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Perché dobbiamo parlare seriamente di Yukio Mishima

Di recente, Feltrinelli ha annunciato la realizzazione di una nuova edizione dei romanzi di Yukio Mishima, che sarà impreziosita dalle illustrazioni di Elisa Menini: potrebbe essere un punto di partenza ideale non soltanto per riscoprire l’opera di un autore eclettico e segnato dal tratto del genio, ma anche per misurarsi con un’eredità politica complessa.
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Il 25 novembre del 1970 lo scrittore giapponese Yukio Mishima, acceso nazionalista e strenuo sostenitore della restaurazione imperiale, si tolse la vita praticando il seppuku, il suicidio rituale della pratica Samurai, dopo aver occupato gli uffici del ministero della Difesa in segno di protesta contro l’occidentalizzazione del Giappone, simboleggiata a sua detta da diverse evidenze, su tutte l’adesione nipponica al Trattato di San Francisco del 1951 e la conseguente accettazione passiva della smilitarizzazione di un paese che aveva fatto della chiusura verso l'esterno, del conservatorismo e della difesa intransigente dei costumi tradizionali i propri tratti distintivi.

Schivare una morte disonorevole

Mishima non era solo: ad accompagnarlo nella spedizione c'erano quattro golpisti delle milizie armate del Tate no kai, (le loro uniforme erano state ideate da Tsukumo Igarashi, il sarto di Charles de Gaulle), un'organizzazione paramilitare di stampo reazionario i cui membri erano in larga parte accomunati da un passato comune nella redazione del Ronsō Journal, una fanzine universitaria di estrema destra. Il loro obiettivo era quello di rapire il generale Mashita, comandante in capo dell’Armata Orientale, per poi sollevare l’esercito contro il governo e portare a compimento il colpo di Stato, ma il disegno non andò a buon fine, arenandosi dinanzi all'immobilismo dei soldati filo-governativi. Preso atto dell'impossibilità di sottrarre il proprio paese dal giogo dell'Impero dell'atomo, Mishima fece rientro nella stanza dove Mashita sedeva in catene e decise di portare a compimento il seppuku, ponendosi così al riparo dal pericolo di una "morte disonorevole", la condanna peggiore che possa esistere per ogni samurai degno di questo nome: 8 minuti destinati a sconvolgere un'intera generazione di intellettuali, soldati e politici giapponesi.

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Mishima: The death of a man

Culturista, artista marziale, sceneggiatore teatrale, punto di congiunzione tra cultura alta e cultura bassa (pubblicava indistintamente racconti per riviste femminili e romanzi in odore di Nobel), attore in b movie di quart'ordine: quella di Mishima era una personalità complessa, piena di sfumature a volte in forte antitesi tra loro. Questa complessità è ben restituita anche da una raccolta di foto pubblicata lo scorso anno, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte dello scrittore e raccolte in un libro, tradotto in inglese con il titolo Yukio Mishima: The Death of a Man e in Giapponese come Otoko No Shi. Realizzata da Kishin Shinoyam, uno dei più celebri fotografi nipponici degli anni Sessanta, la raccolta consta di tre parti: la prima mostra diversi scatti di Mishima in procinto di morire, la seconda raccoglie alcune istantanee delle sue milizie e la terza raffigura lo scrittore nella messa in scena di un finto seppuku. Le foto colpiscono non soltanto perché furono scattate poche settimane prima della presa del ministero della Difesa (suonando, quindi, come un macabro campanello d'allarme), ma anche perché raccontano molto della personalità di Mishima, della sua ossessione per la messa in mostra del suo corpo e per il rapporto tra erotismo e morte e, più in generale, di un culto della personalità forgiato nell'arco di decenni, talmente potente da riuscire nell'impresa di travalicare i confini nazionali. Non a caso, nonostante l'ostentato nazionalismo e una mitomania trascesa nel patologico, Mishima era annoverato tra gli autori più amati dal pubblico internazionale, osannato dalla stampa straniera e percepito come una delle figure culturali più connotanti dell'intero consesso culturale del Sol Levante: come ha ricordato Kirsten Cather su The Conversation, nel 1966 (4 anni prima del seppuku) Life Magazine gli dedicò un lungo editoriale etichettandolo come Japan’s Dynamo of Letters e The Japanese Hemingway. Nel 1970 il New York Times Magazine gli dedicò addirittura una copertina, affibbiandogli l'etichetta di Japan’s Renaissance Man.

