene in mente Albertazzi che disse di aver aderito alla Repubblica Sociale Italiana per spirito di avventura, per non fare tutto quello che facevano gli altri – quella roba lì è presente, è quello che ti porta a fare, nel caso di Ettore, i saluti romani o a mettersi controcorrente rispetto a tutti. Poi c'è il senso di colpa, l'incertezza, perché comunque viene da una famiglia che non gli ha mai parlato troppo di politica, ma gli ha sempre fatto capire…

…che quella è la parte sbagliata.

Esatto, quella era una società molto più severa rispetto a quella di oggi nei riguardi di quel tipo di dimostrazione. Nel Duemila, quando è ambientato il libro, era impensabile vedere quello che stiamo vedendo oggi, come sdoganamento, e quindi c'era molta più vergogna, molto più senso del proibito.

Com'è avvenuto il tuo cambiamento? Quando ti sei reso conto che quella parte sbagliata era effettivamente sbagliata?

A un certo punto mi sono reso conto che quell'esperienza era terminata, non avevo più bisogno di identificarmi con quel tipo di posizione. È molto faticoso stare costantemente in minoranza contro tutto, contro il mondo in cui ti muovi, mi ero stancato di quella fatica, avevo capito come definirmi attraverso altri parametri e in altri modi. Poi mi sono reso conto che quelle idee politiche non mi erano poi penetrate molto sottopelle, avevo comunque una fascinazione, sì, per certe storie, certe battaglie, che però sono state cooptate dalla destra ma non sono affatto di destra, e che sono quelle che cito anche nel libro e quindi me ne sono distaccato un po'. È stato proprio un crescendo di maturità, non ho dovuto rinunciare a molto, anzi…

Hai guadagnato…

Sì, ho guadagnato molta più pace, molto più senso di rilassatezza dato anche dal non sentirmi sempre in lotta con tutto. E comunque questo senso di minoranza, questo senso di sentirsi pochi contro tutti è un po' la fiamma che alimenta sempre questo tipo di parte politica, anche adesso che stanno al Governo c'è sempre questa narrazione del "noi pochi", "noi contro i poteri".

Hai visto l'inchiesta di Fanpage, mi hai detto: cosa ci ritrovi di quello che hai vissuto?

La risposta breve è: tutto, esattamente tutto, non è cambiato nulla. La risposta più lunga, in realtà, è che c'è una grossa differenza: il mondo che conoscevo io, milanese non romano – e penso che questo sia molto diverso – era un mondo, chiaramente, con un certo tipo di tendenza non allineata con il volto pulito della Destra parlamentare, ma sporca, ribelle, anche nostalgica, poi eravamo ragazzini, parlo del Liceo, mentre nei video parliamo di adulti, che è molto diverso. Detto ciò, però, a parte certe teste calde io non ho mai incontrato grossi elementi razzisti e antisemiti. Nel video, invece, ne ho visti molti di più.

Ti hanno stupito?

No, ovviamente non mi ha stupito vedere questi ì video proprio perché conosco bene quel mondo lì, mi ha stupito molto, piuttosto, l'ingenuità di questi ragazzi e ragazze, anzi di questi uomini e donne, perché parliamo di gente che sta all'università. Mi ha stupito un po' la goliardia stupida, poi è vero che mi manca il contesto più ampio di certe uscite da questi video, però certe goliardate mi sono sembrate veramente ingenue. È come se tutte queste persone si fossero sempre sentite così protette dalla loro oscurità e dal loro essere un gruppo minoritario che non veniva mai considerato, da non essere riuscite a darsi una disciplina e non essere minimamente pronti, adesso che governano, ad avere le torce dell'informazione puntate su di loro e questa è un'ingenuità politica gigantesca.

Poi, appunto, come dicono nel video sono consapevoli che certe cose si possono fare solo in forma "privata", tra di loro, ma non in pubblico, quindi la consapevolezza di non essere più minoritaria ce l'hanno.

Certo, ma ti faccio un esempio: Francesco Giubilei dice le stesse cose, forse anche più estreme, però le dice in maniera pulita, senza fare i saluti romani o quelli gladiatori, senza dire "Duce Duce", cioè ci sono dei modi in cui puoi essere veramente un estremista. Giubilei è uno che cita dei pensatori di estremissima destra francese, però è furbo e credimi, l'ultima cosa che vorrei fare nella vita è elogiarlo, però ci sono modi per avere una faccia pulita e fare una politica estremista. Questi, invece, si comportano veramente da pervenue, da ingenui. Quando Meloni usa la parola folklore lo fa in maniera molto intelligente, ha senso per il suo discorso, lei usa la parola "macchiette" che è come dire che questa roba qua la si può fare senza fare quei gesti carnevaleschi.

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