
Per quanto il Festival della Canzone Italiana sia stato un circo fenomenale che non smette mai di divorare e digestire argomenti che poco hanno a che fare con la musica, alla fine chi comanda davvero sono le canzoni. Ma nel 2025 le canzoni non iniziano né finiscono nel tempo di un singolo misero stream su Spotify: sono parte di un racconto più largo, certamente personale, sicuramente problematico. Il segreto per non farsi trasformare in un mostro da gossip sta nel bilanciare questo con il contenuto musicale della tua produzione. E forse, con Battito Fedez ha trovato l’equilibrio ideale, che si è manifestato in un ottimo quarto posto finale e una solidissima performance nelle piattaforme streaming a Festival concluso. Ma partiamo dal principio.
Come sappiamo tutti, Fedez era arrivato a Sanremo con una coda lunghissima di chiacchiericcio che non ha bisogno di introduzioni e riassunti. Ma se facciamo zoom sull’arco di vita di questa canzone, intravediamo già un racconto avvincente: le domande sul suo stato di salute nei giorni in cui è stato presentato il cast del Festival; le curiosità morbose sul contenuto del testo e il tema del brano (parlerà o no dell’ex moglie?); le “rivelazioni” di questo o quel distributore di pettegolezzi; le analisi e interpretazioni del testo del brano quando è stato reso pubblico; l’interrogativo intorno alla scelta della cover di Bella stronza con Marco Masini. La gara di Fedez, che lo volesse o meno, non è mai ruotata solo intorno alla canzone. Che questo potesse aumentare o meno le sue quotazioni è tutto da vedere, e non è il punto. Il punto è che una canzone che cerca di rispondere alla domanda “ma come sta Fedez in tutto questo?” è la cosa più autenticamente contemporanea che potesse accadere in un Festival altrimenti molto rétro.
Siamo in un’epoca di meta-narrazioni pop, dove i protagonisti del nostro interesse vivono sugli schermi dei nostri telefoni come (letteralmente) idoli, che producono intrattenimento con ogni loro atto, anche il più personale: e quindi, i più astuti fanno impero di questo potere mediatico. Se l’adagio “everything is copy” di Nora Ephron (“ogni cosa è ispirazione”) ha guidato la musica di Taylor Swift fino a portarla alla popolarità suprema in un meccanismo di identificazione, è perché l’assunto di fondo che la vita sia un “content” da consumare è condivisa da artisti e pubblico. Non è semplice voyeurismo, è il potere di un brano musicale di estendersi oltre i suoi confini: del resto, non siamo tutti convinti in un modo o nell’altro che una canzone può esistere oltre il semplice ascolto? Che ci influenza in modo profondo e a sua volta che questa sia l’emanazione di qualcosa di più universale che non un mero esercizio tecnico di scrittura? Tra tutte le culture e sottoculture musicali dominanti, nessuna più del rap ha saputo fare tesoro di ciò: fin dagli anni ‘80 lo storytelling personale ha influenzato le liriche – certo – ma anche la struttura degli album, spesso incentrati sull’idea di presentare la storia di un personaggio (o di una persona) che casualmente è anche l’MC del disco. In effetti Fedez si è presentato a Sanremo con una canzone “molto rap”, sicuramente “più rap” rispetto allo standard per cui è conosciuto da molti, sia estimatori sia detrattori.
I rapper a Sanremo non sono più una novità. Ma il rap no, quello è ancora un corpo estraneo che solo momentaneamente compare sul palco dell’Ariston. Fatta eccezione per l’occasionale “barra”, gli MC che hanno visitato il Festival hanno quasi sempre obbedito alla sua condizione di base: che le loro canzoni non spiccassero troppo rispetto alle altre in gara. Così abbiamo avuto tanti sprazzi di rap iper-melodico, e poi il rap-dance dell’ultima fase di Amadeus, che ha intercettato mirabilmente due tendenze già abbondantemente incrociatesi sul mercato. Quest’anno ci è capitato di vedere la versione un po’ “alla vecchia” di Shablo & company, che in quanto tale è stata comunque un piccolo shock culturale e perciò memorabile: le sue “reference” saldamente piazzate negli anni ‘90 si sono svelate pienamente nella performance di venerdì, un medley di storia del (vecchio) rap italiano; e a loro modo sono accuratamente calate nella “vibe” passatista di questo Festival. Ma la proposta musicale di Fedez, per quanto diametralmente opposta alla “street song” di Guè, Tormento e Joshua, ha un coefficiente rap molto alto.
Se hai già letto qualcuno dei miei articoli di questa rubrica, sai che l’ho detto spesso: una chiave importante per il successo di una canzone risiede nel mix bilanciato (vai a sapere quanto bilanciato) di familiarità e novità. E Battito aveva da subito qualcosa che risveglia la memoria del pubblico semi-addormentato di Rai1: il suo beat elettronico può ricordare ai più distratti Cenere di Lazza, con la quale peraltro condivide il mood del tormento personale, adeguatamente fotografato dalla tonalità minore. Ecco la familiarità. Ma guardando con più attenzione, noteremo che qualcosa è fuori asse, leggermente alieno: proprio come le pupille interamente nere con cui Fedez si è presentato sul palco. Peraltro, questo stesso un colpo di teatro che affonda le sue radici nell’hip-hop, visto che lo troviamo messo in pratica da Method Man a fine anni ‘90 così come dai Death Grips e Tyler, The Creator più avanti o da Kendrick Lamar nel 2022.
