Venerdì mattina Amadeus ha svelato i titoli e i nomi che ci faranno compagnia nella quarta serata del Festival di Sanremo, dedicata a cover e duetti. Tra le varie proposte artistiche dei cantanti in gara – spesso scelte non molto originali, bisogna dirlo – ne spicca una che prima ancora di essere ascoltata dice tutto: Angelina Mango eseguirà una versione di La rondine, uno dei più noti successi del padre. Uscito nel 2002 quando la cantante aveva un anno appena, il singolo ha evidentemente una valenza affettiva particolare per Angelina, ribadita dal video domestico pubblicato dall’artista per annunciare ufficialmente questa selezione. E quindi non sarà difficile emozionarsi di fronte a questo momento di musica e amore filiale, probabilmente anche per chi non abbia particolarmente a cuore le canzoni di Mango figlia o Mango padre (ma tra poco proverò a convincere queste persone a ricredersi).
Eppure c’è un valore ulteriore in questa scelta. Ed la ragione per cui da quando Pino Mango è venuto a mancare, poco più di 9 anni fa, nessun artista in gara ha interpretato una sua canzone nelle serate cover: nel 2015 l’omaggio che Carlo Conti gli dedicò era danzato, ma la voce era quella registrata di Mango. Ed è comprensibile: nel panorama italiano nessuno assomiglia a Mango, tanto per il timbro e l’uso della voce quanto per la sottile genialità della scrittura. E La rondine esemplifica benissimo questa realtà.
Sulla carta, la sequenza principale di accordi de La rondine (quelli che reggono i primi due versi del ritornello) l’hai sentita allo sfinimento. Di base, sono gli stessi quattro accordi che – citando i Porcupine Tree – hanno “fatto un milione” (o forse un miliardo); una versione “altra” ma equivalente di quei quattro accordi di un famoso video virale di una vita fa che nell’ultimo trentennio hanno colonizzato la musica pop, dai Red Hot Chili Peppers a Lady Gaga. Fortunatamente, la musica non resta sulla carta. Carta sulla quale, a ben vedere, c’è molto più di un banale loop. E per permetterti di apprezzare queste sottigliezze, serve una penna come quella di Mango.
La rondine è una canzone in tonalità minore, eppure – come abbiamo detto tante volte ormai per le sue sorelle – non è triste. Malinconica, sì. Ma non disperata. Nel testo, che in modo piuttosto criptico si avvolge dentro l’allegoria del rapido volatile, si avverte per intero il senso di una mancanza: la persona a cui si rivolge il cantante con il suo proverbiale semi-falsetto è andata per sempre, è “nel cielo sbagliato”. Non siamo neppure certi che abbia scritto alla voce narrante un addio, prima di aprire le ali. Eppure, questo volo è libero, connotato da elementi positivi: “sai di buono”, dice Mango, mentre lo accompagna la parte costruttiva del giro di accordi, quell’intervallo di quinta tra il La bemolle e il Mi bemolle (sempre per chi, in prima fila, prende appunti).
“Nonostante tu sia la mia rondine andata via”, canta Mango calcando tutte le note del Do minore – come per farci sentire l’assoluta incertezza della condizione di partenza e darci un indizio sulla tonalità di base: ecco, nonostante questo “sei il mio passo nel vuoto”, la ragione di un gesto di fiducia totale. Siamo costretti a guardare avanti, insomma, e il groove martellante segnato dalla batteria di Giancarlo Ippolito e dal basso di Nello Giudice conferma la sensazione: la propulsione è positiva, nessuna nostalgia, nessun languore. Un sorriso bagnato di lacrime, potremmo dire.
La rondine, in sostanza, parla del difficile gesto di lasciar andare via qualcuno per sempre, il sospetto che, per quanto ci struggiamo, deve esserci un senso dietro la libertà del suo volo. E qui, con comodo, possiamo leggerci dentro tutti i significati personali che questo messaggio lirico può avere per una figlia che ricorda un padre che non c’è più.
Ma dentro La rondine c’è anche altro. Armonicamente parlando, una serie di accordi “intrusi” che creano tensioni interne volte a ribadire il messaggio propulsivo, a far battere le ali ancora al metaforico pennuto. Puoi farci caso alla fine del pre-ritornello, quando Mango canta “ma tu che ne sai dei so-o-ogni” (notare il tremolo, la fluttuazione di volume), apice dell’amarezza del testo. Qui, fluttuando dal Sol minore, al La bemolle al Sol maggiore, la canzone fa una capriola dalla scala minore naturale alla scala minore armonica, che – come l’aggettivo lascia intendere – favorisce i rapporti interni tra gli accordi in particolare tra il Sol e il Do (minore, in questo caso). Basta cambiare una sola nota (un Si bemolle diventa Si naturale) e tutto l’impianto della canzone ci fa sentire nelle budella il bisogno di buttarci di peso sull’accordo di partenza: fortunatamente, Mango non nasconde questi espedienti, non compone cioè solo per il piacere del compositore; anzi, ci abbandona addirittura per un’intera battuta su quel Sol maggiore, come per lasciarci a macerare nella tensione. Gli strumenti concettuali, insomma, sono raffinati e calibratissimi, ma servono a costruire un legame emotivo viscerale e genuino con la canzone: anche questo (anzi, soprattutto questo) è pop.
Misurarsi con una canzone così non è un’impresa banale: le sue forme mutanti – come quella appena descritta – potrebbero rischiare di non risultare lusinghiere per alcune voci – e non abbiamo parlato del controllo perfetto del vibrato nell’acuto del ritornello (“il mio PA-AH-ASSO nel vuoto”), laddove il vibrato (sempre per i più nerd) è la variazione della nota in su e in giù con cui si intona una certa parte della melodia. Per chi non è del tutto sicuro delle proprie capacità, il rischio è quello di suonare come una campana di plastica: essenzialmente muto, probabilmente intonato, quasi certamente privo di carattere.
Tuttavia, Angelina con queste melodie ha senz’altro una familiarità maggiore di qualunque aspirante interprete e studioso – e comunque, che sappia saltare i gradini della scala minore naturale l’abbiamo appurato qualche mese fa. Ma naturalmente la buona riuscita della canzone dipenderà molto anche dall’arrangiamento che verrà preparato da qui a venerdì 9 febbraio per il quartetto d’archi dell’Orchestra di Roma che la accompagnerà: se, ad esempio, insisterà sulle note più “blu”, come quel Si naturale prima del ritornello di cui sopra; oppure se sceglierà di ridurre la sottile complessità della composizione a beneficio di un pubblico che oggi mastica tutt’altra musica. In ogni caso, di motivazioni per dare il meglio di sé Angelina ne ha parecchie. Tra queste, il vanto di essere la prima artista a omaggiare in pieno a Sanremo un maestro del pop italiano provando a entrare nel suo modo inconfondibile e inimitabile di scrivere e cantare.