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Da Guareschi a Pasolini, tutte le volte che un tribunale ha dichiarat un’opinione illegale

La vicenda di Erri De Luca, popolare autore, che per una frase pronunciata in un’intervista a favore della causa No Tav, è coinvolto in un processo per istigazione a delinquere. Questa storia, che ha avuto vasta eco anche fuori dall’Italia, è solo l’ultimo esempio della lunga storia del legame fra letteratura e “reato d’opinione”.
A cura di Luca Marangolo
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La cronaca giudiziaria, anche quella piuttosto recente, è puntellata di apparizioni dei personaggi del mondo della scrittura, figure relegate –salvo poche eccezioni- a vivere in una sorta di riserve indiane.

È capitato a Erri De Luca, che dal 28 Gennaio è imputato in un processo per aver pronunciato una frase, che potete leggere qui. In un’intervista ormai famosa all’Huffington Post ha dichiarato tutta la sua contrarietà alla TAV in Val di Susa, affermando che “va boicottata”, schierandosi apertamente con gli abitanti della Valle e ingaggiando una battaglia che lo vede impegnato da anni. Il processo è stato subito rinviato al 18 marzo, quindi c’è da attendere per seguirne gli sviluppi.

Opponendosi a quest’opera pubblica si è esposto alla denuncia dell’azienda che è responsabile della  contestata opera, per istigazione a delinquere. È facile notare come il capo di accusa possa fare perno sul significato generico del termine “boicottare”, e sul fatto che nell’intervista vengano nominate le cesoie con cui i manifestanti tagliano le reti dei cantieri.

Come si vede, accade che a volte alcune dichiarazioni scavalchino le coltri dell’anonimato o, peggio ancora, quelle dell'incasellamento assegnato ai prodotti dell’industria editoriale, ed entrino nel vivo del dibattito mediatico, creando un sacrosanto scalpore. Uno scalpore criticabile solo per il fatto che scrittura e letteratura, anche semplicemente sotto forma di opinione, debbano rappresentare qualcosa per il dibattito pubblico solo in casi eclatanti e non per la loro costante, lenta ricerca intellettuale.

Il “reato d’opinione” è qualcosa che spesso distingue la letteratura, in sé, come linguaggio: nell’era dei mass media, è una caratteristica intrinseca del suo modo di comunicare, del suo esprimersi. Non che il "reato d’opinione" non possa darsi anche in altre forme. Ma solo quando si esprime un’idea che risulti in qualche modo scandalosa uno scrittore può dire di aver fatto il proprio lavoro: quello di aver scosso dal torpore discorsivo il linguaggio di ogni giorno, assopito sotto una coltre di informazioni, di brandelli di concetti che trapelano nella nostra esistenza con ridondante banalità.

Schierarsi: se è un obbligo per tutti, per uno scrittore è un po' la premessa necessaria per ogni enunciato che aspiri essere di un qualche valore.

Era successo a Guareschi, che era stato condannato perché aveva falsificato delle dichiarazioni del presidente De Gasperi. Ma è accaduto d’essere citati a giudizio anche ad altri scrittori che reati penali non ne avevano commessi, ma al contrario avevano semplicemente forzato quell’invisibile soglia simbolica rappresentata da tutto ciò che è politicamente accettato, da tutto ciò che è concesso dire o fare; una soglia tutt’altro che regolata dai codici civili, creata dalle ben più labili e incerte barriere del senso comune; delle barriere contro cui la rielaborazione semantica che la letteratura compie della realtà deve lottare per naturale vocazione.

Altri casi illustri ce ne sono, dalla Sodoma di Pasolini fino a quella di Aldo Busi, altro imputato eccellente della letteratura, che non perse l’occasione per vestire il ruolo civile che ha sempre professato, lungo la sua grande carriera di scrittore. Memorabile la sua difesa contro un’accusa infondata di oscenità, così come l’ultra-nota frase “Mamma, mi è andata male, mi hanno assolto” che sintetizza bene l’intrinseco legame che c’è tra l’attività letteraria e il bisogno radicale di rompere con il senso comune.

E senza scendere fin giù all’esilio di Zola, possiamo tirare alcune somme sulla vicenda, a prescindere dall’andamento del processo. Indifferentemente dal fatto che il reato tecnicamente si dia, il caso di Erri de Luca, oltre ad essere la testimonianza di una battaglia molto dura che sta avvenendo nel nostro paese e che in quanto tale necessita di non passare mai sotto silenzio, è anche un segno del fatto che esiste ancora un rapporto esistenziale fra un’attività, come quella della scrittura, e un ruolo sociale, quello dello scrittore; rapporto che per troppo tempo anche alcuni fra gli autori che vengono ritenuti più raffinati, o fra i critici più sottili, hanno del tutto dimenticato.

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