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Opinioni

Perché Again di Pino Daniele è il testamento musicale che meritiamo a 10 anni dalla sua morte

Le pubblicazioni postume sono ancora più delicate di una volta, il rischio di un passo falso è tangibile. Fortunatamente per noi, l’uscita di Again di Pino Daniele non è una pigra riedizione, ma un ricordo significativo di cosa è stato e cos’altro avrebbe potuto essere l’artista scomparso 10 anni fa. Passare ancora del tempo con lui, nell’equilibrio agrodolce che sta tra una lontananza incolmabile e il patrimonio che ci ha lasciato, ora accresciuto di un brano: questo è il massimo che possiamo pretendere.
A cura di Federico Pucci
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Le pubblicazioni postume al giorno d’oggi sono ancora più delicate di una volta: non è detto che siano operazioni culturalmente arricchenti e nemmeno straordinariamente profittevoli (come la cosiddetta “ultima canzone dei Beatles” uscita poco più di un anno fa, che non rientra neppure tra le top 30 canzoni con più stream giornalieri dei Beatles). Il rischio di un passo falso, insomma, è tangibile. Per questo, operare con grande cautela e sensibilità è opportuno da parte degli eredi. Quando esce una canzone postuma, insomma, bisogna considerare l’occasione, il messaggio, la qualità. Fortunatamente per noi, l’uscita di Again di Pino Daniele non è una pigra riedizione, ma un ricordo significativo di cosa è stato e cos’altro avrebbe potuto essere l’artista scomparso 10 anni fa. E, come ci piace vedere in questa rubrica, tutto sta dentro la canzone.

Cosa chiediamo, come ascoltatori, da una canzone postuma? Qualcosa che già conosciamo, una conferma dei nostri gusti e delle nostre opinioni sull’artista? O una sorpresa, magari le impronte di un cammino che era stato intrapreso e poi abbandonato, prima che gli eventi tornassero sulla strada maestra?

Non è un dilemma di facile risoluzione, ma si ripropone regolarmente quando dagli archivi di artisti non più fra noi sbucano inediti, bozze, tracce. Per stabilire se questa musica inedita ci spiazzerà o ci conforterà non possiamo fare altro che ascoltarla, scoprire il suo stato effettivo come quello del gatto nel proverbiale esperimento di Schrödinger. Anche questa ragione contribuisce a rendere il tema delle pubblicazioni postume molto delicato: senza l’imprimatur dell’artista, il rischio è trovarci di fronte a musica che – come si dice in questi casi – “non aggiunge niente”, o viceversa che espone un lato che l’artista non era ancora pronto a mostrare. O ancora, nel peggiore dei casi, semplicemente lavori incompleti che non meritavano di vedere la luce. Ma di fronte a queste domande ce n’è una che sovrasta tutte le considerazioni artistiche: la domanda di “contenuto” da parte dell’ascoltatore-consumatore. E, in particolare, di un “contenuto” familiare. In un contesto simile, quindi, non è tanto la nostalgia a pagare, quanto un rassicurante senso di continuità. 

In un mercato che produce nuova musica a un ritmo mai visto prima, il valore intrinseco di queste nuove strabordanti uscite è matematicamente sempre inferiore: d’altro canto, i cataloghi di famosi artisti (in vita o meno) sono merce per grandi mosse finanziarie. Proviamo a fare un paragone di scenario con la più grande industria cinematografica occidentale: nella classifica dei film con i più alti incassi del 2024, i primi 15 senza alcuna esclusione sono titoli che fanno parte di IP (intellectual property) stabilite, in forma di sequel (come Inside Out 2 o Despicable Me 4 o Oceania 2), espansioni di universi cinematografici (Deadpool & Wolverine, Il regno del pianeta delle scimmie), reboot/revival (Beetlejuice Beetlejuice, Twisters) o adiacenti (Wicked). Uno scenario di stagnazione che non è difficile trovare anche nella discografia: come dice il report FIMI 2024, nel 2023 il 71,4% degli ascolti in streaming effettuati in Italia riguardano registrazioni vecchie di almeno un anno. Non parliamo necessariamente di musica antica: più probabilmente – anzi – il catalogo che fa massa critica in queste statistiche è composto dai dischi precedenti di artisti che hanno nuovi progetti fuori. Per esempio, se vediamo la classifica annuale FIMI 2023, la stragrande maggioranza dei dischi “long-seller” appartenevano ad artisti con altri progetti freschi di pubblicazione e in tendenza, da Lazza a Sfera Ebbasta, da Ultimo ai Pinguini Tattici Nucleari, dai Maneskin a Taylor Swift.

Secondo quanto riportano molte fonti, Again proviene dalle sessioni di registrazione per il mai completato album Acoustic Jam, seconda metà di un doppio EP che doveva uscire nel 2009. La prima metà, Electric Jam, vide effettivamente la luce: nelle intenzioni di Pino Daniele quello era l’occasione di tornare alle radici blues e di concentrarsi sull’elemento “suonato” della musica. Questa canzone, che arriva poco prima delle celebrazioni e commemorazioni (i 70 dalla nascita a marzo; i 10 anni dalla scomparsa, il 4 gennaio), coglie quindi l’occasione giusta per mostrare un lato possibile e solo in parte realizzato del suo contributo artistico: un anniversario, insomma, per scoprire oltre che per confermare le nostre opinioni.

L’elemento di maggiore richiamo del brano sta nel refrain. Un refrain in inglese come da tradizione per il musicista napoletano, che aveva fatto del multilinguismo una cifra della sua lirica. On the road again”, cadenza dolcemente Daniele, riprendendo – a detta di molti – il refrain dell’omonima On The Road Again dei Canned Heat. E il collegamento con la band californiana non è certo pretestuoso: Pino Daniele se non li aveva proprio omaggiati, sicuramente doveva averli considerati tra i suoi punti di riferimento nel progetto rock blues Boogie Boogie Man, pubblicato nel 2010 al posto del già anticipato e, appunto, mai realizzato Acoustic Jam. Possiamo ricondurre, quindi, questa frase a un’eco della sua memoria. Oppure, possiamo andare più a fondo e notare come il topos del “ritorno sulla strada” sia molto di più che una semplice frase famosa estrapolata da una canzone celebre.

Sappiamo, infatti, che in questa fase della sua carriera Daniele era intenzionato a riprendere con forza il discorso delle sue fondamenta stilistiche, estetiche, sonore, culturali: influenzato certamente dalla melodia napoletana e italiana, il musicista amava sottolineare il suo ancoraggio profondo alla tradizione blues. La stessa che, dopo qualche decennio di convivenza, la nostra discografia stava progressivamente emarginando fuori dal mercato e che – come disse in alcune interviste del periodo – Daniele voleva tenere viva e centrale. Again, pur dentro una struttura armonica che potrebbe farci pensare ad altro, ha invece qualcosa di veramente blues: che è proprio l’interpolazione – come diremmo oggi – della frase On The Road Again.

Nel blues è pratica comune prendere in prestito frasi e immagini altrui per costruire in modo rapsodico il proprio contributo originale. Si potrebbe dire, anzi, che la costruzione di una tradizione viene proprio dal passaggio di consegne di oggetti musicali interessanti e dalle infinite variazioni che derivano da questo processo. Così, tanto per fare un esempio, la melodia di qualche perduto lamento popolare si è cristallizzato nel riff vocale di How Long Daddy How Long di Ida Cox, è passato anche a Sitting On Top Of The World dei Mississippi Sheiks, ed è finito dentro Come On In My Kitchen di Robert Johnson, che nel frattempo rubava a Skip James le parole di due versi di Devil Got My Woman.

Ogni canzone, così, si arricchiva di significati impliciti, stratificati, lasciati lì dai precedenti artisti, veicolando nel frattempo il sentimento di fondo dell’archetipo melodico e lirico di partenza. Oggi che l’interpolazione è una parola elegante per descrivere il furto autorizzato e ben compensato di elementi musicali tratti da canzoni più celebri per far funzionare canzoni altrimenti (talvolta) scadenti, questo tipo di percorso concettuale rischia di sembrare soltanto un labirinto tortuoso. Ma di fatto il blues (e non solo) ha continuato a produrre senso e suono in questo modo, fino ai giorni nostri, assegnando a frasi e melodie lo stesso valore che hanno gli elementi di base del racconto nelle tradizione fiabesche o nella mitologia. Come la frase “I hear a train a-comin’” capace di attraversare generazioni e generi musicali (Hank Williams, Gordon Jenkins, Johnny Cash, Everly Brothers, Jimi Hendrix, Ry Cooder, fino agli Spin Doctors e a Smog cioè Bill Callahan).