Battito risulta nuova (quantomeno alle orecchie del pubblico generalista televisivo) perché ha alcune reference musicali che sono state raccolte solo in parte dal mondo dell’hip-hop italiano. La traccia, scritta e composta da Fedez con Federica Abbate, Alessandro La Cava e Nicola Lazzarin, non può non ricordare diverse produzioni anni Dieci di Metro Boomin: pezzi come Jersey di Future del 2015 (che stilisticamente è molto più vicina ai ritmi terzinati della trap) e ancora di più FML dell’artista precedentemente noto come Kanye West del 2016 condividono molto più che l’atmosfera. È proprio un template, quello della canzone tormentata che parla di abuso di sostanze, di autostima, di crisi. In particolare, come Ye anche Fedez parla esplicitamente di antidepressivi; come Ye, il suo testo si presta facilmente a interpretazioni legate alle loro figure pubbliche; e come Ye, la canzone è parte di un racconto di alienazione che invita, se non alla comprensione, alla partecipazione.
In fondo, proprio nell’alienazione sta un tema cruciale di Battito: nel sentirsi diverso in mezzo a persone normali, come un uomo con le pupille innaturalmente dilatate. Non un tema “nuovo”, e a suo modo una delle chiavi di lettura più importanti per capire questa strana edizione 2025. Ciononostante, parliamo di un tema sempre efficace, specie per il meccanismo di identificazione: non c’è nulla come una canzone trasmessa in eurovisione da una superstar per convincere milioni di persone di essere uniche e irripetibili. E questo è un altro trucco del pop. Ma nell’aver preso in prestito questa “vibe” e questo messaggio Fedez non ha commesso un crimine di scarsa originalità. Anche perché il suo brano non ha ancora finito di mescolare nuovo e familiare.
Dal punto di vista della composizione non ci sarebbe molto da dire. Da vera traccia rap, il giro costruito su sintetizzatori gelidi e bassi granitici non cambia mai accordi dall’inizio alla fine. Nessuna nuova posta in gioco è suggerita armonicamente nel ritornello, da costruirsi sulle basi della strofa; nessun bridge propone un punto di vista alternativo armonicamente parlando (Cenere, ad esempio, ce l’aveva). Ma questo non significa che il ritornello arrivi in punta di piedi, tutt’altro. Un drop – tecnica della musica dance presa già in esame proprio parlando di un successo rap sanremese – ci costringe ad ascoltare i versi di Fedez calati nel quasi totale silenzio: “Stringimi avvolgimi”, dice, mentre un basso sintetico sfida gli infrasuoni con due note discendenti. Se fosse un film d’azione, sarebbe la scena in cui dopo l’esplosione il protagonista non sente più i rumori del caos circostante, un cliché talmente fortunato ed efficace da ritrovarsi ormai replicato alla nausea.
Come da proverbio, dopo il silenzio arriva la tempesta. Il refrain cantato – quindi con una melodia, perché altrimenti a Sanremo non si è graditi ospiti – arriva a un volume decisamente più alto: si tratta del trucco più vecchio del mondo, la maniera in cui qualsiasi cantante pop, da Diana Ross a Mina, ha richiesto e ottenuto la nostra totale attenzione. L’improvviso aumento di dinamica (il “volume”) non è tutto. Il ritornello, infatti, è diviso in due sezioni accuratamente disposte per mantenere vivo l’interesse. Nella prima (“Dentro i miei occhi guerra dei mondi”) Fedez usa un flow con una scansione in cinque colpi che accentua il passaggio da un accordo all’altro, e quindi il movimento del brano. Peraltro, il giro tipicamente dance ed electro della base ha una sua forza intrinseca, che per esempio si poteva sentire nella strofa di Tik Tok (la canzone di Kesha, non il social network cinese). Nella seconda sezione del ritornello, Fedez cambia il flow e ci presenta una successione di note discendenti in ottavi (“Ma non credo, vedo nero”) che stravolgono la direzione cinetica. “Un momento!”, esclama la nostra memoria, “Ma è l’hook strumentale che abbiamo sentito all’inizio del brano”. Proprio così. Ancora una volta è scacco matto per l’orecchio: siamo stati accalappiati.
Insomma, Battito ha una composizione con tutte le caratteristiche ideali per stuzzicare l’orecchio come il prodotto commerciale che è; eppure è anche una traccia profondamente rap (di dieci anni fa, forse, ma comunque davvero rap). Un brano che marcia dritto con poche variazioni; eppure con un’alternanza quasi ossessiva di scansioni metriche, tra le più fluide e vivaci della discografia di Fedez. E, infine, è una discreta e presumibilmente sincera rappresentazione dell’alienazione di una persona che vive con la depressione e fa i conti con l’assunzione di psicofarmaci nel contesto più pericoloso che ci sia per questo tipo di terapia: la notorietà. Eppure, è anche l’ultimo capitolo di un racconto multimediale sulle glorie e le infamie della popolarità. Insomma, Battito è una canzone che rappresenta Fedez in tutto e per tutto: una figura che, ormai, nel bene o nel male, è familiare per il pubblico italiano generalista. E se c’è un’emozione che piace agli ascoltatori è il sottile brivido di farsi sorprendere da qualcosa che conoscono già benissimo. In fondo, il Festival di Sanremo non promette proprio questo, ogni benedetto anno? Una contraddizione in termini, la novità nella conservazione, il tormento nel calcolo, un enigma che cerchiamo di scartare mentre si è già infiltrato nel subconscio e vi risiede: in una parola, Fedez.
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