Perché è importante riscoprire il silenzio: le 33 risposte di Erling Kagge
A un certo punto de “Il leone e l’uccellino”, libro per bambini scritto e illustrato da Marianne Dubuc (Orecchio Acerbo), c’è una pagina bianca che rappresenta il paesaggio innevato, ma che è anche una delle pagine in cui non vi sono parole. Una pagina bianca senza alcuna didascalia, silenziosa, che anticipa l’arrivo della primavera e del primo fiore che sboccia. Un silenzio che mi ha colpito e affascinato, allo stesso modo in cui mi affascina “L’onda” (Corraini Edizioni), altro libro illustrato per bambini, scritto da Suzy Lee, in cui si descrive una giornata di una bambina in spiaggia: una delle peculiarità della disegnatrice coreana è proprio il silenzio, anche per lei, infatti, non vi sono didascalie a spiegare quello che avviene, solo disegni e giochi di colori, che riempiono lo spazio, per un racconto che qualche volta, leggendolo a mia figlia, riempio con parole sempre diverse, ma che, crescendo, preferisce sempre più guardare da sola senza le parole del papà, di volta in volta, a riempire quel silenzio e quelle immagini.
Ed è stato proprio mentre si trovava a cena con le figlie che l’esploratore ed editore norvegese Erling Kagge si è posto 3 domande ("Che cos'è il silenzio", "Dove lo si trova" e "Perché è più importante che mai?") a cui ha trovato 33 risposte per in cui descrive l’importanza del silenzio nel mondo contemporaneo. La voglia di fuggire dalla frenesia moderna è uno dei desideri di molte delle persone con cui mi capita di parlare e riguarda molti articoli che ritrovo condivisi e discussi nella mia filter bubble.
Una voglia estesa di silenzio rispetto al chiacchiericcio contemporaneo su cui lo scrittore ha riflettuto a lungo e che ha deciso di mettere su carta partendo da esperienze personali – Kagge è stato il primo uomo a raggiungere il Polo Sud in solitaria e il primo a raggiungere i tre poli: il Polo Sud, il Polo Nord e una cima dell’Everest –, da letture di filosofi e non solo e stralci di chiacchierate fatte con amici, musicisti, drammaturghi (come Jon Fosse), scrittori etc (trovate tutto nelle note finali).
Il timore nell’approcciarmi al libro Einaudi era la possibilità, che spesso rifuggo, di ritrovarmi di fronte a qualcosa che potesse avere una parvenza di aleatorietà, di quel new age un po’ sciacquato fatto di grosse massime e poca sostanza. Una paura che dopo poco si è dissolta, grazie ad alcuni pesi a cui Kagge ha ancorato le proprie riflessioni o quelle mutuate dai grandi pensatori che vanno da Platone a Kierkegaard passando per Heidegger e Wittgenstein, che a modo loro hanno affrontato il silenzio.
E così le esplorazioni in solitaria (“Da solo sul ghiaccio, circondato da un grande nulla bianco, riuscivo a sentire e a percepire il silenzio”) si mescolano alla ricerca del silenzio di John Cage e in Beethoven, in quelle pause musicali che spesso allertano il cervello rendendo più attraente la musica, ma anche nelle massime che hanno esplorato le pieghe dell’interruzione della parola o delle difficoltà di silenziare il pensiero, al punto da poter scrivere frasi come “avvertivo un silenzio assordante”, senza che questa sembri stantìa.
E così Kagge va alla ricerca delle vaste possibilità del silenzio, che non dobbiamo immaginare solo come quello assoluto, difficilmente riscontrabile in natura o nelle città e nelle campagne, ma anche come un silenzio personale, da trovare dentro di noi: “Chiudere fuori il mondo non significa voler ignorare quanto ci circonda, ma l’esatto contrario: volerlo vedere con maggior chiarezza, mantenere una direzione e cercare di amare la vita” scrive, prima di definire di volta in volta il silenzio come “il nuovo lusso”, ad esempio, o “un privilegio”, pari alla possibilità di “non essere accessibili”, dal momento che il rumore è una delle cose a cui è più difficile adattarsi: “Si impara a conviverci pensando di non avere altra scelta, ma il rumore è e rimane una fonte di disturbo che riduce la qualità della vita”.
Una riflessione che ultimamente scorgo spesso nei libri che mi capita di leggere: pochi giorni fa, infatti, leggendo “Storia di una violenza” del francese Edouard Louis, che descrive uno strupro avvenuto la notte di Natale da parte di un ragazzo di origini africane al protagonista, questi, raccontando la storia del suo aguzzino ricorda il racconto della vita del padre “kabyle” appena arrivato in Francia e sistemato in grossi casermoni nelle banlieue parigine, spiega che “ciò che rende la vita insopportabile nello stabile, è soprattutto il rumore (…). Suo padre gli aveva detto che al paragone tutto il resto sembrava quasi facile e sopportabile, perché il rumore è quasi impossibile da fuggire o ridurre”.
Per questo motivo, quindi, Kagge decide di chiudere il libro dedicato al silenzio con una pagina bianca, la risposta 33, il suo modo di trovare il silenzio, forse anche per estremizzare, dopo averlo rifuggito per un centinaio di pagine, quella che è l'ultima frase del Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein, ovvero "Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere".