Perché a 90 anni Ornella Vanoni è ancora un modello di libertà nel pop
Il tempo non è un linea retta. Nessuno di noi l’ha mai vissuto così. Il tempo è un cerchio: lo viviamo ogni giorno, ogni anno, quando cambia una stagione, quando il giorno segue alla notte e viceversa. Certo, le vite iniziano e a un certo punto finiscono, come il filo che le Moire tessono e a un certo punto, inesorabilmente, tagliano. Eppure, dentro questo piccolo segmento di storia nel quale viviamo, siamo tentati continuamente di vedere la circolarità delle cose. La musica è l’unica arte che può illuderci di far coesistere queste geometrie: ogni brano ha un inizio e una fine, ma al suo interno è ricco di strutture ricorsive, agganci come un leitmotiv o un coro che ci riportano al punto di partenza. E nessuna musica riesce a cogliere questa quadratura della linea meglio del pop: un frammento infinitesimale di tempo, due tre minuti, per autosuggestionarci che dopo la coda le cose tornano sempre al capo. Un anello magico dal quale non possiamo distogliere lo sguardo. Del resto, se ancora parliamo di “dischi” pure nell’era della smaterializzazione dei formati, qualcosa significherà. Forse proprio per via di questo contagio ontologico anche la musica in quanto macrosistema culturale va avanti per cicli: parliamo di mode e sbuffiamo perché gli occhi della nostalgia ci fanno credere che non ci sono più idee originali, ma la verità è che come animali sociali e culturali abbiamo bisogno regolarmente di aggiornare il nostro punto di vista su una determinata questione, di fare un check sullo stato dei nostri valori estetici. Di questi cicli, Ornella Vanoni nei suoi 90 anni compiuti oggi ne ha visti molti. E proprio per quello che abbiamo appena detto, adesso che la cantante si prepara a scrivere un altro capitolo della sua lunga storia, il suo esempio può aiutare a orientarci.
Proprio perché vive di cicli inesorabili, il pop non tollera la maturità, figuriamoci la vecchiaia: mentre per quasi tutte le arti apprezziamo la fase “matura” di una carriera, nella musica ragioniamo all’opposto. È il marketing che ci spinge a ragionare così, da almeno 60 anni a questa parte: la musica pop è un prodotto di consumo veloce, fatto per i giovani e le loro soglie d’attenzione da sempre molto corte; finito un ciclo ne comincia subito un altro, come vuoti a perdere. Ma non è sempre andata proprio così, perché la proposta di musica per adulti ha trovato anche spazi piuttosto centrali nell’immaginario e nel mercato. E pochi decenni hanno abbracciato apertamente questo spirito adulto come gli anni ‘70, probabilmente il decennio che meglio di tutti permette di inquadrare la grandezza e l’importanza di Ornella Vanoni.
Quando nel 1976 pubblica il suo disco-capolavoro La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria con Toquinho e Vinicius De Moraes, Ornella Vanoni ha già superato i quarant’anni e almeno due vite artistiche. La musica brasiliana, abbracciata da una decina d’anni e divenuta un suo marchio di fabbrica dopo la sua inarrivabile versione de L’appuntamento, sembra permetterle di incarnare alla perfezione un’epoca dove tutto quanto, d’un tratto, si è fatto terribilmente serio e personale: le popstar sono elusive; i complessi vanno per la maggiore e la loro musica è spesso impenetrabile, eppure sfonda nelle classifiche; una sensazione che il meglio sia alle spalle serpeggia – del resto, è il decennio in cui anche in Italia ha grande successo la colonna sonora di American Graffiti, arazzo di un’età dell’oro in forma di compilation. Spulciare le classifiche dell’epoca vedendo dominare Baglioni e Battisti, Barry White e Papetti, De Gregori e De André, Pink Floyd e Pooh, fa sospettare che tra le generazioni si fosse aperto un solco che anche quel poco di disco music, molto matura, arrivata a quel punto in Italia non riesce o non aspira a colmare.
Sembra di parlare di una fantasia inesistente, per come siamo abituati oggi allo strapotere mediatico dei (super)giovani. Nel 1977 Ornella Vanoni prova qualcosa che soltanto Mina aveva osato qualche anno prima: un concept album doppio, ma pienamente pop. Il suo progetto, due LP intitolati Io dentro e Io fuori creati in collaborazione con i New Trolls, faceva sfoggio delle due facce dell’artista: da una parte la maschera sorridente e sensuale, dall’altra quella lacrimevole e seria. L’ambiguità di fondo del mestiere di cantare canzonette, all’apparenza frivolo e bambinesco, acquista un senso tutt’altro che banale in quel decennio così , e non esattamente alla portata di qualsiasi ragazzo o ragazza di belle speranze. Questo approccio a un mestiere apparentemente così frivolo e bambinesco come il cantare canzoni è esattamente la ragione per cui l’esempio di Vanoni è ancora valido. E il fatto che il prossimo progetto di Vanoni parta proprio da una canzone contenuta in Io fuori non può essere casuale.
Venerdì è uscita una nuova versione del brano Ti voglio, incisa con Elodie e Ditonellapiaga. Quella canzone, un perfetto esempio di groove disco pop costruito per creare una sensazione più che un discorso (un pezzo “da vibe” ante litteram) costituiva una dichiarazione d’intenti piuttosto esplicita sulla libertà di amare e di esprimersi con il corpo da parte di una donna, e ancora oggi suonerebbe rivoluzionaria. Abbiamo visto più e più volte, applicato proprio a Elodie, il pregiudizio secondo il quale una donna che mostra il corpo non va presa artisticamente sul serio, come se quelle scelte espressive, artistiche e – perché no? – anche promozionali ponessero un’ipoteca troppo onerosa sul suo futuro. Ancora più importante, all’interno dell’epoca in cui è uscito e in relazione alle altre tracce (vedi i “ragazzi nati di ieri” della splendida Noi), il fatto che a parlare sia una donna adulta, matura e non una giovane ragazza: se ancora oggi facciamo discorsi sulla sessualità dei quaranta e cinquantenni, dobbiamo ricordarci che almeno alcuni degli argomenti erano stati posti già da Ornella Vanoni una vita fa.
La figura della cantante non solo non ha perso credibilità celebrando la sessualità e il corpo, ma ha scritto una nuova pagina della sua carriera e della cultura pop italiana. E non solo con le canzoni. L’anno in cui uscì quel doppio LP è lo stesso in cui Vanoni partecipò a un celeberrimo servizio fotografico su Playboy, di cui la cantante e attrice curò la direzione artistica. Una scelta sicuramente coraggiosa e significativa, se ancora a decenni di distanza è difficile incontrare un’intervista in cui non le venga chiesto conto di quel fatto. Curiosità pruriginosa? Può essere, ma aver messo al centro il proprio corpo da donna adulta e libera nel ‘77 ha posto un precedente importante, grazie al quale oggi possiamo prendere con le pinze ogni argomentazione sulla mancanza di serietà di una Elodie.
La mancanza di inibizioni, del resto, è parte del fascino che ancora oggi ci attira a Ornella Vanoni. Oggi sorridiamo e tifiamo per lei quando la sentiamo parlare senza freni con Fabio Fazio o da un palcoscenico: qualcuno, poco romanticamente, potrà pure parlare di senilità. Ma questa libertà è la stessa che le ha fatto cambiare corso artistico più volte di quasi tutte le colleghe, certamente di quelle più giovani che oggi temono più di ogni cosa scostarsi dal proprio “brand”. Il “brand” di Vanoni, invece, è la libertà stessa.