“On the road again”, potremmo dire con il linguaggio dei nuovi media, è un meme: l’unità di significato minima sopra cui ciascuno produce il proprio racconto. Non è tanto la citazione in sé che conta, quindi, ma la ragione per cui è stata scelta (ammesso che la si possa divinare) e il modo in cui è stata variata. Per i Canned Heat tornare per strada è segno di stoicismo, nonostante le sventure capitate, ma ancora di più è luogo di catarsi per tutte le ingiustizie vissute, dalla separazione di mamma e papà in giù. Nella versione originale di questo brano, l’omonima On The Road Again, il maestro del Chicago blues Floyd Jones calca la mano proprio sulla catarsi, al punto da suonare come un inno di riscatto. E chiunque abbia messo mano a queste quattro semplici paroline le ha immerse nel suo messaggio: per i REO Speedwagon si torna in strada per ricominciare una vita dissoluta a una velocità impossibile per le persone che si incontrano; per Willie Nelson la strada è una “comfort zone” dove si vive con la propria comunità di amici e colleghi musicisti; per Carole King è l’espressione di un desiderio di rimettersi in piedi dopo una batosta amorosa. In Again, per Pino Daniele, on the road again cosa significava? Probabilmente il bisogno di rimettersi in gioco, nell’arte come nelle relazioni, di darsi alle cose più importanti come se si ricominciasse da capo, senza il peso del passato (“il muro di Berlino è un ricordo lontano”, un verso enigmatico che forse sa anche di segnaposto metrico-melodico per ulteriori spunti lirici mai più incisi). La strada, insomma, è un luogo dove si sperimenta insieme la lontananza dagli oggetti del proprio desiderio e l'ebbrezza di un nuovo cammino: uno strano luogo di equilibrio, insomma.

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Anche il giro di accordi e la melodia di questo brano, che sottolineano con forza la cosiddetta cadenza plagale tipica della musica sacra, ci suggeriscono questa sensazione di pace: non c’è una tensione, quanto una melancolia da risolvere. E si risolverà soltanto continuando a girare e girare, fino alla fine. In questo senso, insomma, il brano postumo ci mostra una scrittura di grande delicatezza, che incontra temi già conosciuti in maniera fresca e originale; che ci mostra il punto di vista di un bluesman di razza su una certa immagine; che si espone su quella che sarebbe potuta essere una stagione blues-pop morbida, languida, matura. Insomma, gli archivi non sono stati aperti per nulla. Anzi.

Poche settimane dopo l’uscita del brano qualcuno ha voluto creare con intelligenza artificiale generativa immagini che ritraggono Massimo Troisi e Pino Daniele, come se stessero ridendo, cantando e suonando insieme. Sono immagini che, come tutte quelle prodotte da AI finora, disturbano per la loro vicinanza al reale distorta e agghiacciante, che si nota in alcuni particolari come le dita in sovrannumero. Perché qualcuno ha sentito il bisogno di produrre queste immagini, mentre esistono (fortunatamente) testimonianze vere dei loro incontri? Per la fame vorace di contenuto, specie se riguarda figure molto amate. Contenuto da ottenere a ogni costo, anche se non ci dà nulla di nuovo e soprattutto nulla di vero. Una canzone tirata fuori dal cassetto, invece, contiene tutta l’umanità dell’artista (che è poi il suo dono) condensata dentro pochi minuti, magari imperfetti, stracarichi di storie che sta a noi aprire come scatole cinesi. Passare ancora del tempo con Pino Daniele, nell’equilibrio agrodolce che sta tra una lontananza incolmabile e il patrimonio che ci ha lasciato, ora accresciuto di un brano: questo è il massimo che possiamo pretendere.

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Federico Pucci è un giornalista musicale. Ha collaborato con ANSA dal 2012 al 2019, occupandosi di spettacoli e cultura per la sede di Milano. Tra il 2020 e il 2023 ha diretto il magazine musicale online Louder, creando e producendo oltre 200 videointerviste e format originali. Nel 2019 ha scritto un libro sui sessant'anni di storia di Carosello Records. Ogni settimana pubblica una newsletter chiamata Pucci.
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