Mishima: un altro feticcio delle destre?

Per tutti questi motivi, il dibattito su Mishima è stato sempre caratterizzato da un doppio binario: da un lato quello del valore letterario e della grandezza stilistica di una delle "tre colonne" della letteratura giapponese; dall'altro quello del pensiero politico e della spettacolarizzazione della sua morte, che lo ha trasformato in breve tempo in un feticcio delle destre globali, sempre pronte a fare a gara per attestarsene l'eredità, a cominciare dall’Italia, dove è stato trasformato in un vero e proprio oggetto di venerazione dalla propaganda dei fascisti del Terzo Millennio di CasaPound, che a intervalli regolari celebra le sue gesta dedicandogli striscioni, concerti e seminari e che, da tempi non sospetti, ha preso il proprio posto nella lunga (e contorta) lista di “riferimenti culturali” delle tartarughe nere, un miscuglio eterogeneo in cui coesistono Bombacci, Yeats, Strasser, Marinetti, Evola, Tolkien, Pound, Gentile, Piazzesi e addirittura figure deliberatamente sottratte alla sinistra, come Marx e Che Guevara. Questo tentativo di assimilazione non è di esclusiva pertinenza dei neofascisti italiani, dato che Mishima è un totem per l’intera galassia delle destre europee, dai neonazisti tedeschi all’alt-right americana. Tuttavia, vi sono aspetti del pensiero e della vicenda biografica di Mishima che lo rendono un vessillo scomodo da sbandierare anche per l'estrema destra, in primis il dibattito relativo alla sua omosessualità: per anni, proprio come Kochan, alter-ego di Mishima e protagonista di Confessioni di una maschera, il suo romanzo più famoso – che si strugge dell'indifferenza suscitata in lui dalle forme femminili e ha la sua prima eiaculazione a dodici anni, mentre osserva l'immagine di San Sebastiano trafitto dalle frecce – l'autore si è visto costretto a celare la propria identità sessuale.

Mishima: un'eredità complessa

A più di mezzo secolo di distanza, il drammatico atto finale di Mishima continua a confondere un intero popolo, riproponendo i quesiti irrisolti di una nazione in perenne crisi d'identità, costantemente in bilico tra due anime ben distinte: quella cosmopolita e globalizzata, che la vede posizionarsi nel ristretto novero delle potenze mondiali ed esportare in Occidente qualsiasi cosa, dalle auto ai prodotti culturali destinati alle masse (dai romanzi di Haruki Murakami al j-pop, dai manga alle Toyota ibride), sino al punto che la sua cultura pop ha colonizzato il nostro immaginario a una profondità tale che, di fatto, è diventata anche la nostra; e quella nazionalista, interiorizzata da gran parte della popolazione ed eredità di un passato (non troppo lontano) in cui l’Imperatore non era considerato soltanto un "simbolo della nazione" tra i tanti, ma ne rappresentava le fondamenta. Di recente, Feltrinelli ha annunciato la realizzazione di una nuova edizione dei romanzi dello scrittore giapponese, che sarà impreziosita dalle copertine illustrate dalla fumettista Elisa Menini: potrebbe essere un punto di partenza ideale non soltanto per riscoprire l’opera di un autore eclettico e segnato dal tratto del genio, ma anche per misurarsi con un’eredità politica complessa che, ancora oggi, è in grado di infiammare il dibattito con i suoi strascichi.

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