Paul Auster, la moglie accusa: “Volevamo dare noi la notizia della morte, poco rispetto del nostro dolore”
Siri Hustvedt, scrittrice e moglie di Paul Auster, lo scrittore americano autore de "La trilogia di New York" e di "4321", ha ricordato il marito, scomparso lo scorso 1 maggio, con un lungo post su Instagram in cui se la prende con chi non ha rispettato il loro dolore. La scrittrice, infatti, ha accusato coloro che, appena saputo della morte dello scrittore, hanno pensato che fosse una cosa giusta dare la notizia ai giornali, portando alla pubblicazione prima che loro potessero decidere come comunicarla, non solo al pubblico e ai tantissimi lettori e lettrici di uno degli autori più importanti del 900 ma anche ai parenti e agli amici.
"Ero ingenua, ma avevo immaginato che sarei stata la persona ad annunciare la morte di mio marito, Paul Auster – ha scritto Hustvedt -. È morto a casa, in una stanza che amava, la biblioteca, una stanza con libri su ogni parete dal pavimento al soffitto, ma anche alte finestre che lasciavano entrare la luce. È morto con noi, la sua famiglia, attorno a lui il 30 aprile 2024 alle 18:58. Qualche tempo dopo, ho scoperto che anche prima che il suo corpo fosse portato via da casa nostra, la notizia della sua morte circolava sui media ed erano stati pubblicati necrologi. Né io, né nostra figlia Sophie, né nostro genero Spencer, né le mie sorelle, che Paul amava come sorelle e sono state testimoni della sua morte, abbiamo avuto il tempo di accettare la nostra dolorosa perdita. Nessuno di noi è riuscito a chiamare o inviare e-mail alle persone a noi care prima che iniziassero le urla online. Siamo stati derubati di quella dignità. Non conosco tutta la storia di come ciò sia accaduto, ma so questo: è sbagliato".
Hustvedt è una delle scrittrici più note e lette di questi anni, autrice di libri come "Quello che ho amato" e "L'estate senza uomini". Nel post prosegue spiegando cosa è successo negli ultimi tempi, quando Auster ha rifiutato la chemio palliativa, scegliendo di tornare a casa: "Paul non ha mai lasciato Cancroland. Si rivelò essere, secondo le parole di Kierkegaard, la malattia mortale. Dopo che le cure avevano fallito, il suo oncologo gli propose una chemioterapia palliativa, ma lui disse di no e chiese il ricovero a casa. Molti pazienti sperimentano i danni del trattamento del cancro e alcuni guariscono, ma quelli che il mondo della medicina chiama educatamente “effetti avversi” diventano facilmente una realtà a cascata di una crisi dopo l’altra, causata non dal cancro, ma dal trattamento. Le immunoterapie, che agiscono a livello molecolare, possono essere particolarmente pericolose. Un ‘effetto' può essere pericoloso per la vita e richiedere un intervento drammatico, che a sua volta provoca un altro effetto pericoloso per la vita, che richiede ulteriori interventi, e il corpo aggredito diventa sempre più debole".
Infine la scrittrice ricorda una delle doti principali del marito, l'umorismo: "Paul ne aveva avuto abbastanza. Ma non ha mai dato, né con le parole né con i gesti, alcun segno di autocommiserazione. Il suo stoico coraggio e il suo umorismo fino alla fine della sua vita sono per me un esempio. Ha detto più volte che gli sarebbe piaciuto morire raccontando una barzelletta. Gli ho detto che era improbabile e lui ha sorriso. Potrebbe anche essere ingenuo da parte mia richiedere gentilezza, rispetto e amore in un mondo di categorie belligeranti e senz’aria, a cui sono stati assegnati così tanti di noi, incluso Paul. La brutalità di queste categorie riduce la realtà dinamica a cose statiche. Sostituiscono l'umiltà del non sapere con la brutta certezza. È sconcertante guardarmi intorno e scoprire che innumerevoli persone che conoscevano Paul, più o meno, spesso meno, ora pontificano sull’uomo che amavo. Bene, lasciate stare. Non ho alcun controllo su questo".